Niente di nuovo sotto il sole azero
Europa

Niente di nuovo sotto il sole azero

Di Andrea Tolfa
24.11.2013

Sono ormai vent’anni che la Repubblica d’Azerbaigian, uno degli Stati più estesi e ricchi di risorse energetiche dell’area caspico-caucasica, è governata dalla famiglia Aliyev. Nel 1993 Heydar Aliyev, politico dalla controversa carriera nei ranghi del partito comunista azero prima e nel Politburo sovietico poi, approfittando delle dimissioni dell’allora Presidente Abulfaz Elcibay, ottenne il suo primo mandato. Un dominio decennale incontrastato che, di fatto, si è interrotto solo con la sua morte, avvenuta per motivi di salute, nel 2003.

Tuttavia, la successione al vertice dello Stato è stata diretta e indolore, dato che, qualche mese prima della morte del padre, il figlio, Ilham Aliyev, ha rilevato la sua carica, vincendo per la prima volta le elezioni presidenziali.

Il 9 ottobre 2013, a dieci anni di distanza dal suo primo successo elettorale, Aliyev è stato eletto Presidente per la terza volta consecutiva, sfruttando la riforma costituzionale del 2009, che ha rimosso ogni limite nel numero dei mandati, e festeggiando un risultato plebiscitario (84,5% dei consensi contro il 5,5% raccolto dal suo rivale, lo storico Yasim Hasanli).

L’esito di queste consultazioni non ha lasciato sorpresi né gli osservatori internazionali né quelli locali. Le disparità delle forze in campo erano note sin dall’inizio. Da una parte, infatti, la fazione politica del Presidente, il Partito Nuovo Azerbaigian, in questi anni ha beneficiato di una notevole espansione delle proprie risorse politico-amministrative grazie ai proventi dei petrodollari. Per contro, il fronte delle opposizioni si è rivelato debole, sia sul piano dei programmi che delle risorse. Il progressivo accentramento del potere decisionale nelle mani di poche figure di vertice, la persistente repressione del dissenso interno e il controllo capillare dei principali mezzi d’informazione da parte degli apparati governativi hanno contribuito a creare un sistema di potere verticale e verticistico all’interno del quale l’influenza dei partiti di opposizione è assai debole.

Infatti, alcuni dei possibili avversari del Presidente sono stati esclusi dalla corsa elettorale prima di poter presentare la propria candidatura. Questo è il caso di Ilgar Mammadov, blogger e fondare del movimento Republican Alternative, arrestato lo scorso febbraio con l’accusa di aver organizzato una sommossa popolare e di aver incitato alla resistenza alle forze dell’ordine. A seguito di queste imputazioni, il Comitato elettorale centrale ha respinto la sua richiesta di concorrere per le elezioni presidenziali, invalidando alcune migliaia di firme da lui depositate a sostegno della propria candidatura.

Lo stesso destino è capitato a Rustam Ibragimbekov, regista e produttore cinematografico scelto dal Consiglio Nazionale delle forze democratiche come proprio candidato, che è stato costretto a rinunciare a causa della sua doppia nazionalità, azera e russa, in virtù di una norma contenuta nella Costituzione. Infatti, uno dei requisiti per i candidarsi alle elezioni presidenziali è quello di possedere un’unica nazionalità. Pare che, a fronte della richiesta di Ibragimbekov di rinunciare alla cittadinanza russa, a Mosca abbiano agito con particolare lentezza, impedendogli così di regolarizzare la sua posizione in tempo utile per presentare la candidatura.

Se sul risultato finale del voto non vi erano dubbi, pareri contrastanti sono stati espressi sullo svolgimento delle procedure elettorali. Le opposizioni hanno denunciato procedure di voto irregolari, come la pratica diffusa del voto multiplo e addirittura la pubblicazione dei risultati finali già prima della chiusura dei seggi. Chi infatti in quei giorni ha scaricato un’applicazione per cellulari e tablet, appositamente progettata dalla Commissione elettorale centrale per permettere ai cittadini di seguire le elezioni in maniera interattiva, ha potuto leggere in anteprima i risultati, con tanto di percentuali, nonostante il voto non fosse ancora ultimato.

Queste pesanti accuse di brogli hanno trovato parziale riscontro nella relazione finale della missione di osservatori internazionali dell’OSCE. Nel documento che riporta le conclusioni preliminari si legge infatti che le elezioni sono state minate da limitazioni della libertà di espressione, di assemblea e di associazione e che le intimidazioni verso gli elettori e un ambiente restrittivo dei media hanno inficiato la campagna. Nel complesso il giudizio su quanto osservato è abbastanza severo.

