Il Canada verso la presidenza del Consiglio Artico
Geoeconomia

Il Canada verso la presidenza del Consiglio Artico

Di Pietro Lucania
10.03.2013

Nel mese di maggio del 2013 il Canada assumerà la presidenza, per il biennio 2013-2015, dell’AC (Arctic Council), seguendo alla Svezia.

L’AC è il principale organismo intergovernativo della regione, le cui finalità sono quelle di promuovere lo sviluppo e la cooperazione tra i Paesi dell’area. Costituito nel 1996, ne fanno attualmente parte, in qualità di membri permanenti: il Canada, gli Stati Uniti, la Danimarca (anche in rappresentanza della Groenlandia e delle Isole Fær Øer), la Federazione Russa, la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia e la Svezia. Ad essi si aggiungono, con la medesima dignità giuridica, sei organizzazioni internazionali in rappresentanza delle popolazioni locali: l’Inuit Circumpolar Council (ICC); il Saami Council (SC); la Russian Association of Indigenous Peoples of the North (RAIPON); l’Aleut International Association (AIA), l’Arctic Athabaskan Council (AAC)e il Gwich’in Council International (GGI). Infine, in qualità di osservatori, sono presenti Gran Bretagna, Germania, Spagna, Polonia, Olanda e Francia.

Nel corso di alcuni incontri tra i rappresentanti del governo di Canada e Svezia, avvenuti nel mese di dicembre dello scorso anno, sono state discusse le linee guida della futura presidenza che si prepara ad affrontare una serie di nuove e complesse sfide.

Sino ad oggi, l’AC ha concentrato le proprie attività sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale riguardo i temi del cambiamento climatico e tutela dell’ambiente; tuttavia, gli obiettivi e le priorità della futura presidenza, saranno, oltre a quelli già citati, quelli di concentrarsi particolarmente sullo sfruttamento sostenibile delle risorse e sullo sviluppo di un trasporto sicuro e sostenibile per le comunità circumpolari.

In particolare, l’impatto dei cambiamenti climatici è destinato a rivestire un interesse notevole a causa delle implicazioni strategiche che potrebbe avere sui Paesi e sulle risorse dell’Artico.

In base alle attuali previsioni, ammettendo come costante l’attuale velocità di scioglimento, è possibile ritenere che nell’arco di quaranta o cinquant’anni il Mar Glaciale Artico potrebbe essere libero dai ghiacci.

In tal senso, la prospettiva di usufruire di nuove rotte commerciali e l’ipotetica possibilità di sfruttare riserve energetiche ingenti (secondo alcune stime pare che in queste zone siano conservate il 30% delle rimanenti risorse globali di gas e il 13% di quelle di petrolio), rappresentano delle opportunità che attirano l’attenzione non solo dei Paesi della regione, ma anche di attori quali Cina, Singapore e Corea del Sud, che da tempo aspirano a fare parte dell’AC e che intrattengono rapporti economici con i membri attraverso i principali gruppi petroliferi per attività di esplorazione offshore (tra questi: Statoil, ExxonMobil, Eni, Total, Shell, Gazprom e Rosneft).

Tuttavia, le aspirazioni strategiche dei Paesi artici devono necessariamente confrontarsi con la lacunosità del diritto internazionale sulla regolamentazione di questo spazio marino, il cui regime giuridico di riferimento è attualmente costituito dalla sola convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982. Inoltre, continuano a sussistere numerose controversie tra gli Stati rivieraschi dell’Artico quali il caso del mare di Beaufort (Canada/Stati Uniti); la dorsale di Lomonosov (Russia/Danimarca/Canada); l’isola di Hans (Danimarca/Canada); i passaggi a nord ovest e nord est (Canada/Russia).

