Diga GERD, l’accordo impossibile tra Etiopia e Egitto
Il 14 luglio, Egitto, Etiopia e Sudan hanno annunciato di non essere riusciti a raggiungere un accordo dossier della diga GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam). La una nuova tornata di colloqui, con la mediazione dell’Unione Africana (UA), dovevano regolare le complesse questioni relative allo sfruttamento delle risorse idriche del Nilo e al proseguimento dei lavori della diga costruita da Addis Abeba. Le trattative si trascinano ormai da quasi un decennio in molteplici formati negoziali, senza, tuttavia, riuscire davvero a proporre soluzioni accettabili dai principali Paesi interessati.
L’ennesimo stallo decisionale è l’esito di un percorso di trattative che si è innescato ad inizio anno. A gennaio 2020, il tentativo di internazionalizzare le trattative ad opera dell’Egitto è scaturito in un incontro tra le autorità sudanesi, egiziane ed etiopi bilanciate dalla presenza degli Stati Uniti e dalla consulenza tecnica della Banca Mondiale. In seguito all’incontro, i tre paesi erano riusciti a raggiungere una convergenza preliminare sui criteri generali come il riempimento graduale del bacino, che dovrebbe avvenire nelle stagioni più umide come quelle estive, e allo stesso tempo garantire al Sudan e l’Egitto un quantitativo d’acqua minimo soprattutto nei periodi di siccità. Tuttavia, i negoziati sono entrati nuovamente in stallo dopo che Addis Abeba ha deciso di disertare la firma dell’accordo, a fine febbraio, presso la capitale statunitense.
Le autorità etiopi hanno preferito tornare sui propri passi, delineare le fasi di riempimento dando priorità assoluta alle esigenze interne, e solo in un secondo momento proporre (unilateralmente) le loro condizioni ad Egitto e Sudan. Infatti, il 30 aprile l’Etiopia ha avanzato la proposta di ratifica di un documento che definiva i ritmi di riempimento nei prossimi due anni. Tuttavia, questa proposta è stata rifiutata in tronco dal Cairo che ha rivendicato, di fronte alle Nazioni Unite, il diritto del popolo egiziano ad accedere alle acque del Nilo.Quest’ultimo stop è particolarmente allarmante, visto che l’Etiopia ha annunciato nei mesi scorsi di voler iniziare a riempire il bacino artificiale, anche senza accordi con le controparti, verso la fine di luglio, in concomitanza con l’inizio della stagione delle piogge. Ciò costituirebbe uno strappo inedito e significativo in un percorso negoziale già tortuoso. Inoltre, vista la delicatezza del dossier per l’Egitto, una mossa unilaterale dal lato etiope farebbe salire la tensione con Il Cairo a livelli mai raggiunti fino ad ora.
Il Nilo è il fiume più lungo del mondo che si articola in due affluenti, rispettivamente il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro. L’Egitto deriva il 90% dei suoi approvvigionamenti idrici dalle acque del Nilo che convergono nel lago Nasser per formare le riserve idriche garantite dalla presenza della diga di Assuan. Il fabbisogno annuo dell’Egitto prevede un volume totale di 55 miliardi di metri cubi, che per il 57% derivano dal Nilo Azzurro. La diga GERD è stata costruita in corrispondenza della sorgente del Nilo Azzurro, il Lago Tana, limitando così il flusso idrico verso l’Egitto.
Il contenzioso principale tra Il Cairo e Addis Abeba è quello della velocità di riempimento del bacino. Inoltre, l’Egitto vuole un meccanismo di coordinamento e enforcement che possa garantire i flussi d’acqua nei periodi più aridi, tenendo non soltanto conto della ciclicità stagionale ma anche delle situazioni di particolare di urgenza. Ovviamente, i Paesi a valle, come l’Egitto, non avendo alcun controllo dei flussi a monte, negoziano da una posizione di debolezza strutturale. Di contro, il governo etiope può dare assoluta prevalenza alle proprie esigenze interne e capitalizzare sul piano politico la sua collocazione geografica. Nelle intenzioni di Addis Abeba, il bacino artificiale dovrà essere riempito con 18,4 miliardi di metri cubi d’acqua, causando così una riduzione notevole della disponibilità idrica del Cairo.
E’ evidente che senza un coordinamento con l’Etiopia perlomeno sulla velocità di riempimento, la diga GERD costituisce un pericolo strategico per Il Cairo, con potenziali ricadute in ambito economico così come sulla sicurezza e la stabilità interne.
Partendo con le motivazioni economiche, l’economia dell’Egitto è fortemente dipendente dal settore agricolo, che richiede ogni anni 30 miliardi di metri cubi (su un totale di 55 miliardi) di approvvigionamenti idrici per mantenere gli attuali livelli di produzione. Il settore primario contribuisce a circa il 15% del PIL e pesa per quasi un terzo dei posti di lavoro totali. In alcune regioni l’agricoltura è ancora più centrale nelle dinamiche sociali ed economiche. Nell’Alto Egitto, ad esempio, lavora in attività connesse a questo settore ben il 55% degli occupati.
Secondo alcune previsioni, il processo di riempimento della diga GERD potrebbe comportare una perdita media annua della capacità agricola egiziana del 2,5%. Inoltre, il Paese aumenta ogni anno il suo fabbisogno idrico in virtù del rapido sviluppo industriale e del costante aumento della popolazione. La perdita di capacità produttiva in campo alimentare danneggerebbe molto le finanze pubbliche dello Stato perché i beni alimentari dovrebbero essere importati in maniera maggiore, erodendo così le riserve in valuta estera e allo stesso tempo producendo un deficit della bilancia commerciale. Gli squilibri sulla bilancia commerciale a loro volta diminuiscono la capacità del governo di effettuare investimenti per le riforme strutturali ed alimentare la crescita economica.