Al contrario, sul fronte internazionale i giudizi non sono stati uniformi. In contrasto con le rilevazioni degli osservatori OSCE sono state le valutazioni positive di Washington, Bruxelles e Mosca. La Russia, l’UE e gli USA hanno ritenuto opportuno glissare il criticismo delle ONG al fine di non compromettere i rapporti con il governo di Baku e non alimentare le proteste delle opposizioni. Infatti, preservare la stabilità politica interna di un importante partner energetico quale l’Azerbaigian, che al momento conta riserve provate di petrolio per 7 miliardi di barili e di gas naturale per 850 miliardi di metri cubi, è un fattore prioritario per quei Paesi che hanno scommesso, tramite gli investimenti esteri diretti, sullo sviluppo azero, legato indissolubilmente alla stabilità offerto dalla monocrazia di Aliyev.

L’Azerbaigian rappresenta un partner strategico fondamentale soprattutto per il continente europeo, in quanto il consolidamento delle relazioni energetiche consentirà a quest’ultimo di diversificare l’approvvigionamento e al contempo ridurre la dipendenza di energia dalla Russia, in particolare per quanto riguarda il gas naturale. Gli accordi con l’UE hanno per l’Azerbaigian un’importanza fondamentale, in quanto rappresentano la garanzia di esportazioni costanti di idrocarburi per gli anni a venire, in un mercato energetico sempre più competitivo e frammentato. La sicurezza dell’export energetico è un fattore non secondario per Baku, soprattutto per il tentativo di risollevare un PIL che in questi ultimi anni ha sensibilmente rallentato la sua crescita, a causa del calo delle estrazioni di petrolio. Dopo ritmi di crescita da capogiro (tra il 2005 e il 2007 l’economia azera è stata quella che è cresciuta più velocemente in tutto il mondo), anche grazie alla messa in funzione della pipeline Baku–Tbilisi–Ceyhan, il Paese si trova oggi a dover affrontare il problema dell’inevitabile diminuzione dell’esaurimento dei giacimenti petroliferi, la cui produzione massima è stata raggiunta nel 2010, salvo poi iniziare la graduale diminuzione. Per questo l’esportazione di gas rappresenta una delle maggiori speranze di riportare la crescita del Paese ai livelli degli anni precedenti, anche se tale settore è sicuramente più volatile e meno remunerativo rispetto a quello petrolifero.

È in questa strategia di sviluppo che s’inserisce il progetto TAP, Trans Adriatic Pipeline. Questo gasdotto, la cui costruzione è prevista per il 2015 e la messa in funzione per il 2019, sarà il prolungamento dell’attuale rete Desfa, che dal giacimento azero di Shah Deniz trasporta gas, attraverso la Turchia, fino alla Grecia. Il TAP permetterà all’oro azzurro di continuare il suo percorso passando per l’Albania, attraversare il Mar Adriatico grazie ad una sezione off-shore e riemergere infine sulle coste italiane nei pressi di San Foca, in Puglia. Secondo i dati forniti dalla società di costruzione avrà una capacità tra i 10 e i 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno.

Nel complesso, la terza presidenza Aliyev appare sufficientemente solida e stabile, almeno in un’ottica di medio periodo. Tuttavia, l’establishment di potere dovrà confrontarsi con le sfide future: un’opposizione interna che, nonostante i magri risultati ottenuti alle recenti elezioni, si è dimostrata in crescita, sia a livello organizzativo che numerico. Infatti, per la prima volta in molti anni, i vari partiti si sono presentati uniti all’appuntamento elettorale e il 5,5% conquistato da Hasanli è comunque il doppio di quanto ottenuto da Igbal Aghazde, candidato dell’opposizione alle presidenziali del 2008.

Inoltre, il progresso economico e la maggiore apertura al mondo esterno hanno contribuito a plasmare una società civile più istruita e moderna, più attenta all’attività di governo e meno disposta a tollerare restrizioni delle libertà fondamentali e abusi di potere.

Sul fronte interno poi, Aliyev sarà costretto a guardarsi dai nuovi oligarchi azeri, uomini del governo che grazie agli immensi proventi energetici degli ultimi anni sono riusciti a scalare le gerarchie dell’apparato politico, ponendosi come potenziali concorrenti per l’attuale élite di governo.

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