Uganda: l’invio di truppe USA e gli interessi di Washington nel Corno d’Africa
Il 14 ottobre 2011, il Presidente USA Barack Obama, con una lettera al Congresso, ha autorizzato l’invio di un contingente di 100 soldati in Uganda per cercare di smantellare il Lord’s Resistance Army (LRA) guidato da Joseph Kony. L’iniziativa si inquadra nella legge “Lord’s Resistance Army Disarmament and Northern Uganda Recovery Act of 2009” firmata da Obama il 24 maggio 2010, nella quale il Congresso americano ha dichiarato di voler eliminare la minaccia che lo LRA rappresenta nei confronti della popolazione civile e della stabilità regionale. Inoltre, ha aggiunto Obama, a partire dal mese di novembre sarà dispiegato un ulteriore battaglione; secondo gli ufficiali americani, il primo team di soldati installerà attrezzature per le comunicazioni in alcuni villaggi del nord dell’Uganda per ottenere report sui movimenti della milizia di Kony e fornirà informazioni d’intelligence ai comandanti militari locali. La Casa Bianca ha precisato che i soldati inviati in Uganda non saranno impiegati in combattimenti ma avranno un ruolo di consiglieri nei confronti dell’esercito di Kampala e che si tratterà di una “short-term mission”.
Lo LRA è nato nel 1987 sulle orme dello Holy Spirit Mobile Force (HSMF, braccio armato dello Holy Spirit Movement), gruppo creato da Alice Auma, presumibilmente parente di Kony. Lo HSMF, composto da persone di etnia Acholi, fu costituito per cercare di rovesciare il presidente ugandese Yoweri Museveni (appartenente al gruppo etnico Banyankole), in un contesto di risentimento generale degli Acholi per l’estromissione del loro rappresentante ed ex presidente Tito Okello, avvenuta nel 1986. Dopo il fallimento del programma di Auma, Joseph Kony, anch’egli Acholi, ha ripreso la battaglia contro il National Resistance Army (NRA) di Museveni, formazione i cui membri sono confluiti in seguito nell’Ugandan People’s Defence Force (UPDF) successivamente trasformatosi nell’Esercito nazionale ugandese. Kony, convinto di essere il portavoce di Dio ed ex combattente dell’Uganda People’s Democratic Army (UPDA), dopo la firma degli Accordi di Pace di Gulu nel 1988 (che prevedevano l’integrazione degli ex guerriglieri dello UPDA nell’esercito regolare) ha rifiutato di abbandonare la lotta armata ed ha fondato lo Uganda Christian Democratic Army, dal 1991 Lord Resistance Army.
Lo LRA, la cui ideologia si basa su una commistione di elementi religiosi cristiani e di tradizioni africane, nel corso degli anni ha ampliato il raggio d’azione delle sue operazioni e dal nord dell’Uganda la sua lotta si è propagata anche a Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Lo LRA, sebbene nato per difendere i diritti dell’etnia Acholi, si è trasformato ben presto in un gruppo dedito a saccheggi e terrore, ai danni degli stessi Acholi; le violenze commesse dalla milizia hanno spinto la Corte Penale Internazionale ha formulare nell’ottobre 2005 un mandato d’arresto per Kony con trentatré capi di accusa per presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
La motivazione che ha spinto Obama ad inviare le truppe in Uganda addirittura 24 anni dopo la nascita dello LRA (tenuto inoltre conto che il gruppo ha perso gradualmente il suo potenziale offensivo e si stima che attualmente Kony controlli solo 200/400 guerriglieri) può essere letta alla luce di un rinnovato interesse da parte degli USA alla regione centrale dell’Africa, nell’ottica di una stabilizzazione della regione e, soprattutto, di una diminuzione della crescente, anche su questa scacchiera, influenza di Shabaab. Le milizie somale, affiliate dal 2007 al network qaedista, infatti, potrebbero rappresentare il vero obiettivo del dispiegamento di truppe americane nel nord dell’Uganda. Non a caso, l’invio delle truppe statunitensi è avvenuto simultaneamente all’inizio dell’intervento militare del Kenya in Somalia per combattere gli Shabaab (16 ottobre); l’amministrazione USA potrebbe aver quindi beneficiato di tale situazione favorevole per dispiegare il proprio contingente.
Negli ultimi anni, le attività delle milizie Shabaab anche al di fuori del territorio somalo (nel luglio 2010, un duplice attacco suicida ha causato la morte di 76 persone a Kampala, in Uganda), cui si aggiunge l’instabilità politica ed economica dell’intera regione, hanno reso l’organizzazione islamista una delle principali minacce alla sicurezza del Corno d’Africa.
In quest’ambito, l’obiettivo ultimo della decisione Obama potrebbe rispondere ad esigenze connesse alla sicurezza nazionale statunitense, cercando di evitare che sia gli Shabaab che gli elementi del panorama somalo connessi ad al-Qaeda possano rendersi protagonisti di ulteriori attacchi.
Occorre quindi ricordare che gli USA hanno deciso di stanziare nel giugno 2011 circa 45 milioni di dollari in aiuti militari ad Uganda e Burundi (incluso lo stabilimento di basi di droni), con l’obiettivo di rafforzare le capacità anti-terrorismo dei due Paesi. Inoltre, Washington, nell’ottica di contrastare Al Qaeda e Shabaab in Somalia, si è dotata di una serie di basi da cui far partire gli attacchi dei droni “hunter-killer” MQ-9 Reaper; nella fattispecie, ad oggi esistono basi di questo tipo in Gibuti (Camp Lemonnier), Kenya (Manda Bay), Etiopia (Arba Minch) e Seychelles. Quindi, nel luglio 2011, una task force composta da 123 Marines è stata inquadrata nel comando AFRICOM (United States Africa Command) con l’obiettivo di addestrare i peacekeepers della missione AMISOM (African Union Mission in Somalia).
Questo quadro conferma il forte interesse americano per la regione del Corno d’Africa e allo stesso tempo il dispiegamento di truppe riflette la volontà di monitorare da vicino la situazione sul terreno. Secondo Rick Nilson (esperto presso il Center for Strategic and International Studies di Washington), la decisione di inviare un esiguo numero di soldati in Uganda è in linea con la strategia antiterrorismo di basso profilo portata avanti dagli USA in Africa, in quanto non è più economicamente e politicamente sostenibile contrastare al-Qaeda attraverso interventi militari su larga scala. Il programma di costruzione di basi militari equipaggiate con droni può confermare tale dichiarazione, dal momento che attraverso l’uso di tali dispositivi Washington può raggiungere risultati soddisfacenti senza esporsi più di tanto politicamente.