Il ruolo dell’ ”Angola Mode” nelle relazioni tra Cina e Luanda
Africa

Il ruolo dell’ ”Angola Mode” nelle relazioni tra Cina e Luanda

Di Giulia Lillo
02.09.2018

L’Angola è certamente uno degli Stati che hanno maggiormente beneficiato degli obbiettivi di espansione commerciale del mercato cinese. La strategia di penetrazione economica della Cina in Angola fa leva su una precisa modalità d’intervento che ha lo scopo di trasformare il Paese, finanziariamente povero ma ricco di risorse, in uno dei principali partner per il gigante cinese. Tale approccio si identifica nel concetto di ”Angola Mode”, che potrebbe essere definito come lo scambio di risorse naturali con progetti infrastrutturali su larga scala. Tale dinamica rappresenta un pilastro per entrambe le parti, poiché riflette l’idea di una cooperazione e di una relazione che apporta benefici ai due Stati ed è vista come uno strumento di politica estera che soddisfa gli interessi sia angolani che cinesi.

Il concetto di “Angola Mode”, coniato per la prima volta dalla China Exim Bank, ha aspetti unici che distinguono i prestiti cinesi dai prestiti occidentali. Le differenze possono essere rinvenute nelle caratteristiche dei contratti stipulati, che presentano delle peculiarità: in primis, a differenza dei tradizionali prestiti garantiti dal petrolio, i progetti strutturati dell’Angola Mode vengono garantiti da precisi accordi che vincolano la concessione del prestito all’utilizzo della quota, favorendo così l’implementazione del progetto. Inoltre, i crediti vengono ceduti dalla China Exim Bank direttamente alle società cinesi incaricate della costruzione di infrastrutture, evitando così passaggi intermedi attraverso il sistema oligarchico angolano.

L’impostazione dell’Angola Mode è favorita da una relazione di complementarietà tra Cina e Angola: infatti, Pechino dispone di disponibilità finanziaria e competitive società di costruzione, ma limitate risorse naturali, mentre Luanda presenta un forte deficit infrastrutturale e abbondanza di risorse. L’applicazione dell’”Angola Mode” nelle relazioni tra i due Paesi segue un iter ben preciso e si manifesta come segue: una volta identificati i progetti con maggiore priorità da parte di una commissione congiunta, costituita dai membri dell’Ufficio di assistenza tecnica e la China Exim Bank, la banca cinese e il Ministero delle Finanze angolano firmano un accordo di prestito in cui entrambe le parti concordano sullo scambio delle esportazioni di risorse naturali in luogo di investimenti nelle infrastrutture. La compagnia petrolifera angolana Sonangol vende petrolio alla Cina al prezzo internazionale del giorno di spedizione, mentre le entrate petrolifere vengono depositate dalla China Exim Bank in un conto bancario di garanzia a nome del governo angolano. In tal modo, successivamente, la China Exim Bank paga direttamente i costi delle imprese di costruzione cinesi utilizzando il denaro versato sul conto bancario di deposito.

La maggior parte dei crediti cinesi sono investiti in progetti infrastrutturali affidati ad alcune delle maggiori imprese cinesi, come China Road Bridge Cooperation, China Railway, Huawei o China International Trust and Investment Corporation. Gli accordi tra i due Paesi prevedono che le imprese cinesi abbiano accesso al 70% dei contratti infrastrutturali angolani. Inoltre, in base ai criteri stabiliti, le imprese cinesi dovrebbero essere selezionate come contraenti/esportatori di almeno il 50% delle attrezzature, materiali e tecnologie necessari per il progetto. Inoltre, esse sono esentate dal rispettare determinate condizioni della legge sul lavoro presente in Angola, in quanto non sono obbligate a basare la propria forza lavoro sulla manodopera angolana. Ciò fa sì che spesso le aziende preferiscano ricorrere ad una consistente quota di lavoratori e know-how proveniente direttamente dalla Cina, anche per via della mancanza di professionisti angolani e per le barriere linguistiche.

