Le sfide del terzo mandato di Xi Jinping
Tra il 16 e il 22 ottobre, si è tenuto a Pechino il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese. Nel corso dell’appuntamento politico e istituzionale più rilevante della Repubblica Popolare Cinese, che si svolge ogni 5 anni, 2.296 delegati si sono riuniti nella capitale per eleggere i membri del futuro Comitato Centrale. Questi ultimi, a loro volta, hanno avuto il compito di selezionare gli esponenti degli altri organi apicali del partito, ossia l’Ufficio Politico (o Politburo), il Comitato Permanente del Politburo e, infine, il Segretario.
Tra i verdetti politici più attesi del Congresso, oltre alla prevedibile conferma del Presidente Xi Jinping al timone del Paese per un terzo mandato, figurava il grado di controllo che il leader cinese avrebbe imposto sul Partito. In questo quadro, l’ampio rimpasto avvenuto tra gli esponenti degli organi apicali della Repubblica Popolare sembrerebbe aver rafforzato la posizione di Xi, riducendo ai minimi termini l’opposizione interna e, con essa, ogni elemento residuo di “guida collegiale”. In particolare, l’uscita dal Comitato Permanente di due esponenti di peso della Lega della gioventù comunista (Tuanpai), come Li Keqiang e Wang Yang, sembra preludere a una fase nuova in cui l’ala cosiddetta elitista, dominata dallo stesso Xi, assume di fatto il pieno controllo del Partito.
Il Congresso si è svolto in un contesto di grande criticità per la Repubblica Popolare, dovuta essenzialmente alla frenata dell’economia nazionale, aggravata dalla rigidità della politica “zero-Covid” intrapresa dal Presidente Xi. Altro focus dell’appuntamento congressuale ha riguardato la sicurezza, interna ed esterna, della Cina, con particolare attenzione al futuro dei progetti commerciali legati alle Vie della seta e alle crescenti tensioni relative alla questione di Taiwan.
Sul fronte economico, il rallentamento della crescita, tradizionale fattore di legittimità politica della leadership cinese, pone sfide rilevanti ai vertici del Partito. Guardando ai dati, a fronte di stime governative che prevedevano un aumento del PIL superiore al 5%, le attuali previsioni della Banca mondiale indicano come la crescita potrebbe fermarsi quest’anno al 2.8%, il secondo valore più basso dal 1976. A pesare sulla dinamicità dell’economia cinese concorrono diversi fattori. Anzitutto, si registra una crisi strutturale dell’importante settore immobiliare cinese, che pesa per circa un terzo del PIL nazionale, e traina storicamente crescita del Paese. In questo quadro, la stretta sul credito decisa lo scorso anno, mirata a controllare la crescente speculazione e calmierare i prezzi, ha reso insostenibile la posizione debitoria dei colossi delle costruzioni spingendoli verso il default, come nel caso di Evergrande. A causa della crisi del settore, la costruzione di milioni di appartamenti è stata bloccata e il 29.1% di tutti i prestiti immobiliari sono classificabili come inesigibili. Al fine di disinnescare una crisi più ampia, che avrebbe coinvolto il settore bancario, il governo cinese ha modificato la propria politica andando a immettere liquidità nel sistema senza, tuttavia, aver ancora ottenuto gli effetti sperati. A incidere negativamente sul tasso di crescita cinese è anche la rigida strategia di contenimento della pandemia, nota come “zero-Covid”, imposta dal Presidente Xi. Caratterizzata da lockdown generalizzati e dall’adozione di misure drastiche di controllo della popolazione, tale politica ha prodotto contestazioni, tanto sul fronte interno quanto su quello internazionale. La stessa camera di commercio dell’Unione Europea ha, recentemente, denunciato un deterioramento complessivo delle condizioni di business legato proprio alle scelte governative in ambito sanitario.
In questo quadro, le scelte emerse dal Congresso sembrerebbero confermare la volontà di Xi di proseguire sulla strada intrapresa, sia sul piano economico che su quello delle politiche sanitarie. La stessa promozione di Li Qiang, inserito al secondo posto nella gerarchia del Comitato permanente del Politburo, sembra indicare continuità con le scelte fatte finora. La nomina, infatti, è giunta malgrado Li sia a capo del Partito Comunista a Shanghai, la capitale commerciale ed economica del Paese dove, nei mesi scorsi, la strategia di contenimento della pandemia ha dimostrato tutti i suoi limiti.