Le rivendicazioni di Mosca si basano, soprattutto, sulla teoria secondo la quale le dorsali artiche di Lomonosov e di Mendeleev siano parte integrante della piattaforma continentale russa e, dunque, dovrebbero garantire diritti sovrani sul mare ben al di là delle attuali 200 miglia marittime. Per affermare le proprie intenzioni, la Russia, nell’agosto del 2007, con una mossa senza precedenti, ha messo in atto la spedizione Arktika 2007, raggiungendo con il sommergibile Mir-1 la profondità di 4.261 metri sul fondo dell’Oceano Artico, fissando così il vessillo nazionale al di sotto del Polo Nord geografico.

Al contrario, la posizione canadese focalizza l’attenzione alla definizione dei confini marittimi a partire dalla piattaforma continentale, riaffermando la sovranità sulle 1.600 isole dell’Artico canadese e sui fondali ricchi di risorse e a tutelare le popolazioni autoctone che da migliaia di anni vivono in quella regione.

Tale posizione entra però in contrasto con la visione degli Stati Uniti (in particolare sulla zona economica esclusiva, il passaggio a Nord-Ovest e il Mare di Beaufort, che gli USA vorrebbero acque internazionali soggette al libero passaggio) e con alcune posizioni della Danimarca (per quanto riguarda lo Stretto di Nares, tra l’isola di Ellesmere e la Groenlandia).

L’interesse geostrategico di quest’area è desumibile anche dall’incremento esponenziale delle esercitazioni militari organizzate (sia in ambito Nato che dalla Russia) e da specifiche strategie militari, in parte attuate, che prevedono dispiegamenti di truppe specializzate e l’istituzione di complessi posti di frontiera dotati di tecnologie idonee a compiti di sorveglianza e controllo.

Per ciò che attiene alle esercitazioni, nel marzo del 2012, 14 Paesi della NATO (per un totale di 16.000 unità specializzate) hanno dato luogo, in Norvegia, alla “Exercise Cold Response 2012”.

Il Canada ha partecipato con unità del 1° battaglione di fanteria del Royal Canadian Regiment e del Royal Canadian Horse Artillery, nonché di unità facenti parte dell’Arctic Response Company Group, unità appositamente creata per l’impiego in ambiente artico, formato principalmente da riservisti del 38° Canadian Brigade Group, con sede a Winnipeg.

Nel mese di aprile dello stesso anno, la Russia ha tenuto l’esercitazione “Ladoga 2012”, che ha avuto come centro operativo la Base aerea di Besovets, in Karelia, a cui ha preso parte personale della 200° Brigata di fanteria motorizzata di stanza a Murmansk e che ha visto il coinvolgimento delle basi aeree in Karelia, Murmansk, Kursk e Kaliningrad; nonché di numerose unità navali della Flotta del Nord.

La Brigata Artica, la cui sede sorge a pochi chilometri di distanza dal confine russo-norvegese, ha già avviato una propria ristrutturazione che verrà portata a regime nel 2015, con la dotazione di idonei veicoli multiruolo e la creazione di una componente aviotrasportata. Il dislocamento è previsto sia a Murmansk che ad Arkhangelsk.

La Commissione Europea, nel dicembre del 2008 ha chiesto il riconoscimento dello status di osservatore ed attende un responso che potrebbe venire proprio nel corso di quest’anno. Un recente documento, presentato a giugno del 2012 e caratterizzato dalla formula “conoscenza, responsabilità, impegno”, ha evidenziato la strategia europea per l’Artico ed ha sottolineato il cospicuo finanziamento finora erogato (1,14 miliardi di euro negli ultimi 5 anni) destinato alla ricerca ed allo sviluppo sostenibile della regione.

Anche l’Italia è candidata per l’ottenimento dello status di Paese osservatore in ragione di un impegno qualificato e storicamente consolidato in quell’area, nella consapevolezza di essere in grado di fornire un adeguato apporto alle molteplici attività destinate a beneficio di quell’area e delle popolazioni locali.