I benefici economici ottenuti dall’applicazione dei principi dell’Angola Mode non nascondono però l’esistenza di relazioni opache tra i due Paesi. La mancanza di trasparenza (sia in Cina che in Angola) riguarda innanzitutto i termini precisi dell’assistenza allo sviluppo, del commercio e dei flussi di investimenti tra i due Paesi. Nonostante il crescente slancio internazionale sull’efficacia degli aiuti, storicamente la Cina è stata reticente nel fare luce sui suoi contributi “di aiuto” all’Africa, sebbene questo abbia cominciato lentamente a cambiare. La penetrazione cinese e la sua peculiarità della non-ingerenza negli affari interni del Paese partner è stata facilmente strumentalizzata nel tempo dall’èlite angolana e messa al servizio del proprio programma. Il governo, infatti, ha sempre esitato nell’implementare misure che avrebbero eroso il potere dell’ex Presidente Dos Santos, a capo di un sistema nepotistico e clientelare che per 27 anni ha operato anche al di fuori dei normali canali di Stato. Al momento della fine della guerra civile nel 2002, Il Movimento per la Liberazione dell’Angola (MPLA), il partito del Presidente, aveva un grado di autonomia quasi unico rispetto alla società che governava: vittorioso e ricco di denaro, governava una popolazione stremata da quattro decenni di guerra e incapace di avanzare pretese sulla direzione della politica di ricostruzione. Dal 2004 in poi, l’MPLA è stato anche in grado di diversificare le relazioni estere, prendere le distanze dalle pressioni straniere e massimizzare le risorse esterne destinate al programma di ricostruzione, per accreditarsi come principale fautore della rinascita del Paese. Nell’intento di realizzare l’ambizioso disegno di avviare l’Angola verso un percorso di modernizzazione ed urbanizzazione, il governo ha intrapreso una costosa politica di attivismo statale, basata sul rafforzamento del settore industriale e delle infrastrutture.

In realtà, il pessimo stato delle finanze del Paese e l’incombente crisi umanitaria hanno notevolmente complicato gli sforzi del governo. Nel 2002 e 2003, infatti, non si era ancora verificato l’aumento esponenziale della produzione petrolifera e del prezzo del petrolio, e il Paese versava in una grave crisi finanziaria. Per cercare di compensare la mancanza di risorse interne, i leader angolani hanno ripetutamente invocato il sostegno della Comunità Internazionale. Tuttavia,  la mancanza di un sistema di verifica trasparente che permettesse ai partner internazionali di controllare l’utilizzo effettivo e la destinazione di eventuali finanziamenti erogati, hanno scoraggiato molti Paesi occidentali a fare un passo avanti. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale nei primi anni dopo il conflitto è stato una delle voci più critiche nei confronti della mancanza di trasparenza del sistema angolano e del rafforzamento di una oligarchia alimentata dall’intreccio di interessi personalistici e corruzione, che avevano nell’ex Presidente il proprio apice. La reticenza del FMI nel prendere parte al processo di ricostruzione, da un lato, e le misure proposte dall’organizzazione internazionale al governo per cercare di ottenere maggiori garanzie, soprattutto in merito all’uso delle entrate petrolifere, hanno inevitabilmente compromesso, o quanto meno rallentato, la cooperazione in materia di ricostruzione. Per Dos Santos, infatti, l’accettazione delle condizioni di trasparenza e riforma alle quali il FMI vincolava il proprio aiuto avrebbe comportato la perdita di controllo sull’orientamento della ricostruzione e, in definitiva, sulle leve del potere politico nell’Angola del dopoguerra.

