Il governo libico ottiene la fiducia: insidie interne e influenze esterne
Medio Oriente e Nord Africa

Il governo libico ottiene la fiducia: insidie interne e influenze esterne

Di Giuseppe Palazzo
10.03.2021

Il Parlamento libico, riunito a Sirte da lunedì 8 marzo, ha votato la fiducia al nuovo governo ad interim. Sarà composto da 35 Ministri e guidato dal Premier Abdul Hamid Dbeibah, che giurerà il 15 marzo nella Camera dei Rappresentanti di Bengasi, in Cirenaica, come atto simbolico in nome della riconciliazione nazionale.

Il voto, che ha registrato 132 favorevoli e 1 contrario, ha avuto luogo nella città di Sirte, ovvero dove si era stabilizzata la linea del fronte in seguito alla ritirata dell’Esercito Nazionale Libico di Khalifa Haftar nell’estate 2020. La fiducia è arrivata dopo le tensioni emerse nei lavori parlamentari del 9 marzo e la serrata trattativa sui nomi tra il Primo Ministro Dbeibah e il Presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh. A sbloccare lo stallo è stato il compromesso raggiunto su alcuni Dicasteri chiave: la casella del Ministero degli Esteri sarà ricoperta da Najlaa al-Manqoush, docente universitaria ed esperta nella stabilizzazione post-conflitti; al Tesoro andrà al-Muhammad Ali al-Hawaij, che è stato consigliere economico nel Consiglio Presidenziale di Tripoli; all’Interno va Khaled Tijani Mazen, proveniente dal Fezzan e con importanti collegamenti con l’Italia. Per quanto riguarda il delicato Ministero della Difesa non si è giunti ad un nome condiviso e per adesso sarà ricoperto ad interim dal Primo Ministro.

La scelta dei Dicasteri non è stato l’unico intoppo nel processo di formazione del governo. Le accuse rivolte a Dbeibah di aver corrotto alcuni membri del Libyan Political Dialogue Forum al fine di farsi eleggere a Ginevra il 5 febbraio hanno in parte destabilizzato il percorso intrapreso e la legittimità del nuovo governo. Difatti, alcuni parlamentari hanno chiesto che il voto di fiducia fosse rimandato a dopo la pubblicazione del report delle Nazioni Unite sui presunti casi di corruzione (previsto per il 15 marzo). Il via libera raggiunto mercoledì 10 marzo ha contribuito a superare le polemiche interne, ma, nonostante gli oggettivi passi avanti finora compiuti, il nuovo esecutivo nasce con debolezze strutturali che potrebbero comprometterne la funzionalità. Al contempo, si sono registrate alcune voci dissonanti, come quella del parlamentare Ibrahim al-Darsi, noto per essere un forte oppositore dei Fratelli Musulmani, che ha contestato la nascita di un esecutivo ritenuto troppo vicino alle istanze tripoline.

L’intesa di Sirte ha trovato grande eco anche nelle principali cancellerie internazionali, le quali hanno espresso profondo gradimento per questo passo avanti verso un possibile processo di stabilizzazione interna. Tra le potenze internazionali più coinvolte nelle dinamiche libiche la Turchia rimane tra le più influenti e interessate a questi sviluppi. Ankara ha appoggiato fin da subito le azioni del Primo Ministro, tanto da ottenere dallo stesso Dbeibah un espresso appoggio in Parlamento (9 marzo) quando ha dichiarato che l’accordo marittimo firmato tra Governo di Accordo Nazionale (GNA) e Turchia del novembre 2019 deve rimanere in vigore in quanto è nell’interesse della Libia. Un endorsement che si aggiunge a quello più noto del Presidente Mohamed al-Menfi, vicino agli ambienti dell’Islam politico di Tripoli e sostenitore, quando era Ambasciatore in Grecia, dell’accordo marittimo tanto che, a causa di ciò, fu espulso dal Paese nel dicembre 2019.

Al netto dell’importante passo avanti, il tessuto sociale e militare libico rimane tuttavia ancora estremamente frazionato, nonché dominato da interessi contrapposti che sono sia di natura interna sia di derivazione esterna. Elementi notevoli e in grado di influenzare le prossime mosse del nuovo esecutivo, dato che il suo compito principale sarà quello di condurre il Paese alle elezioni del 24 dicembre 2021, cercando di contenere la lotta politica e l’inasprimento delle tensioni tra Tripolitania e Cirenaica a causa di eventuali rivendicazioni sulle quote di rappresentanza che potrebbero compromettere il successo dell’intera operazione di stabilizzazione.

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