Libano, cosa si nasconde dietro la crisi diplomatica con i Paesi del Golfo
Il 27 ottobre, i commenti rilasciati ad una trasmissione televisiva araba dal Ministro dell’Informazione libanese George Kordahi, e relativi alla gestione caotica del conflitto in Yemen da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti (EAU), hanno scatenato una crisi diplomatica molto seria tra Beirut e monarchie del Golfo. La polemica è iniziata con la diffusione di un video che mostrava una vecchia intervista del 4 agosto 2021 di Kordahi (prima quindi che entrasse a far parte dell’esecutivo) durante uno show televisivo di al-Jazeera. In questo contesto, Kordahi aveva dichiarato che Riyadh e Abu Dhabi nei loro attacchi in Yemen avevano preso di mira obiettivi civili inermi e che le offensive degli Houthi fossero giustificate come forma di autodifesa contro un’aggressione esterna.
Dal momento dello scoppio della bufera mediatica, Kordahi ha cercato di difendere le proprie posizioni sottolineando attraverso Twitter che lo scopo delo suo intervento non fosse quello di offendere i due Paesi citati, ma di mostrare l’assurdità della guerra in corso in Yemen. Di converso, il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) e la Lega Araba hanno condannato le parole di Kordahi sostenendo che quest’ultimo avesse poca consapevolezza degli avvenimenti in Yemen e di come gli Houthi si mostrassero come un serio ostacolo per il raggiungimento della pace nel Paese. Inoltre, in risposta al tweet del Ministro libanese, l’Arabia Saudita ha richiamato il proprio Ambasciatore – ufficialmente per consultazioni –, sancendo di fatto l’interruzione dei rapporti diplomatici con le autorità di Beirut. Le autorità saudite hanno inoltre ribadito quanto fosse inutile discutere con il governo libanese vista l’ingombrante e capillare presenza di Hezbollah in tutte le dinamiche interne ed esterne al Paese dei Cedri. Sempre Riyadh ha infine vietato qualsiasi importazione dal Libano verso il regno – con perdite economiche previste per Beirut intorno ai 250 milioni di dollari –, ponendosi in continuità con il divieto che aveva apposto l’aprile scorso sui prodotti alimentari provenienti dal Paese levantino. Anche gli EAU, il Kuwait il Bahrain e lo Yemen si sono mobilitati, condannando i commenti del Ministro dell’Informazione libanese e facendo rientrare i propri Ambasciatori e cittadini in patria.
Se da un lato Hezbollah ha supportato Kordhai, dall’altro il governo nazionale ha immediatamente agito nel tentativo di far rientrare la crisi, senza tuttavia riuscirci. Il Premier Najib Mikati ha espresso il proprio personale desiderio di riallacciare i rapporti con le altre potenze regionali, inquadrando le dichiarazioni del Ministro dell’Informazione come opinioni prettamente personali. Il governo ha quindi provato a ricucire la frattura diplomatica al fine di non perdere il decisivo sostegno finanziario degli Stati del Golfo, data l’attuale situazione di dissesto in cui versa l’economia nazionale. Il Paese, infatti, soffre molteplici crisi, come quella energetica e finanziaria, oltre che subire le ripercussioni dirette della guerra civile siriana. Per queste ragioni Mikati vorrebbe spingere per le dimissioni di Kordahi, anche se l’ipotesi sembra poco plausibile in quanto potrebbe far vacillare il fragile equilibrio inter-settario delle istituzioni libanesi. A complicare ulteriormente il tutto si è aggiunta la nuova decisione del governo saudita di inserire l’associazione libanese Qard al-Hasan nella black list nazionale del terrorismo, in quanto tale fazione è considerata il braccio operativo e finanziario di Hezbollah. L’organizzazione è la più grande istituzione finanziaria non bancaria del Libano ed è uno degli strumenti con cui Hezbollah consolida il suo sostegno tra la popolazione sciita del Paese. Con il congelamento di tutti i beni di al-Qard al-Hasan da parte di Riyadh, è stato dato un altro duro colpo alla comunità libanese, che si è spesso affidata all’associazione per costruire ospedali e distribuire combustibile e riscaldamento alle famiglie in difficoltà.
Il rapido inasprimento della crisi diplomatica ha mostrato l’intrinseca fragilità di Beirut, che non è in grado di sorreggersi autonomamente nel contesto mediorientale. Infatti, da un punto di vista regionale, l’escalation diplomatica è stato un pretesto per innescare un nuovo capitolo nello scontro tra i Paesi arabi del Golfo e l’Iran. Il Libano, come lo Yemen, è uno dei campi di battaglia tra le potenze d’area che, supportando parti contrapposte, tentano di estendere la propria influenza in Medio Oriente. Riyadh ha visto nella crisi diplomatica un’occasione per ribadire il proprio ruolo di garante degli equilibri d’area e, di fatto, tentare di indebolire il fronte sciita nel Paese, in particolare Hezbollah, facendo leva anche sull’influenza economica e finanziaria che detiene in Libano. Di fronte a tali posizioni, l’Iran è rimasta ufficialmente in attesa, anche perché impegnato a risolvere altre grane in altri contesti strategici più prossimi.
Benché sia chiaro che la tensione diplomatica con il Libano sia un espediente, soprattutto nell’ottica saudita, essa mostra aspetti paralleli che si inseriscono o puntano in un certo senso a reinserirsi in dinamiche più propriamente regionali. Allo stato attuale è molto probabile che il governo libanese punti ad accogliere il più possibile le richieste dei partner del Golfo, senza tuttavia intaccare il già complesso equilibrio interno sempre troppo suscettibile di subire nuove fiammate ed escalation di tensioni e/o violenze. Infatti, il contraccolpo economico inferto da Riyadh alle critiche mosse dal Ministro libanese alla guerra in Yemen potrebbe ulteriormente peggiorare le catastrofiche finanze di Beirut, soprattutto se anche le altre monarchie arabe del Golfo seguissero l’esempio saudita. Se ciò avvenisse, le ricadute negative più prossime per il Libano sarebbero quantificate in perdite superiori al 1 miliardo di dollari miliardi l’anno, andando così a condizionare fortemente una situazione sociale, politica ed economica nazionale già esplosiva. Di fatto l’aspetto economico di tale crisi rischia di essere un contraccolpo molto duro dal quale il Libano potrebbe non rialzarsi tanto facilmente.