Opportunità e rischi per la comunità curda nel quadro del conflitto siriano
In un Medio Oriente scosso dai drammatici scenari della guerra civile siriana e dall’aggravamento delle violenze settarie in Iraq, sembrano definirsi nuove prospettive per quanto riguarda il rafforzamento delle autonomie del popolo curdo diviso tra Anatolia, Iraq, Iran e Siria nord-orientale. Difatti, se da un lato il caos siriano ha prodotto la nascita di un fronte di scontro tra le frange jihadiste sunnite dei gruppi anti-Assad e le milizie curde nel Nord del Paese, dall’altro ha consentito la nascita di autonomie locali curde nella regione di al-Hasakah (Siria Nord-Occidentale). In Iraq, il Governo Regionale Curdo (KRG), controllato dal Partito Democratico del Kurdistan (KDP) di Massoud Barzani, sta conoscendo una crescita che contrasta con il dissesto politico, economico e sociale del resto della nazione. In Turchia, proseguono tra alti e bassi le trattative tra le autorità statali e la copiosa minoranza curda (una percentuale tra il 18 e il 25% dell’intera popolazione del Paese) per la ricerca di un rappacificamento con le frange meno ostili del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il riconoscimento di maggiori diritti civili.
L’atteggiamento evidenziato da ampia parte dei curdi siriani all’indomani dell’esplosione della guerra civile ha ripetuto una dialettica ricorrente tra le comunità della regione, spesso divise tra la ricerca di un equilibrio stabile con i governi nazionali e la volontà di raggiungere una maggiore autonomia. Intenti a concentrare i propri sforzi militari in altre aree del Paese, gli uomini di Bashar al-Assad hanno presto lasciato le province a maggioranza curda nel Nord-Est della Siria, dove in breve tempo hanno iniziato a sorgere varie forme di autogoverno locale. Nonostante la spinta di alcune parti della comunità curda a cercare un ruolo attivo nella lotta contro il regime di Assad e nella costruzione di una nuova Siria, è parso però chiaro come il principale intento di numerosi cittadini curdi fosse la ricerca di un consolidamento dell’autonomia locale, in isolamento rispetto al caos regnante nel resto del Paese.
Pur costituendo la più numerosa minoranza etnica del Paese (circa il 9% della popolazione), i curdi siriani hanno subito varie discriminazioni da parte dei governi centrali che si sono succeduti a Damasco: oltre a non aver avuto diritto al riconoscimento di alcuno statuto regionale e di diversi diritti civili, un decreto governativo del 1962 ha privato per decenni centinaia di migliaia di curdi della provincia di Hasakah della nazionalità siriana, senza garantire loro la registrazione al censimento e costringendoli a uno stato di apolidia. Solo nell’aprile 2011 Assad ha garantito la cittadinanza siriana ai curdi, nel tentativo di ingraziarsi la comunità e portare avanti la ricerca di un “patto” tra le principali minoranze del Paese – quella sciita alauita, quella curda, quella cristiana e quella drusa – in maniera tale da isolare e indebolire la maggioranza sunnita.
Nonostante la lunga storia di discriminazioni, solo una parte della popolazione curda ha preso parte attiva nella guerra contro Assad: un’ampia porzione dei residenti nel Nord-Est ha preferito dedicarsi alla protezione e al controllo delle autonomie conquistate nelle loro aree, grazie all’opera del Partito di Unione Popolare (PYD), alla sua ala militare, le Unità di Protezione Popolare (YPG) e all’altro gruppo politico, il Kurdish National Council (KNC). La scelta di una posizione autodifensiva da parte della popolazione curda ha fornito un pretesto ai combattenti jihadisti di Jabhat al-Nusra e dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante per aprire un fronte di guerra contro i curdi con l’intento di consolidare il proprio controllo sul Nord del Paese per crearvi un primo, embrionale Stato islamico siriano. Violenti scontri tra milizie curde e jihadiste sono in corso dal novembre 2012 nella città di confine di Ras al-Ayn e in altri villaggi controllati dai curdi per garantirsi il comando di una delle poche aree del Paese strappate ad Assad. L’alto livello delle tensioni nell’area e la notizia di esecuzioni di cittadini curdi da parte di gruppi jihadisti ha causato un esodo di civili verso il Kurdistan iracheno. Al contempo, la scorsa estate oltre 2 mila peshmerga curdi hanno attraversato il confine in senso contrario per accorrere in soccorso delle forze dell’YPG impegnate a difendersi contro gli attacchi di al-Nusra.
Forte di una preziosa stabilità interna, il Governo autonomo curdo guidato da Massoud Barzani sta cercando di guadagnare peso internazionale, ponendosi come punto di riferimento per le minoranze curde dell’intera regione. Il ruolo d’intermediario che il KDP di Barzani sta giocando in Siria e in Turchia ha un’importanza cruciale nel ridefinire gli equilibri della comunità curda nei vari Paesi: in Siria, Barzani – alle prese con il difficile compito di controllare il flusso di civili provenienti dal territorio siriano - sta fornendo il proprio appoggio al PYD nel tentativo di dar vita a un governo di transizione nelle aree controllate e ha a più riprese garantito la propria disponibilità a dare sostegno militare alle milizie curde attive nei combattimenti nell’area. L’appoggio fornito dal KRG alla lotta dei curdi siriani – sia attraverso l’addestramento militare ai Peshmerga siriani, sia attraverso i tentativi di rafforzare la coalizione delle forze politiche curde in Siria – potrebbe nascondere l’interesse di Barzani ad accrescere la propria influenza in un Paese in cui il PKK, grazie ai suoi stretti legami con il PYD, ha sempre giocato un ruolo importante.
