Un mese nell’Offensiva di Kursk: lezioni tattiche, dilemmi operativi e prospettive strategiche
Difesa e Sicurezza

Un mese nell’Offensiva di Kursk: lezioni tattiche, dilemmi operativi e prospettive strategiche

Di Emmanuele Panero
11.09.2024

Il 6 Agosto le forze armate di Kiev hanno avviato una complessa operazione offensiva transfrontaliera, penetrando dall’Oblast ucraino di Sumy in quello russo di Kursk ed avanzando per decine di chilometri nel territorio sovrano di Mosca. La manovra ucraina ha brevemente reintrodotto, come già avvenne per la controffensiva di Kharkhiv del Settembre 2022, la mobilità in un conflitto diffusamente caratterizzato da dinamiche di attrito, sperimentando localmente alcune innovazioni tattiche. Dopo un mese di intensi combattimenti, la definizione multilivello dell’esito dell’azione appare tuttavia ancora incerto, con ambedue gli schieramenti posti innanzi a dilemmi significativi.

L’iniziale successo dell’offensiva ucraina si è primariamente fondato sul perseguimento e conseguimento di una sorpresa strategica, operativa e tattica, che ha garantito ai reparti di Kiev di assumere e mantenere per settimane l’iniziativa nell’area di operazioni, alterando sensibilmente nell’ambiente informativo una sempre più diffusa percezione di passività dell’Ucraina davanti al lento progredire dell’avanzata russa lungo il fronte orientale del Paese. Questo risultato abilitante è stato ottenuto attraverso l’esercizio di un’accurata sicurezza operativa (OPSEC - Operational Security), incentrata su una pianificazione e preparazione svoltasi nel più assoluto riserbo e di un approntamento delle unità effettuato in modo diradato e camuffato da predisposizione difensiva contro potenziali incursioni transfrontaliere da parte russa, analoghe a quella condotta nel Maggio 2024 contro l’Oblast di Kharkhiv. La parallela concentrazione delle capacità militari del Cremlino nel mantenere il momento nella lenta, ma progressiva avanzata lungo le direttrici di Kharkiv, Luhansk e Donetsk ad est, combinata con un’erronea valutazione da parte dell’intelligence militare russa sulla conservatività dell’approccio operativo ucraino ha inoltre prevenuto le forze di Mosca dal prevedere l’attacco. Il dispositivo difensivo di confine russo nel settore oggetto dell’offensiva si componeva infatti di poche postazioni e linee sotto equipaggiate e gestite da personale numericamente insufficiente, costituito tra l’altro da militari della Guardia di Frontiera e da coscritti privi di esperienza operativa e formalmente non dispiegabili in aree di combattimento. Le difese, concepite essenzialmente per contrastare occasionali raid transfrontalieri da parte di nuclei di ricognitori o al più da distaccamenti paramilitari riconducibili a gruppi quali la Freedom of Russia Legion, non erano inoltre stratificate, mancavano di profondità e non disponevano di una riserva operativa preassegnata per ritardare o respingere eventuali tentativi di penetrazione. L’insieme di queste criticità è stato plausibilmente accertato dai Comandi ucraini proprio attraverso reiterate infiltrazioni di nuclei delle Forze Speciali ed azioni di ricognizione in forze (fight for information) a livello minori unità nell’area.

L’operazione offensiva vera e propria ha preso avvio attraverso un’iniziale sbarramento di artiglieria contro diverse posizioni ed ammassamenti di mezzi e truppe su un fronte di circa 25 chilometri, seguito da un attacco a livello battaglione meccanizzato rinforzato contro l’insediamento di Sudzha, sede dell’ultimo gasdotto attivo passante per l’Ucraina e destinato in Europa. La manovra è poi proseguita lungo due direttrici, una ad est dello stesso abitato ed una a nord verso il villaggio di Korenevo, prima di espandersi nelle retrovie avversarie lungo linee di avanzata eccentriche alimentate dal progressivo afflusso di personale, mezzi, materiali e sistemi d’arma dalle aree di stazionamento nell’Oblast di Sumy. La penetrazione è stata abilitata da una locale azione di guerra elettronica volta ad interdire il coordinamento delle difese russe ed è stata diffusamente supportata dal fuoco di precisione dell’artiglieria missilistica e da bombardamenti aerei. Le unità meccanizzate e motorizzate ucraine, dotate di una panoplia composita di assetti di origine sovietica ed euroatlantica, inclusi carri armati (MBT – Main Battle Tank), tra cui Challenger 2, Leopard 2 e T-72, veicoli trasporto truppe (APC – Armored Personnel Carrier), tra cui M113, Mine Resistant Ambush Protected (MRAP) e BTR-80, e da combattimento per la fanteria (IFV – Infantry Fighting Vehicle), tra cui M2 Bradley, Schützenpanzer Marder 1 e M1126 Stryker, nonché artiglieria e difese aeree semoventi, hanno inoltre manovrato in modo disperso, raggiungendo rapidamente decine di insediamenti ed incontrando una limitata opposizione. Il carattere distribuito del dispositivo offensivo ha evitato ammassamenti di truppe, limitando l’efficacia dei bersagliamenti russi indiretti e dalla terza dimensione, generando al contempo confusione nel nemico sull’articolazione dinamica della linea di contatto e favorendo un’avanzata in profondità. La manovra ha impegnato progressivamente circa 30 battaglioni, provenienti da diverse brigate della riserva operativa ucraina, comprendente reparti con ampia esperienza di combattimento in tutti i maggiori ingaggi del conflitto, diffusamente equipaggiati con mezzi, materiali e sistemi d’arma forniti dai Paesi del Gruppo di Contatto per l’Ucraina e composti da personale addestrato nel contesto delle iniziative formative implementate dagli stessi. Nel dettaglio, l’azione ha incluso elementi della 22ª Brigata Meccanizzata Separata, del 14° Reggimento Droni, dell’80ª Brigata Separata d’Assalto Aereo, della 116ª e della 61ª Brigata Meccanizzata, nonché dell’82a e della 95a Brigata d’Assalto Aereo.

