Lo yuan nella partita energetica tra Arabia Saudita, Cina e Stati Uniti
Geoeconomia

Lo yuan nella partita energetica tra Arabia Saudita, Cina e Stati Uniti

Di Carlo Palleschi
30.03.2022

Mentre la crisi ucraina imperversa senza al momento una prospettiva di soluzione, i mercati energetici si riorganizzano alla ricerca di nuovi schemi ed alleanze. Le sanzioni imposte alla Russia da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, del Regno Unito e dei loro alleati hanno innescato il tentativo da parte del Cremlino e di altri Paesi, quali la Cina, di ricercare nuove modalità operative per i mercati energetici, con l’obiettivo di approfittare dei nuovi spazi createsi come conseguenza delle sanzioni per disegnare un mondo meno americano-centrico. Un esempio plastico di questo tentativo è rappresentato dall’ipotesi a cui stanno lavorando Pechino e Riyadh di utilizzare lo yuan come valuta per la vendita del petrolio saudita alla Cina.

L’Arabia Saudita esporta verso la Cina quasi un quarto della propria produzione di greggio e l’utilizzo dello yuan come valuta di scambio era stato esplorato anche in passato, senza però che si arrivasse ad una pianificazione più concreta, anche alla luce dei rischi che una tale misura avrebbe potuto generare a causa della natura del tasso di cambio fisso tra dollaro e riyal. Sebbene questo fattore di criticità permanga ancora oggi, il contesto attuale è radicalmente cambiato e Riyadh può muoversi ora con maggiore libertà sullo scacchiere internazionale. Ciò non è solo il risultato delle sanzioni ma anche di una diversa relazione con Washington, verso cui Riyadh è sempre più insofferente. Infatti, alcune posizioni assunte dalla Casa Bianca nei principali dossier regionali, dalla posizione dell’Amministrazione Biden rispetto al caso Khashoggi e al tentativo di rivitalizzare l’accordo sul nucleare dell’Iran nelle trattative in corso a Vienna – che invece era stato affossato dalla Presidenza Trump –, passando per lo scarso sostegno (politico e militare) USA alla guerra in Yemen e il progressivo disallineamento degli interessi statunitensi nel Golfo rispetto a quelli del Regno saudita, hanno indebolito l’asse con Washington verso cui Riyadh si sente quindi sempre meno vincolata.

Per Pechino, l’utilizzo dello yuan costituirebbe un’iniziativa importante per dare sostanza alle proprie ambizioni globali, che passano anche attraverso l’internazionalizzazione della propria moneta. Un eventuale accordo con l’Arabia Saudita per gestire la compravendita del petrolio tra i due Paesi in yuan rientrerebbe nell’interesse di Pechino di dimostrare come ci possano essere altre soluzioni per aggirare la centralità del dollaro nel mercato internazionale delle commodities. Tuttavia, anche se lo yuan dovesse arrivare ad essere utilizzato tra Cina e Arabia Saudita, il dollaro difficilmente perderebbe la sua importanza negli scambi internazionali. Una mossa del genere finalizzata a ricalibrare i rapporti di forza negli scambi valutari internazionali avrebbe comunque degli effetti sugli equilibri tanto nel mercato del petrolio quanto nello scacchiere regionale del Golfo e di conseguenza in quello globale, in un momento in cui la guerra in Ucraina ribalta certezze e dinamiche che sembravano ormai consolidate nel tempo.

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