Il nostro Paese è stato uno dei nove firmatari nel 1920 del Trattato delle Svalbard/Spitsbergen e può vantare una adeguata presenza nell’ambito di importantissimi progetti di cooperazione internazionali nell’Artico: è il caso degli accordi siglati nel 1998 tra il CNR, l’ENEA ,l’INGV e il PNRA e le corrispondenti istituzioni scientifiche norvegesi, in attività di cooperazione in campi quali Biologia, Fisica dell’Atmosfera e dell’Atmosfera superiore; o la partecipazione al consorzio SIOS nell’ambito del quale il CNR ha largamente contribuito allo sviluppo del sito di Ny-Ålesund (un insediamento situato nel nord-ovest dell’isola di Spitsbergen), supportando i network tematici (Polar-AOD for aerosol e GMOS for mercury leading da parte del CNR) e partecipando allo sviluppo delle iniziative dell’Unione Europea (nel contesto dell’ESFRI) per lo sviluppo di larghe piattaforme mobili come Aurora Borealis e un aereo europeo troposferico.

Sempre dal 1998 l’Italia fa parte dell’ International Arctic Science Committee (IASC) e dal 2006 al 2009 ha avuto la presidenza dello European Polar Board.

Nell’ambito del Consiglio Artico il nostro Paese fornisce già un contributo al Consiglio ed ai suoi working groups; per quanto attiene alle altre organizzazioni artiche, l’Italia partecipa alle attività del Consiglio del Mar Baltico e del Consiglio euroartico di Barents.

Il CNR svolge un ruolo di primo piano, ma al suo fianco altri enti ed istituti operano e sono apprezzati per l’apporto scientifico nell’artico; tra questi l’OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale), l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e l’INGV (Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia), e molte Università italiane.

L’ipotesi di un allargamento dell’AC è sempre stata una questione controversa tra gli attuali aderenti ed in particolar modo osteggiate dalle organizzazioni che rappresentano le popolazioni locali, il cui ruolo rischierebbe di essere ridimensionato dall’ingresso di attori statuali.

Molte delle ONG che rappresentano i gruppi indigeni hanno sviluppato una decisa linea di salvaguardia ambientale, grazie anche ad una rete di collegamenti internazionali e, in tale contesto, svolgono un ruolo di opposizione serrata nei confronti delle politiche di sfruttamento delle risorse naturali: è il caso della RAIPON (Russian Association of Indigenous Peoples of the North), che da sola rappresenta 41 comunità locali e che nel recente passato ha visto cancellato il suo status da parte delle autorità russe.

Tra le posizioni della RAIPON è nota la decisione di appoggiare la richiesta di vietare la produzione del petrolio in zone dell’artico maggiormente abitate dalle popolazioni locali.

L’aspetto ablativo della decisione delle autorità russe, inquadrata in un contesto decisionale più ampio, ha destato preoccupazione tra gli altri rappresentanti.

Il Canada sa di avere davanti un periodo di due anni nel corso dei quali potrebbe intraprendere iniziative coraggiose per una politica di sviluppo a favore di quei popoli e di quella regione; nonostante tutto l’attenzione dovrà essere altissima stante gli interessi di molti Stati che cercheranno di prevalere su altri.

La recente nomina a ministro del Canada per il Consiglio Artico di una inuk, Leona Aglukkaq è stata salutata con favore da tutte le rappresentanze che ritengono estremamente significativa la scelta fatta dal governo canadese nella prospettiva di un lavoro a fianco alle popolazioni residenti: porre alla guida del consiglio una personalità così rappresentativa è stata sicuramente una mossa lungimirante da parte del Canada che dovrà prendere il timone di questa struttura, dopo esserne stata a capo, come primo Paese, nel 1996.

Gli sviluppi futuri dovrebbero necessariamente andare in direzione dell’elaborazione di un trattato omnicomprensivo (che disciplini cioè gran parte degli aspetti attualmente controversi) sull’Artico, prospettiva al momento poco realizzabile. Al contrario, appare è più concreta la possibilità di implementazione di organismi intergovernativi, qual è, appunto il Consiglio, al fine di accrescere la capacità di mediazione politica in un contesto le cui enormi potenzialità e ricchezze potrebbero essere fonte di conflittualità tra gli Stati.

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