La leva politica acquisita da Barzani e dal suo partito è ben visibile anche nel rafforzamento dei legami con il governo turco. Ankara è alle prese con una complessa trattativa con il PKK per cercare di porre fine al conflitto che da trent’anni la oppone ai ribelli curdi nella Turchia Sud-orientale e ha causato la morte di circa 40.000 persone. Ankara ha richiesto al PKK di portare fuori dalla Turchia verso il Kurdistan iracheno tutti i suoi militanti, garantendo in cambio riforme politiche e sociali che riconoscano nuovi diritti ai cittadini curdi presenti in Turchia e l’abolizione di una legge anti-terrorismo che aveva comportato un aumento degli arresti sommari ai danni della popolazione curda. In questa situazione, Barzani e il suo partito stanno approfittando della legittimazione ricevuta per proporsi come principale portavoce dei diritti del popolo curdo nei vari Stati e per erodere il potere del PKK e degli altri movimenti rivali.
La cooperazione nei tentativi di risolvere la questione curda in Turchia non è però né l’unica né la principale ragione dell’avvicinamento tra Erbil e Ankara. Una convergenza di interessi legati allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di greggio presenti in Kurdistan ha difatti avvicinato la regione autonoma alla Turchia nel corso degli ultimi anni. La Turchia è storicamente costretta a fare ampio affidamento sull’importazione di gas e petrolio da Russia e Iran per sostenere il proprio fabbisogno energetico, ragione di grave appesantimento per i conti statali (la Turchia nel 2012 aveva un deficit di bilancio pari a 48,8 miliardi di dollari). Il recente rallentamento economico e l’aumento della necessità di energia stanno spingendo Ankara a ricercare nuove e più audaci strategie energetiche, cercando di svincolarsi dagli onerosi contratti stipulati con Mosca e Teheran.
La Turchia sta facendo valere la propria posizione strategica tra Asia Centrale, Bacino Caspico, Medio Oriente ed Europa (per la Turchia passeranno anche gas e petrolio provenienti dal Kurdistan iracheno e dall’Azerbaigian), con l’obiettivo di diventare un nuovo hub del gas che dovrà rifornire i paesi dell’Unione Europea. L’assunzione di tale ruolo darebbe alla Turchia un peso senza precedenti all’interno delle reti fisiche del trasporto, permettendole di acquisire importanza come snodo del transito e del commercio internazionale di gas e petrolio.
In tale scenario, la stretta collaborazione con Erbil potrebbe permettere al governo di Ankara di trarre il massimo vantaggio dal progressivo allontanamento della regione curda da Baghdad: scontento della maniera in cui vengono ridistribuiti i ricchi guadagni dovuti al petrolio che viene estratto dal suo sottosuolo (la costituzione irachena riconosce alla regione autonoma del Kurdistan il 17% dei proventi generati dalle estrazioni petrolifere), il KRG cerca da anni di far valere il proprio peso negoziale di fronte dal governo di Baghdad per gestire in maniera più autonoma la distribuzione dei proventi petroliferi. Nonostante i veti e le minacce di ripercussioni – nel dicembre del 2012 si è rischiato lo scontro tra Esercito iracheno e Peshmerga curdi per la rivendicazione di aree contese tra KRG e stato iracheno – Erbil ha iniziato a esportare autonomamente il proprio greggio: a metà del 2012, una lunga fila di camion turchi ha iniziato a partire dal Kurdistan iracheno per trasportare petrolio verso il porto turco di Ceyhan, bypassando di fatto l’oleodotto nazionale (Kirkuk-Ceyhan) in cui Baghdad sostiene debba continuare a confluire il petrolio del Kurdistan.
Sono intanto in via di completamento i lavori per la realizzazione di un oleodotto curdo destinato a trasportare tra i 200 e i 300 mila barili di greggio al giorno. Non è ancora chiaro se l’oleodotto condurrà autonomamente il petrolio nei porti del Sud della Turchia o se si ricongiungerà con l’oleodotto nazionale iracheno nel tratto finale. La decisione curda di stipulare contratti di sfruttamento petrolifero con alcune delle maggiori compagnie petrolifere al mondo (non solo con la turca Genel, ma anche con Exxon Mobil, Chevron e Total) ha causato un aumento del livello delle tensioni con la capitale. Alla Turchia spetterà ora l’arduo compito di mantenere buoni rapporti con l’Iraq e continuare a stringere le relazioni con il Kurdistan iracheno.
Nei prossimi mesi dovrebbe tenersi una Kurdish National Conference a Erbil, in cui converranno i rappresentanti dei gruppi politici curdi presenti nei vari Paesi per cercare di concordare le priorità del popolo curdo al di là delle barriere materiali e ideologiche che dividono le diverse comunità. Nonostante persistano elementi di disaccordo, la ricerca di convergenze e strategie condivise oggi sta aprendo più prospettive che in passato più percorribili quanto non sia stato in passato. Nonostante i vari attriti nazionali e le situazioni d’incertezza legate soprattutto alla guerra civile siriana, si può asserire che oggi più che in passato le varie popolazioni curde della regione dispongono dello spazio necessario a influenzare le decisioni dei vari governi nazionali e a far valere un peso politico che gli è storicamente stato negato.