Gli Al Saud e il pantano yemenita
Medio Oriente e Nord Africa

Gli Al Saud e il pantano yemenita

Di Stefania Azzolina
02.10.2016

La situazione in Yemen non sembra evolversi verso uno scenario di stabilizzazione e pacificazione. Infatti, parallelamente al completo stallo dei negoziati di pace in corso in Kuwait sotto l’egida delle Nazioni Unite tra i rappresentati del Governo di Abd Rabbih Mansur Hadi e dei ribelli Houthi, appoggiati dai fedeli dell’ex Presidente Saleh, lo scenario continua a essere caratterizzato da un’alta conflittualità e dalla presenza di una pluralità sia di fronti di combattimento, sia di attori coinvolti.

In generale, la situazione sul terreno vede le forze del Presidente Hadi sottoposte ad una forte pressione esercitata sia dell’insorgenza Houthi sia dall’attività dei gruppi jihadisti (leggasi al-Qaeda nella Penisola Arabica, AQAP, e, in misura minore, Stato Islamico). Soffermando l’attenzione sullo scontro tra le forze governative e il fronte Houthi-Saleh, quest’ultimo continua a controllare buona parte di tutte le regioni occidentali del Paese: la regione sud-occidentale di Taiz, infatti, la capitale Sanaa, su fino alla regione settentrionale di Sahad al confine con le province saudite di Jizan, Asir e Najran. Tale risultato è stato possibile grazie all’alleanza di comodo stipulata tra l’ex Presidente Saleh e la militanza Houthi che, lungi dall’essere un accordo capace di costituire una vera alternativa ad Hadi alla guida del Paese, mira più che altro alla spartizione dello Yemen in 2 entità rispettivamente a nord sotto la guida Houthi e a sud sotto l’influenza di Saleh. La condivisione di tale progetto ha fatto sì che molti reparti delle Forze di Sicurezza yemenite rimaste fedeli a Saleh (i vertici della Guardia Repubblicana e dell’Aeronautica Militare nonché ampi settori dell’Esercito, provenienti prevalentemente dalla tribù al-Ahmar della confederazione Hashid, principale gruppo etnico-tribale dello Yemen) abbiano sostenuto negli ultimi 2 anni l’avanzata degli Houthi dapprima senza esercitare opposizione e successivamente fornendo un supporto diretto alle azioni dei ribelli zayditi. Tutto ciò nonostante lo schieramento, al fianco del Presidente Hadi, di una coalizione internazionale a guida saudita intervenuta nel conflitto a partire dal marzo 2015 quando la presa di Sanaa da parte del fronte ribelle aveva costretto il Presidente Hadi e tutto il suo governo a ripiegare ad Aden. L’intervento a guida saudita si è articolato sulla campagna aerea DECISIVE STORM (che ha visto la partecipazione di Marocco, Egitto, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait, Giordania e Pakistan) e su un’operazione terrestre, denominata GOLDEN ARROW, avente l’obiettivo di rafforzare le posizioni lealiste nel sud del Paese per poi risalire fino alle regioni più settentrionali. In realtà nel corso di quest’ultimo anno e mezzo il fronte Hadi ha incontrato notevoli difficoltà, mentre i ribelli hanno incrementato la propria pressione sul confine saudita, ormai a pieno titolo tra i fronti più caldi dei combattimenti in corso in Yemen. Infatti, nonostante queste zone siano state tradizionalmente interessate da attacchi di guerriglia ad opera dell’insorgenza Houti, nell’ultimo anno e mezzo si è assistito ad una vera e propria escalation. Agli attacchi spot si sono sostituite delle vere e proprie operazioni militari volte non solo a colpire il territorio saudita, ma a prenderne l’effettivo controllo. E’ in quest’ottica che va letta l’offensiva iniziata lo scorso 26 agosto dal fronte Houthi-Saleh nella regione di Najran e, in particolare, nei pressi della sua omonima capitale posta a circa 10 km dal confine. Conquistati alcuni sobborghi meridionali della città, le operazioni sono attualmente concentrate su 3 fronti: la diga di Najran, il distretto di Aba as Suud e un compound militare presente nel sobborgo occidentale della città. A ciò bisogna aggiungere l’importanza della conquista del Porto di Midi (situato nell’estremo nord della provincia settentrionale di Hajjah a ridosso del confine saudita) da parte delle milizie Houthi, avvenuta lo scorso 5 settembre, che potrebbe così essere trasformata dai ribelli in un hub logistico per espandere ulteriormente le operazioni nel quadrante nord ed in territorio saudita. Parallelamente alla pressione esercitata dal fronte Houthi-Saleh, le forze di Hadi hanno dovuto far fronte negli ultimi 2 anni ad un’intensificazione dell’insorgenza jihadista. In particolare AQAP, avvantaggiandosi del sempre più marcato vuoto di potere e dell’assenza di qualsiasi struttura istituzionale, è andata via via sostituendosi allo Stato, soprattutto nelle regioni di Shabmah e Hadramawt, grazie alla fornitura dei servizi essenziali alla popolazione e alla garanzia di una reale amministrazione di territori formalmente sotto il controllo governativo. Nonostante lo scorso aprile le forze fedeli al Presidente Hadi abbiano riconquistato la città portuale di Mukalla (molto probabilmente grazie alla mediazione di alti esponenti salafiti yemeniti), di fatto, AQAP continua a controllare vaste aree di territorio divenute inaccessibili alle forze di sicurezza anche grazie al supporto che la popolazione garantisce ai singoli leader locali. Parallelamente al rafforzamento di AQAP, si è assistito ad una serie di dichiarazioni di fedeltà (Wilayat) allo Stato Islamico da parte di diversi gruppi jihadisti locali. Questi ultimi, da sempre espressione di una forma di insorgenza salafita autoctona e di fatto a sé stante rispetto ai gruppi di respiro transnazionale, hanno sposato la causa dello Stato Islamico per fini prettamente utilitaristici (maggiore risonanza delle proprie azioni e accesso a specifici canali di finanziamento) più che per una reale adesione ideologica. Tali milizie sono attualmente presenti in diverse aree del Paese, a nord come a sud, e sono prevalentemente impegnate nella realizzazione di attacchi contro le forze di Hadi, attacchi che hanno colpito in più occasioni anche la città di Aden, attualmente sede del Governo e della Presidennza Hadi. La situazione fin qui tracciata sul piano militare rende difficile ipotizzare una risoluzione del conflitto nel breve periodo. Al contrario, la partita in corso a Sanaa e, soprattutto, l’attuale situazione al confine settentrionale con l’Arabia Saudita, rischiano di generare un’ulteriore escalation della crisi. In particolare, la diffusione del conflitto yemenita in territorio saudita rappresenta un elemento di elevata criticità che potrebbe comportare anche il riacuirsi di focolai di instabilità all’interno del Regno, soprattutto di fronte al perdurare dell’incapacità da parte di Riad di contrastare l’espansione dell’insorgenza yemenita. È sempre più chiaro, infatti, che le capacità saudite dimostrate nella lotta contro il fenomeno qaedista nel Paese (di fatto, tutti i più grandi attentatati di AQAP al di fuori della Penisola Arabica sono stati sventati grazie alle informazioni raccolte dall’intelligence saudita) non sono assolutamente paragonabili rispetto a quanto il Regno sta facendo in Yemen per riportare Hadi a Sanaa. Tante sono le lacune evidenziate dal costosissimo strumento militare saudita, mentre anche a livello diplomatico la crisi yemenita vede una fase di stallo, derivante sia dalla scarsa propensione al compromesso delle dirette parti in causa, sia dalla poca rilevanza che in questo momento lo Yemen occupa nell’agenda politica internazionale. La guerra civile yemenita, di fatto, rimane una questione regionale e, in quanto tale, è vittima degli attuali giochi di influenza all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo e tra questo e il vicino Iran che vorrebbe utilizzare lo scacchiere yemenita come primo, vero banco di prova per i nuovi equilibri di potere nel Golfo. Per ora, tuttavia, l’Arabia Saudita non sembra capace di riportare pace e stabilità nel cortile di casa yemenita.

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