In un momento così delicato per il consolidamento del proprio potere, l’ex Presidente ha trovato una sponda conveniente in Cina, il cui governo è da subito apparso più propenso a tralasciare il funzionamento dei meccanismi oligarchici interni e prediligere un approccio più pragmatico alle relazioni con Luanda. Dopo mesi di negoziati, nel marzo 2004 il governo cinese ha esteso le linee di credito all’Angola, e ben presto le società cinesi hanno importato decine di migliaia di lavoratori e hanno avviato la propria partecipazione nella ricostruzione delle infrastrutture del Paese. Lungi dal volere cambiare bruscamente il modus operandi angolano, per scongiurare una destabilizzazione interna, i cinesi si sono adattati molto rapidamente alla natura del commercio angolano e alle relazioni stato-azienda. Questa presenza è stata facilmente strumentalizzata dall’élite angolana e messa al servizio del suo programma. Infatti, i cinesi hanno reso possibile la ricostruzione dell’Angola, ma, grazie alla politica della non-interferenza negli affari interni del Paese, non hanno influenzato il modello stesso definito dagli angolani né le dinamiche endemiche al sistema di Dos Santos. Al contrario, la partnership con la Cina non solo ha dato una nuova prospettiva di vita al sistema parallelo, ma ha permesso l’aumento esponenziale, la diversificazione e l’ulteriore internazionalizzazione della struttura statale voluta dall’ex Presidente angolano.

La pragmatica cooperazione tra Luanda e Pechino, dunque, è un elemento fondamentale del successo dell’Angola Mode e, con esso, degli interessi sottesi alla partnership bilaterale. I mutui benefici che questo modello ha prodotto fino ad ora potrebbe mettere in sicurezza la solidità della collaborazione tra i due Paesi anche a fronte del recente cambio di governo avvenuto a Luanda. Lo scorso settembre, infatti, è stato eletto nuovo Presidente Joao Lourenço, promotore di un rinnovamento politico volto a scardinare le inefficienze prodotte dal sistema di corruzione. Lourenço, infatti, punta a sradicare l’impostazione oligarchica del Paese, mettendo fine ai privilegi di cui gode soltanto una ristretta cerchia di persone e combattere la sperequazione sociale, in un rentier state come l’Angola, da sempre vittima del paradosso della maledizione delle risorse. La lotta alla corruzione è considerata dal nuovo Presidente l’unica strada percorribile per poter intraprendere quel “miracolo economico” da egli stesso promesso, che prevede l’attuazione di politiche di maggiore trasparenza e responsabilità, tramite il risanamento economico-finanziario e attraverso una più equa allocazione dei profitti ottenuti grazie al petrolio. Il successo di questo programma politico-economico, dunque, è una variabile chiave per garantire al Presidente non solo di mantenere le promesse elettorali ma anche di consolidare i propri consensi agli occhi dell’opinione pubblica angolana.

Tuttavia, da un paio d’anni a questa parte Luanda sta vivendo una fase finanziariamente travagliata a causa del crollo del prezzo internazionale del petrolio e delle esportazioni. Si assiste ad un periodo di fragilità e instabilità dell’economia petrolifera, affiancato da un tasso di inflazione in aumento, da una crescita del prezzo dei beni primari, da un elevato debito pubblico e da una significativa svalutazione della moneta. Per cercare di far fronte alle criticità causate dalle negative congiunture internazionali, il governo Lourenço è sembrato continuare a guardare con interesse al rapporto con Pechino. Lo scorso 13 gennaio, infatti, in occasione del 35° anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, si è tenuto un incontro tra il Presidente Lourenço e il Ministro degli Affari Esteri Wang Yi, durante il quale è stato dichiarato che la Cina è intenzionata a rafforzare i propri rapporti con l’Angola, a portare le relazioni bilaterali ad un nuovo livello e ad espandere le aree di cooperazione. Proprio negli ultimi mesi, infatti, sono stati sottoscritti accordi Cina-Angola per prestiti che ammontano a 4,4 miliardi di dollari, che costituiscono più della metà dei prestiti contratti dall’Angola nel 2018.

In questo contesto, la sfida per il governo Lourenço sarà conciliare la fruttuosa collaborazione con i partner cinesi sia con la necessità di diversificare le relazioni internazionali sia con quel progetto di ampio respiro volto a scardinare i meccanismi oligarchici dal Paese ed assicurare uno sviluppo economico diffuso trasversale alla società interna. Solo il raggiungimento di entrambi gli obiettivi, infatti, permetterebbe al governo di mantenere le proprie promesse elettorali e non solo avviare il Paese verso una fase di nuova stabilità ma soprattutto di riscuotere importanti consensi agli occhi dell’opinione pubblica, interna ed internazionale.

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