L’avanzata nel territorio russo, nonostante gli accorgimenti in termini di dispersione del dispositivo d’attacco, integrazione interforze (combined arms) ed aeroterrestre (AirLand Battle), ha comunque registrato un attrito non marginale, con le poche unità russe di difesa che hanno valorizzato la conoscenza del territorio e le difficoltà di comunicazione incontrate dalle truppe ucraine fuori dai confini nazionali, per bersagliare le stesse con una combinazione di munizioni circuitanti, in particolare ZALA Lancet, missili controcarro lanciati da elicotteri d’attacco e bombe plananti rilasciate da assetti ad ala fissa. Al contempo, i vantaggi derivati da una manovra dispersa e distribuita hanno esposto e continuano ad esporre le truppe ucraine ad una significativa vulnerabilità difensiva nel caso di un contrattacco russo coordinato, soprattutto alla luce dell’ampia porzione di territorio nominalmente occupata dai reparti ucraini in penetrazione. Proprio allo scopo di contenere questi rischi, le forze di Kiev hanno in primis avviato la predisposizione di trinceramenti e postazioni difensive stratificate nelle aree più interne dell’avanzata; inoltre, bersagliamenti con artiglieria missilistica, soprattutto Guided Multiple Launch Rocket System (GMLRS) lanciate da M142 High Mobility Artillery Rocket System (HIMARS) e con munizionamento aereo guidato hanno sistematicamente danneggiato o distrutto le principali linee di avvicinamento (avenues of approach) e logistiche delle forze russe nella regione, inclusi tre ponti in muratura sul fiume Seim; infine, attacchi secondari sono stati effettuati contro i confini dell’Oblast russo di Belgorod, fissando le unità avversarie e prevenendo manovre avvolgenti contro le retrovie da parte delle truppe di Mosca.

La risposta militare del Cremlino, volta a contenere l’offensiva ucraina e non solo ad imporre perdite alle unità avversarie, è apparsa inizialmente caotica, con reparti incolonnati sulle esigue linee viarie e ferroviarie dell’area, già congestionate dalle evacuazioni di civili e soggette ad attacchi mirati da parte delle forze di Kiev, nonché ad occasionali episodi di fuoco amico (blue on blue). Dopo una prima fase di smarrimento e nonostante una sacca di personale rimanga ancora accerchiato nell’ansa del fiume Seim in conseguenza della sistematica distruzione dei veicoli gettaponte e dei tentativi di mantenere una line logistica attraverso il corso d’acqua, la difesa delle forze di Mosca appare aver arrestato sostanzialmente l’avanzata ucraina, predisponendo difese statiche e cercando di reimporre uno scontro di attrito anche in questo settore. Il Comando russo ha in particolare pianificato e condotto le operazioni di arresto senza rischierare nell’area le unità impegnate sul fronte orientale, ma impegnando reparti di riserva provenienti da altri distretti militari, così da negare alle forze ucraine il risultato operativo di alleggerire la pressione offensiva soprattutto nel Donbass. La condotta di operazioni di supporto aereo ravvicinato (CAS – Close Air Support) nell’Oblast russo di Kursk e di interdizione aerea (AI – Air Interdiction) contro le retrovie nell’Oblast ucraino di Sumy hanno tuttavia distratto dalla propria destinazione di impiego originale parte del munizionamento aereo, con una momentanea riduzione dei bombardamenti soprattutto nell’Oblast di Kharkhiv.