Il rallentamento complessivo dell’economia cinese rischia di incidere anche sui progetti di sviluppo della Belt and Road Initiative (BRI). In particolare, dopo la revisione dettata dalla crisi pandemica, che ha prodotto uno spostamento parziale del focus della BRI dalla connettività allo sviluppo di infrastrutture sanitarie e digitali, ora Pechino deve fare i conti anche con le difficoltà economiche complessive dei suoi partner regionali. Lo scorso settembre, proprio al fine di ricalibrare la strategia commerciale dei prossimi anni, Xi ha compiuto un viaggio in centro Asia dove ha incontrato, tra gli altri, il Presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev. La visita è servita a Xi per ribadire l’importanza del partenariato strategico globale che lega i Paesi e il ruolo determinante di Astana come transito per le merci dirette in Europa nell’ambito della BRI e nella fornitura di materie prime quali petrolio, uranio, carbone e zinco, nonché per il transito del gas turkmeno. Successivamente, il Presidente cinese ha preso parte al summit della Shanghai Cooperation Organization, vetrina utile alla promozione del progetto cinese di costruzione di un ordine mondiale multipolare.
Queste mosse sembrano indicare chiaramente che l’Asia centrale rimarrà una priorità per la Cina di Xi anche nel corso del terzo mandato, così come proseguirà la battaglia cinese mirata a porsi come guida del gruppo di Paesi che criticano l’attuale equilibrio di potere nel sistema internazionale.
Sul fronte della sicurezza interna, nel corso del Congresso, Xi ha rivendicato il successo nel contenimento delle proteste a Hong Kong, aspetto che lascia intendere una continuità nella strategia di gestione delle possibili crisi interne legate al dissenso e alle spinte autonomiste presenti nelle periferie del Paese. Per quanto riguarda il fronte esterno, il focus del terzo mandato di Xi dovrebbe rimanere centrato sulla questione taiwanese, in merito alla quale la leadership mantiene ferma la volontà di trovare una soluzione prima del centenario del 2049. A tal proposito, la riunificazione pacifica con l’isola rimane per Pechino un obiettivo primario ma, qualora questo proposito dovesse rivelarsi irrealizzabile, non sembra escludibile a priori l’opzione militare. Quest’ultima, in particolare, potrebbe concretizzarsi in un blocco navale che avrebbe il doppio effetto di evitare, almeno in teoria, uno scontro aperto e fiaccare la resistenza di Taiwan dipendente dall’estero per il 98% del fabbisogno energetico. In questo contesto, il terzo mandato di Xi sarà caratterizzato dal prolungamento e dall’implementazione dei progetti di modernizzazione delle forze armate definiti attraverso piani quinquennali e, per questa ragione, sostanzialmente slegati dal processo congressuale.
Nel complesso, il Congresso ha evidenziato come il terzo mandato di Xi dovrebbe presentare un discreto grado di continuità rispetto al decennio precedente almeno nella definizione degli obiettivi di carattere generale e delle priorità di politica interna ed estera. Tuttavia, la leadership ha indicato come quello attuale non sia più percepito solo come un periodo di “opportunità strategica” ma, piuttosto, come una fase in cui rischi e opportunità coesistono. Proprio per questa ragione, Xi potrebbe essere costretto a ricalibrare alcune politiche al fine di adattarle ai nuovi scenari di crisi.
A tal proposito, nel suo discorso al Congresso, Xi ha menzionato la realizzazione di riforme che vadano in direzione dell’allocazione dei fattori produttivi basata su logiche di mercato, oltreché un generale miglioramento delle condizioni per fare impresa nel Paese. Nella realizzazione di queste misure il Presidente cinese potrebbe contare anche sul supporto del futuro Premier Li Qiang il quale, negli anni in cui ha guidato il Partito a Shanghai, si è distinto per un approccio di apertura nei confronti del settore privato. In particolare, Li ha supervisionato la creazione dello Shanghai Stock Exchange STAR Market, l’indice dei principali titoli tecnologici simile al Nasdaq statunitense, e ha favorito gli investimenti di aziende estere come Tesla. Di conseguenza, potremmo assistere a una maggiore sinergia tra Presidente e Primo ministro rispetto al quinquennio appena trascorso, nel quale Li Keqiang non ha goduto di particolare attenzione da parte di Xi.
In conclusione, la complessa fase economica e l’instabilità del quadro internazionale potrebbero aver svolto un ruolo nella scelta di Xi di marginalizzare le opposizioni al fine di evitare che le minoranze del partito approfittino delle criticità per scalare le gerarchie. Tuttavia, malgrado il ridimensionamento dell’opposizione interna e la nomina ai vertici del Partito di funzionari vicini a Xi sembrerebbero indicare continuità, un eventuale deterioramento del quadro macroeconomico e di sicurezza potrebbe obbligare la leadership a ricalibrare alcune politiche che oggi appaiono immodificabili.