La crisi anglofona in Camerun: la marginalizzazione linguistica all’origine della guerra civile
Africa

La crisi anglofona in Camerun: la marginalizzazione linguistica all’origine della guerra civile

Di Melania Malomo
21.11.2019

Lo scorso primo ottobre, in occasione dell’anniversario dell’unificazione tra la Repubblica del Camerun (ex colonia francese) e il Camerun occidentale (ex colonia inglese), che ha dato vita all’attuale Repubblica del Camerun, il Presidente Paul Biya ha inaugurato l’iniziativa “Dialogo Nazionale”, nel tentativo di favorire il confronto pacifico tra le diverse componenti linguistiche del Paese allo scopo di risolvere il conflitto civile tra la maggioranza francofona e la minoranza anglofona.

In questa occasione, il Presidente ha anche concesso l’amnistia a 333 individui sospettati di aver combattuto tra le file dei separatisti, con l’auspicio che tale atto potesse manifestare le buone intenzioni del governo centrale verso il tentativo di riconciliazione e convincere così i leader ribelli anglofoni a partecipare alla conferenza. Questi tentativi si sono però mostrati vani, poiché i rappresentanti separatisti anglofoni hanno boicottato la conferenza, spiegando che la liberazione dei 333 detenuti non poteva considerarsi sufficiente a moderare le richieste di indipendenza dell’Ambazonia, l’autoproclamato Stato che comprende le due provincie anglofone (la provincia del Nord-ovest e quella del Sud-ovest) del Paese. Infatti, sebbene Biya abbia liberato i 333 presunti separatisti, nelle carceri vengono ancora trattenuti 5.000 combattenti anglofoni condannati all’ergastolo con l’imputazione di terrorismo, tra cui Julius Ayuk Tabe, il primo Presidente dell’Ambazonia. Di conseguenza, dal momento che hanno partecipato al dialogo tutte le varie componenti linguistiche nazionali meno che quella anglofona, che doveva essere la principale referente di qualsiasi tentativo di riconciliazione, l’incontro non ha raggiunto gli obbiettivi auspicati.

Oltretutto, nonostante siano state avanzate importanti proposte da parte del governo di Yaoundé per la concessione di una maggiore autonomia sia politica che amministrativa alle provincie a maggioranza anglofona, Biya ha trasformato il dialogo in un monologo, in quanto non era possibile intervenire dal pubblico per fare domande o chiedere chiarimenti, soprattutto riguardo la narrativa revisionista che il Presidente ha usato per descrivere il conflitto, focalizzandosi unicamente sulle violazioni dei diritti umani ad opera delle milizie anglofone e omettendo invece le violenze perpetrate dalle forze governative. Inoltre, il Presidente ha dichiarato che le richieste della comunità anglofona risultano infondate, dal momento che Yaoundé aveva già completamente implementato le loro istanze a seguito delle proteste del 2016. Tuttavia, ancora oggi il popolo di lingua inglese non vede riconosciuti i propri diritti in quanto minoranza, gode di scarsa rappresentatività a livello governativo e, dal 2016, è sottoposta al controllo delle Forze Armate e alla legge marziale, circostanza che favorisce abusi ai danni della popolazione civile.

Il conflitto tra anglofoni e autorità statali ha avuto origine in seguito alla dura repressione governativa nei confronti di diverse manifestazioni pacifiche indette dal Consorzio della Società Civile Anglofona Camerunese (CSCAC) nell’ottobre del 2016. Nello specifico, a seguito dell’invio nelle regioni anglofone occidentali di giudici e insegnanti francofoni, insegnanti e avvocati hanno gremito le strade di Bemenda (il capoluogo della regione del Nord-ovest) per manifestare il proprio dissenso verso un atto che è stato percepito come marginalizzante nei confronti della minoranza linguistica.

Successivamente, le richieste dei manifestanti hanno assunto connotati più trasversali, quali la concessione di un elevato grado di autonomia regionale, con il ritorno all’assetto statale federale del 1961, quando le regioni anglofone godevano di maggiore autonomia. La reazione del governo è stata quella di reprimere duramente le proteste tramite intervento militare, procedendo con arresti arbitrari e atti di violenza ai danni della popolazione civile. Conseguentemente, la repressione governativa ha acuito i toni delle proteste e, il primo ottobre del 2017, le due regioni anglofone hanno unilateralmente dichiarato l’indipendenza dell’Ambazonia.

Da allora, l’azione governativa si è fatta più violenta, anche nel tentativo di neutralizzare la moltitudine di milizie separatiste, riunite sotto l’egida delle Forze di Difesa del Camerun Meridionale (FDCM), sorte in seguito alla cruenta repressione delle proteste pacifiche. Il Presidente Biya ha quindi dichiarato lo stato d’emergenza, il che gli ha dato la possibilità di applicare sul territorio una legislazione anti-terroristica fortemente limitante le libertà personali. Per combattere questa percepita minaccia, il governo centrale impiega contro i gruppi armati anglofoni di truppe altamente addestrate, quali il Battaglione d’Intervento Rapido (BIR), le stesse truppe utilizzate per neutralizzare l’azione di Boko Haram.