Tutto ciò rende concreto il rischio, in un Paese sovrappopolato, di generare tensioni sociali e problemi di sicurezza. La crisi del settore agricolo, in caso di aumento della disoccupazione in questo ambito, potrebbe incentivare le persone ad emigrare verso le periferie dei centri urbani per trovare lavoro, andando ad aggiungere pressione ulteriore sulla capacità dello Stato di fornire servizi adeguati e sul mercato del lavoro.
Su questo sfondo, i tentativi del Cairo di formare un fronte compatto di Paesi per controbilanciare le pretese etiopi hanno finora dato scarsi risultati, sia quando sono stati allargati alla più ampia regione dell’Africa orientale sia quando si sono limitati a garantirsi l’allineamento del vicino Sudan.
Lo scorso aprile, nonostante la difficile congiuntura negoziale, la diplomazia del Cairo sembrava poter tirare un sospiro di sollievo. Infatti, il governo sudanese aveva voluto attuare un riavvicinamento con l’Egitto, in controtendenza rispetto agli stalli diplomatici degli ultimi anni. Negli anni successivi all’annuncio del progetto della diga, il Sudan si era inizialmente posizionato assieme alle istituzioni egiziane per contrastare il progetto etiope. Per entrambi i Paesi a valle del lago di Tana, l’infrastruttura etiope ha fin da subito rappresentato un rischio per le forniture di acqua. Nonostante ciò, il governo sudanese ha in seguito ridefinito la sua posizione. Le istituzioni di Khartum hanno valutato alcuni effetti positivi che possono derivare dalla GERD. In particolare, veniva accarezzata l’idea di beneficiare della produzione di energia idroelettrica, che sarebbe stata accessibile a prezzi contenuti.
Nonostante tali benefici potenziali e l’opera di “corteggiamento” di Addis Abeba, nel calcolo complessivo di Khartum ha un peso ineludibile la necessità di mantenere buoni rapporti con l’Egitto. Così, questo aprile il governo sudanese ha rifiutato un accordo bilaterale proposto da Addis Abeba per trovare una posizione condivisa dalle due controparti sulle modalità di riempimento del bacino artificiale. Rifiutando l’accordo, Khartoum ha permesso all’Egitto di rientrare nelle trattative e ha fatto naufragare il tentativo etiope di isolare ulteriormente Il Cairo.
I negoziati tra i tre Paesi sono quindi ripresi lo scorso giugno in seguito ad una lettera inviata dal Ministro degli Esteri sudanese al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cercando di richiamare i due massimi contendenti alla necessità di trovare un compromesso per raggiungere un accordo sostanziale. Sia il Sudan che l’Egitto trovano dannoso che la diga entri in funzione senza un accordo preliminare che possa disciplinare la condotta etiope nel rispetto dei loro interessi nazionali. Entrambi i Paesi hanno bisogno di numeri certi circa i volumi idrici annui loro garantiti durante il riempimento e la successiva fase di esercizio della GERD. Allo stesso tempo, essi auspicano anche la creazione di meccanismi di sanzioni che possano venire realmente attivati.
Inizialmente, gli etiopi avevano proposto una tabella di marcia biennale per il riempimento del bacino, tenendo conto tanto della ciclicità stagionale che della straordinarietà di eventuali momenti di siccità. Tuttavia, le condizioni specifiche non avevano soddisfatto Il Cairo, che ha chiesto dilazioni temporali. Dal punto di vista etiope, limitare notevolmente i processi di riempimento, diluendo i ritmi in più anni, significa anche diminuire i quantitativi di energia prodotti, e quindi mettere un freno anche al proprio sviluppo economico. Inoltre, l’Etiopia non si vuole vincolare ad un accordo che garantisca quantitativi d’acqua fissi ai due Paesi a valle anche in periodi di siccità straordinari, che inevitabilmente vorrebbe significare fare a meno delle proprie risorse idriche per garantire i flussi alle controparti.
Il nuovo fallimento dei negoziati ha quindi riportato il dialogo indietro di almeno 6 mesi. Al momento, l’inizio delle operazioni di riempimento del bacino della diga è previsto per la seconda metà di luglio. In questo lasso di tempo le autorità etiopi hanno sostenuto di voler trovare finalmente un accordo che garantisca dei quantitativi d’acqua a Sudan ed Egitto, senza però vincolarsi legalmente a procedure giuridiche più rigide e limitanti. Dal canto suo, l’Egitto continua a rivendicare il suo diritto vitale ed inalienabile sull’acqua del Nilo, rendendo più difficile il raggiungimento di un compromesso che tenga assieme tutti gli interessi confliggenti delle parti in gioco. Tuttavia, è evidente che di fronte ad eventuali mosse unilaterali dell’Etiopia, ad esempio con l’avvio del riempimento del bacino, l’Egitto si ritroverebbe con una posizione negoziale ancora più debole rispetto al passato. Finora, Addis Abeba ha usato sapientemente una strategia dilatoria per aumentare la pressione sulla controparte egiziana. Il persistere dello stallo nei negoziati e l’inefficacia delle diverse mediazioni internazionali, però, potrebbero indurre l’Etiopia a optare per una mossa più drastica e unilaterale, per quanto limitata nel tempo e di valore esclusivamente dimostrativo.