Siria: la Russia apre al dialogo con gli Stati Uniti
La Russia ha invitato la nuova amministrazione Usa a partecipare ai negoziati di pace sulla Siria promossi da Mosca e in programma nella capitale del Kazakistan, Astana, il prossimo 23 gennaio. E quanto rivela il Washington Post citando fonti del transition team del presidente eletto Donald Trump. Intanto sul terreno si segnalano nuove violazioni della tregua e una massiccia offensiva del cosiddetto Stato Islamico nell’Est del Paese. Il servizio di Marco Guerra:
Al momento non è giunta alcuna conferma ufficiale dell’invito agli Stati Uniti ad unirsi al tavolo di Astana sulla Siria convocato da Russia e Turchia e allargato all’Iran, a Damasco e ai gruppi dell’opposizione moderata che hanno sottoscritto la tregua. Secondo le indiscrezioni raccolte dal Washington Post, il transition team non avrebbe nemmeno ancora sciolto le riserve sulla sua partecipazione. Tuttavia molti segnali indicano la volontà di includere Washington nella mediazione dopo anni di grande tensione. Nei giorni scorsi, infatti, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu evava già parlato della necessità di includere l’America nei negoziati, sulla stessa linea il portavoce del Cremlino aveva manifestato l’interesse alla più ampia rappresentanza possibile delle parti. Ma se il clima sembra cambiare a livello diplomatico sul terreno non si fermano le violenze: l’esercito turco ha rivendicato l’uccisione di 1500 miliziani dell’Is da agosto e oggi le milizie del cosiddetto Califfato hanno lanciato una vasta offensiva nell’Est del Paese contro alcune zone controllate dalle truppe governative. Per un commento sulle aperture agli Stati Uniti, sentiamo Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro Studi Internazionali(Ce.S.I):
R. – Sicuramente è un segnale di come la Russia voglia cercare una soluzione non solo la più condivisa possibile, ma anche la più realizzabile possibile per un processo – se vogliamo – anche di stabilizzazione, per portare di fatto alla fine della guerra in Siria, che nel corso degli anni è diventata sempre più una guerra con un supporto forte degli attori esterni, sia regionali e non. Da una parte, il coinvolgimento degli Stati Uniti inevitabilmente darebbe una maggiore credibilità al processo di pace di Astana, che di fatto è stato un po’ un “coniglio cacciato fuori dal cilindro” dalla presidenza russa, per trovare una soluzione alla crisi siriana. Quest’ultima stava diventando sempre più un problema, anche economico, per il supporto militare da parte della Russia al regime di Assad. Dall’altra parte, abbiamo una nuova amministrazione americana che inevitabilmente si pone in maniera diversa rispetto alla Russia, anche se, parallelamente alle dichiarazioni del presidente, ci sono state quelle di altri esponenti della nuova amministrazione, non da ultimo del segretario alla Difesa Mattis, che ha espresso un atteggiamento nei confronti della Russia più preoccupato se vogliamo rispetto alle possibili aperture date da Trump.
D. – Dopo Ginevra I e Ginevra II, questa volta si riuscirà a fare qualcosa? Da questo Vertice può uscire qualcosa di concreto, un accordo?
R. – La sensazione è che qualcosa potrebbe uscire perché c’è la volontà della Russia e di Assad di cercare una soluzione alla crisi siriana, di cercare di far calmare le acque, in un contesto che poi sul terreno calmo non è. Quindi, pensare che Assad abbia nuovamente il controllo totale della Siria non è realistico, non è veritiero; però, di fatto, il processo di Astana cerca una soluzione o comunque vuole mettere allo stesso tavolo tutti gli attori che hanno degli interessi in Siria; e, proprio perché è un numero abbastanza alto di attori, forse tutti questi risultati potrebbe non raggiungerli.
D. – Rimane da sconfiggere il sedicente Stato Islamico. Quali altri passaggi sono importanti per arrivare a una vera pace?
R. – Oltre al discorso sul cosiddetto Stato Islamico, che è ancora presente a Raqqa, a Deir ez-Zor e in altre parti del Paese, ci sono varie dinamiche: il controllo appunto della regione di Idlib; ma anche quello che succede a Nord, cioè in tutta quella fascia al confine tra Siria e Turchia dove, soprattutto nel corso dell’ultimo anno, le milizie curde si sono rafforzate notevolmente. Ed è stato proprio questo rafforzamento a portare a un intervento maggiore della Turchia nel campo siriano, anche con un cambiamento di rotta della presidenza Erdogan, che ha stretto nuovamente la mano alla Russia e si è riavvicinata al regime di Assad. Posizione turca, per esempio, che è diametralmente opposta a quella che è stata finora la posizione americana, cioè di supporto dei curdi in chiave anti Stato Islamico. Quindi è un meccanismo abbastanza complesso, in cui poi rientra anche l’Iran, che ha supportato fin dall’inizio Assad, e l’Arabia Saudita che, da parte sua, ha cercato di creare un’opposizione credibile ad Assad senza riuscirci finora. Quindi gli interessi cono così ampi, così variegati e così diversi tra loro, che un negoziato come quello di Astana parte con molte incognite.
D. – A questo punto gli Stati Uniti farebbero le veci dell’opposizione – sosterrebbero l’opposizione – al tavolo di Astana, visto che la Russia è sempre stata vicino a Damasco…
R. – Non lo possiamo sapere. Perché finora gli Stati Uniti hanno cercato di creare un soggetto credibile all’interno dell’opposizione ma senza riuscirci; quindi non hanno avuto, in tutti questi anni di guerra in Siria, un soggetto dell’opposizione con cui dialogare in maniera univoca. Poi ci sono finora così tante incognite su quelle che potrebbero essere le linee di politica estera della presidenza Trump, che anche le stesse posizioni degli Stati Uniti al tavolo delle trattative di Astana francamente sono un punto interrogativo.
Fonte: RadioVaticana