Una forma di protesta pacifica molto utilizzata dal Consorzio Anglofono è stata quella di promuovere ogni lunedì lo sciopero generale. Tuttavia, tale iniziativa è degenerata in violenza. infatti, da una parte, gli “Amba-boys” (nome generico utilizzato per definire le unità combattenti anglofone) si assicuravano che il divieto non fosse contravvenuto tramite saccheggi, azioni di guerriglia urbana e sequestri ai danni di quella parte della popolazione che decideva di non aderire allo sciopero. Tali gruppi armati si auto-finanziano attraverso questi saccheggi oppure tramite il supporto proveniente da gruppi paramilitari stanziati al confine con il territorio nigeriano. Dall’altra parte, le forze armate hanno usato il pugno di ferro contro gli scioperanti ed i ribelli, arrivando a radere al suolo interi villaggi.

Quello che è ormai diventato un autentico conflitto civile ha impattato drammaticamente sulle già precarie condizioni di vita dei civili, causando, oltretutto, circa mezzo milione di sfollati, molti dei quali rifugiatisi nella vicina Nigeria. Se qualcuno ha deciso di fuggire, qualcun altro ha deciso, al contrario, di unirsi alla causa separatista, arruolandosi nelle milizie. D’altronde, da un recente sondaggio, è emerso che circa due terzi della popolazione dell’Ambazonia guarda positivamente all’azione dei gruppi armati, in quanto quest’ultimi hanno gradualmente ottenuto il favore della popolazione.

Questa situazione precaria originata dalla marginalizzazione della componente anglofona all’interno dell’assetto statale camerunese non si configura come un fenomeno recente, ma ha origini lontane, che risalgono al periodo coloniale. La Repubblica, allora sotto il nome di “Kamerun”, faceva parte dell’impero coloniale tedesco. Dopo la sconfitta subita durante la Prima Guerra Mondiale, il territorio dell’attuale Camerun venne spartito tra due potenze vincitrici: la Francia ottenne l’80% del territorio, mentre al Regno Unito venne assegnata la porzione rimanente. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante il periodo di decolonizzazione, le due regioni ottennero l’indipendenza: il Camerun Francese fu dichiarato indipendente nel 1960, mentre alla popolazione del Camerun occidentale fu sottoposto un referendum nel 1961, sotto la supervisione dall’ONU, sull’annessione alla Nigeria oppure alla Repubblica del Camerun. I risultati del referendum, che non prevedeva in alcun caso l’opzione indipendenza, hanno palesato la volontà degli anglofoni di unirsi al Camerun francese. Così, il primo ottobre dello stesso anno, il Presidente del Camerun, Ahmadou Ahidjo proclamò la nascita della Repubblica federale del Camerun.

Questo assetto statale, che garantiva una considerevole autonomia alle regioni anglofone, non è stato inserito all’interno dell’assetto costituzionale della Repubblica ma l’ampia discrezionalità decisionale locale era garantita solo tramite accordi taciti tra le parti. Grazie a questo escamotage, il leader francofono Ahmadou Ahidjo ha potuto avviare un processo di graduale centralizzazione dell’apparato statale che ha raggiunto il suo apice nella cosiddetta “Gloriosa Rivoluzione del 20 marzo 1972” quando, a seguito di un nuovo referendum, il sistema federale è stato abrogato e sostituito da un assetto centralista ed unitario. A questo punto, la forte centralizzazione ha generato un fenomeno di francesizzazione degli apparati pubblici e statali, cui ha fatto seguito una drastica diminuzione dei rappresentanti politici anglofoni all’interno degli organi decisionali, attraverso l’attuazione della “regional balance policy” nel 1975. Negli anni ’80, inoltre, la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi nella penisola di Bakassi, nella regione anglofona meridionale, al confine con la Nigeria, ha acuito le tensioni tra la popolazione di lingua inglese e il governo centrale. Yaoundé ha affidato l’attività estrattiva a grandi multinazionali, in particolare Perenco (anglo-francese), Total (francese), Shell (anglo-tedesca) e ExxonMobile (americana), ma i profitti non sono stati equamente redistribuiti tra la popolazione. Oltre ad aver generato una disputa territoriale con la Nigeria, risolta in seguito alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel 2002, la presenza di giacimenti di idrocarburi nella penisola rende ancora più difficile l’eventualità dell’indipendenza anglofona, dal momento che l’economia del Camerun è largamente dipendente dall’attività estrattiva, che tutt’ora rappresenta il 40% del PIL.

In questo contesto, anche le élite anglofone moderate hanno perso legittimità a causa della loro negazione della questione anglofona e della conseguente connivenza con le politiche di Biya. Questa perdita di autorevolezza, da parte sia del governo centrale che dell’élite moderata, inevitabilmente consegna nelle mani delle milizie separatiste il futuro dell’agenda politica anglofona e fa guadagnare popolarità ad azioni politiche radicali, in contrapposizione ad un più moderato ritorno ad un assetto statale di tipo federale. Il rischio è che, fintantoché l’azione del governo continuerà a reprimere il dissenso attraverso l’uso della forza, la distanza tra i bisogni reali delle regioni occidentali e le politiche promosse dall’autorità centrale potrebbe ulteriormente allagarsi, al punto che non solo le istanze delle due parti potrebbero diventare inconciliabili ma, alla luce della retorica polarizzante impiegata da entrambe le fazioni, la crisi potrebbe degenerare in ulteriori episodi di violenza e ingovernabilità, arrivando a mettere in crisi l’unitarietà dello Stato. Questa eventualità potrebbe essere scongiurata da un’azione presidenziale finalizzata al riacquisto di autorevolezza agli occhi della popolazione, attraverso il riconoscimento delle radici storiche e culturali del malcontento anglofono.

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