Nel complesso, l’offensiva ucraina nell’Oblast di Kursk ha portato all’occupazione di circa 1.200 chilometri quadrati di territorio russo con un fronte di base prossimo ai 60 chilometri lungo il confine ed una profondità della penetrazione giunta al suo massimo a 30 chilometri. A livello strategico, oltre ad aver potenzialmente costituito un bacino di scambio a potenziali fini negoziali sia in termini di prigionieri di guerra (POW – Prisoners of War), sia territoriali, realizzando al contempo una zona cuscinetto contro eventuali azioni transfrontaliere russe, l’offensiva condotta da Kiev ha primariamente alterato la percezione nell’ambiente informativo, profilando un’Ucraina proattiva dopo mesi di ripiegamenti lungo la linea di contatto orientale. Parallelamente, un impatto non secondario può potenzialmente individuarsi nel fronte interno russo, con la delegittimazione del comparto securitario-militare di Mosca e della relativa capacità di ottemperare al compito primario di difesa dei confini nazionali, anche se sotto il profilo narrativo l’attacco diretto contro il territorio russo rischia di alimentare la pervasiva narrazione del Cremlino di una minaccia esterna immanente, reale e preesistente al 24 Febbraio 2022 contro la Federazione Russa. L’assenza di una reazione escalatoria da parte di Mosca risulta inoltre funzionale a promuovere la dialettica ucraina sulla vacuità delle linee rosse delineate dalla Russia, favorendo un eventuale allentamento delle restrizioni afferenti alle armi a lungo raggio fornite dai Paesi del Gruppo di Contatto.

Sotto il profilo operativo, al contrario, l’offensiva registra un parziale fallimento nel causare un disimpegno russo dai combattimenti nel Donbass, dove al contrario, sfruttando il razionamento di munizioni ucraino votato a sostenere la penetrazione a Kursk, le truppe di Mosca continuano ad avanzare, in particolare attorno all’importante hub logistico di Pokrovsk, centrale per l’approvvigionamento di una parte significativa del fronte ucraino. Le truppe di Kiev hanno dovuto infatti impegnare personale e risorse inizialmente destinate a svolgere il ruolo di riserva operativa, subendo perdite, umane e materiali, non marginali, in un contesto di già difficile rigenerazione delle forze e del potenziale di combattimento (combat power), con una linea del fronte ulteriormente ampliatasi di 150 chilometri. Benché non sia possibile escludere ulteriori tentativi di attacchi secondari ucraini, concentrati nello specifico nel settore occidentale dell’Oblast di Zaporizhia ed in quello di Kherson, intesi a mantenere l’iniziativa operativa approfondendo i dilemmi imposti al dispositivo militare russo, ogni ingaggio tende ad enfatizzare il logoramento di ambedue gli schieramenti, causando ulteriore attrito senza cambiamenti significativi nel bilanciamento dei rapporti di forza in teatro. Un eventuale, e probabile, tentativo di controffensiva entro il mese di Ottobre da parte delle forze di Mosca rappresenta analogamente un dilemma non indifferente per i Comandi russi, costretti nel caso ad impegnare non meno di un corpo d’armata su tre divisioni per soverchiare per linee esterne il saliente controllato dai reparti ucraini, gestendo un plausibile attrito rilevante imposto proprio contro i difficilmente evitabili ammassamenti di truppe.

A livello tattico, il successo, locale e temporaneo, dell’offensiva di Kursk sottolinea l’impatto del principio dell’arte della guerra della sorpresa nel favorire la manovra anche in condizioni di tendenziale staticità del fronte. L’intera avanzata ha infatti valorizzato primariamente l’impreparazione difensiva dell’avversario, conducendo una manovra diradata che favorisse una proliferazione di obiettivi oltre le capacità di bersagliamento avversario. Le forze ucraine hanno inoltre integrato le proprie capacità multipiattaforma di attacco contro la profondità avversaria per transire da una manovra incentrata sulla penetrazione nel territorio avversario ad una intesa a degradare e disarticolare il dispositivo militare avversario, generando effetti plurimi e combinati. Nonostante questi accorgimenti e l’adozione di un approccio combined arms di AirLand Battle, il principio della massa e quello dell’attrito hanno tuttavia impedito la trasformazione della superiorità tattica di breve termine in una svolta operativa.

L’interazione tra le non facili soluzioni dei dilemmi che affrontano gli opposti schieramenti, tra ripristino dell’integrità territoriale e prosecuzione dell’Operazione Militare Speciale per Mosca e sbilanciamento della postura russa e mantenimento del fronte difensivo per Kiev, appare dunque orientato a determinare l’esito finale dell’offensiva di Kursk.

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