L’infinita partita siriana
Medio Oriente e Nord Africa

L’infinita partita siriana

Di Giuseppe Palazzo
17.03.2021

Nel decimo anniversario del conflitto civile che scuote ancora il Paese, la Siria è balzata nuovamente alle attenzioni internazionali per via di alcuni interessanti sviluppi occorsi sul piano diplomatico. Come già avvenuto in altre occasioni tra il 2019 e il 2020, Egitto ed Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno espresso il proprio sostegno ad un eventuale reintegro della Siria nella Lega Araba (3 marzo 2021), dalla quale era stata espulsa nel 2011 in seguito alla repressione attuata dal regime damasceno nei confronti delle proteste popolari.

Il passo in avanti del Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry e di quello emiratino Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan certificano che ogni richiesta di dimissioni nei confronti di Bashar al-Assad sia ormai fuori tempo massimo. La situazione sul campo, garantita dalla spartizione in zone d’influenza tra Turchia, Russia e Iran attesta la formale vittoria del fronte governativo nei confronti delle sigle ribelli e jihadiste. Le dichiarazioni del Cairo e di Abu Dhabi hanno dimostrato, inoltre, che le priorità strategiche di questi Paesi nei confronti della Siria siano cambiate.

Infatti, la Siria è lontana dall’essere pienamente sovrana ed è de facto occupata da forze straniere che (inclusi Russia e Iran) interagiscono non solo con Damasco, ma anche direttamente con gli interlocutori locali bypassando il governo centrale, con l’obiettivo d’imprimere una sostanziale influenza territoriale nei luoghi occupati. A causa di ciò, EAU ed Egitto hanno mostrato un certo interesse nel voler cooptare la Siria all’interno dello schieramento arabo al fine di impedire  l’estensione dell’influenza turca nel Paese e per frenare lo scivolamento della posizione internazionale di Damasco nell’orbita iraniana. L’unico altro attore con una posizione sul terreno a cui le altre potenze regionali possono rivolgersi per impedire ciò è la Russia.

Non a caso, Mosca si sta mostrando diplomaticamente attiva su più fronti per farsi garante della questione siriana: dal 9 all’11 marzo, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha compiuto un tour nel Golfo. Uno degli incontri più importanti è avvenuto con il Principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayed al-Nahyan, il quale ha espresso una dura condanna (a sua volta stigmatizzata da Washington) nei confronti delle sanzioni statunitensi alla Siria. Inoltre, il 15 marzo Lavrov ha incontrato a Mosca una delegazione di Hezbollah con la quale ha discusso della situazione politica libanese e della Siria.

L’incontro tra il movimento libanese e Lavrov è stato criticato dal Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz a causa dell’attività militare di Hezbollah nel sud del Libano e della sua presenza in Siria, nella quale è diventata un target abituale, assieme alle varie formazioni sciite filo-iraniane, dei missili israeliani. Le dichiarazioni di Gantz, pur se critiche, sono di fatto un appello alla Russia affinché bilanci la presenza degli attori avvertiti da Tel Aviv come minacce alla sicurezza nazionale. Proprio questa problematica è stata al centro del colloquio avvenuto il 17 marzo a Mosca tra il Ministro degli Esteri russo e la sua controparte israeliana, Gabi Ashkenazi, che ha espresso la sua riconoscenza per il ruolo di Mosca nel contenere le spinte di Hezbollah e dell’Iran, ma anche per la ricerca della salma del leggendario agente segreto israeliano Eli Cohen, ucciso in Siria nel 1965. Un ringraziamento che evidenzia implicitamente il cruciale ruolo di Mosca nel garantire che i vitali interessi israeliani in Siria non vengano minacciati oltremisura.

In conclusione, le maggiori potenze regionali stanno ridefinendo la propria postura nei confronti di Damasco poiché questa non è più percepita come una minaccia diretta (dato che è svuotata di effettiva sovranità), ma può essere cooptata in funzione anti-turca e anti-iraniana. In questo gioco, la Russia si ritrova a sfruttare il suo ruolo da mediatore e garante locale degli equilibri al fine di bilanciare la presenza in Siria delle altre due potenze regionali.

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