Il difficile percorso del Venezuela nel post-Chavez
Americhe

Il difficile percorso del Venezuela nel post-Chavez

Di Andrea Fumarola
14.05.2013

Le elezioni presidenziali venezuelane del 14 aprile scorso – le prime del dopo Chávez – avrebbero dovuto rappresentare un momento di stabilizzazione politica e sociale dopo il vuoto improvviso venutosi a creare con la morte del suo Lider maximo. E invece, la vittoria del Presidente designato Nicolas Maduro per soli 235 mila voti (50,66% contro il 49,07% dello sfidante Capriles), sembra aver portato il Venezuela sull’orlo di una profonda crisi, soprattutto sul versante interno, consegnando un Paese oggi fortemente polarizzato rispetto al passato e in cui l’opposizione è tornata a far sentire con forza la propria voce, nonostante tanto il neopresidente quanto il Comitato Nacional Electoral (CNE) abbiano dichiarato il risultato elettorale legale e irreversibile. Tuttavia, in queste settimane il clima non ha accennato a raffreddarsi, con entrambi gli schieramenti fermi sulle proprie posizioni a rivendicare la vittoria. Capriles, in particolare, ha annunciato battaglia, recandosi la scorsa settimana insieme ad alcuni suoi collaboratori davanti al Tribunal Supremo de Justicia per presentare il contenzioso elettorale chiedendo l’annullamento delle elezioni, una indizione nonché la rimozione di due giudici del CNE.

Lo scarto ridotto con cui Maduro e il PSUV restano oggi alla guida del Paese, rappresenta senza dubbio un risultato a sorpresa per delle elezioni in cui gran parte dell’opinione pubblica sembrava convinta della spinta emotiva data dalla scomparsa di Chávez, tale da assicurare all’establishment governativo una tranquilla riconferma a Palazzo di Miraflores. Ma qualcosa sembra non essere andato secondo le previsioni, consegnando agli eredi del chavismo il ‘peggiore successo’ della loro storia, nonostante la vittoria di ottobre e quella successiva alle amministrative di dicembre. Sembra che il vuoto lasciato dall’ex Presidente si sia rivelato molto più profondo del previsto, privando quasi completamente il partito e il suo attuale leader di qualunque credibilità e impedendo allo stesso Maduro di stabilire quel rapporto simbiotico con il popolo venezuelano su cui il suo predecessore aveva basato il proprio potere politico per quasi 14 anni. Dei circa 7 milioni e 200 mila voti ottenuti da Capriles, circa 650 mila provengono proprio dall’elettorato chavista – frantumato dopo la scomparsa del proprio leader – in parte deluso dal quindicennio bolivariano, in parte convinto dalla proposta politica dell’opposizione. Certamente la responsabilità e l’unione ritrovata in questo ultimo anno dalla destra ha giocato un ruolo importante, accrescendone la credibilità e la popolarità, soprattutto davanti ad una classe politica governativa restia al rinnovamento sia dal punto di vista delle persone che dei processi di policy-making.

Le ragioni della ‘amara vittoria’ di Maduro sono da ricercarsi principalmente nella crisi profonda di un progetto – quello bolivariano di grandeur regionale – che negli ultimi anni continuava a tenersi in vita quasi esclusivamente sulla figura carismatica del colonnello Chávez. L’improvvisa uscita di scena del Lider maximo sembra aver aperto gli occhi dei venezuelani sulla difficile situazione economica che il Paese si trova oggi a dover affrontare. Proprio quell’economia che ha costituito per anni il vanto dell’apparato chavista, esempio vincente del cosiddetto “socialismo del XXI secolo” opposto al modello neoliberista statunitense. Ed invece, oggi, il Venezuela deve fare i conti con un debito pubblico aumentato in modo esponenziale (fino al 54%) e con tassi di disoccupazione e d’inflazione tra i più alti del subcontinente latinoamericano, con quest’ultima attestata intorno al 28%. Persino il tasso di povertà, cavallo di battaglia del chavismo, è tornato a salire in modo preoccupante dopo la discesa dovuta alle ingenti spese per il welfare sostenute in questo “decennio lungo” dal governo di Caracas. Ma oggi tali manovre espansive non sembrano più possibili, soprattutto da quando la crisi economica ha colpito al ribasso il prezzo del petrolio, fino al 2009 forza propulsiva della crescita venezuelana. Oggi, la macchina statale sembra bloccata, in particolare nell’ambito di gestione della spesa pubblica. E una tale situazione ha favorito il crescere di tensioni sociali e malcontento, incrementando la contrapposizione politica in cui Capriles è stato abile a sfruttarne il varco.

In ambito internazionale, il voto di aprile farà certamente sentire i propri effetti, così com’era accaduto al momento della scomparsa di Hugo Chávez. Molti analisti, dopo il complesso esito elettorale, si erano affrettati ad affermare che il nuovo governo Maduro avrebbe ‘raffreddato’ i rapporti diplomatici con il vicinato regionale. In realtà in queste prime settimane a Miraflores, il neo Presidente e la sua cancelleria hanno organizzato summit con i vertici istituzionali di diversi Stati della regione –il Presidente è stato in Argentina, Perù, Uruguay e Brasile – nonché annunciato la propria presenza ai prossimi vertici dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) e del Petrocaribe. La nuova amministrazione Maduro, dunque, non solo sta dimostrando di voler mantenere intatta la cooperazione regionale in tema di risorse petrolifere, ma addirittura di volerla rilanciare rinsaldando i rapporti con le cancellerie sudamericane, nonostante il difficile momento che il Paese sta vivendo al suo interno dal punto di vista politico, sociale ed economico. Il rilancio della ‘petrodiplomacia’ va inquadrata nell’operazione fortemente politica che Maduro sta conducendo non solo a proprio favore, ma anche contro l’opposizione guidata da Capriles. Gli incontri in programma – ufficialmente legati al «completamento del processo d’integrazione energetica, finanziaria, economico-produttiva, culturale e politica» – sono serviti, da un lato, a garantire la legittimazione e l’appoggio al nuovo governo da parte dei Paesi dell’area caraibica e sudamericana, dall’altro, a persuadere i suoi interlocutori a non dare eccessivo peso alle denunce levatesi dall’opposizione di destra e indirizzate proprio ai Paesi della regione sudamericana ed europei.

Le cancellerie sudamericane non si sono strategicamente esposte nel merito della gestione della crisi venezuelana, nonostante abbiano tutte – con maggiore o minore convinzione – riconosciuto il risultato ufficiale delle elezioni. Solo il Presidente peruviano, Rafael Roncagliolo, in occasione del vertice UNASUR a Lima lo scorso 18 aprile, ha “raccomandato” a Maduro «tolleranza e dialogo» nella gestione della delicata situazione interna, scatenando il risentimento della nuova amministrazione post-chavista. Tale appello, tuttavia, sembra non essere stato accolto dal governo Maduro che, in queste settimane, non solo non ha consentito al CNE di effettuare il riconteggio dei voti, ma ha ordinato l’arresto di diversi dirigenti dell’opposizione accusandoli di “tradimento della patria” e impedendo alla forza di opposizione Mesa de la Unidad Democratica di partecipare ai dibattiti in Parlamento. Un clima davvero difficile che, insieme alle crescenti problematiche economiche e sociali rischia di trasformarsi in una vera polveriera che il neo presidente Maduro dovrà cercare di spegnere al più presto per evitare di far piombare il Paese in una sanguinosa quanto deleteria guerra civile.

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