Le “due sessioni” indicano la rotta: sfida ed opportunità per la crescita cinese
Dal quattro all’undici marzo 2022 si sono tenute a Pechino le riunione plenarie – note come “Due sessioni” - del Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (CPCPC) con l’obiettivo di delineare le linee strategiche in ambito di politica economica, commerciale, ambientale e di sviluppo industriale della Cina.
Le “due sessioni” del 2022 giungono in un momento critico per la Cina, presa all’interno dall’urgenza di gestire la pandemia e dalla possibilità che Xi Jinping ottenga uno storico terzo mandato, e all’esterno dalla necessità di trovare un difficile equilibrio con gli Stati Uniti, mentendo al contempo aperto il collegamento con Putin mentre la crisi ucraina imperversa senza al momento alcuna possibilità di soluzione diplomatica.
Gli elementi principali emersi dalle “due sessioni” sono stati riassunti nella relazione conclusiva presentata dal Premier Li Keqiang, che ha messo in luce le molteplici sfide che deve affrontare la Cina, dalle strozzature che rallentano le catene globali del valore alla crisi energetica, dal quadro economico globale particolarmente incerto e volatile alla debole ripresa dei consumi e degli investimenti domestici.
Nonostante le criticità interne e l’incertezza del contesto economico globale, il governo cinese ha fissato l’obiettivo di crescita per il 2022 a circa il +5.5% del PIL, con delle province che presentano degli obiettivi di crescita significativamente più alti rispetto a quello nazionale. Mantenere la crescita per assicurare la stabilità del Paese, infatti, è uno di messaggi di fondo emersi dalle “due sessioni” di quest’anno. La ricetta economica propugnata da Pechino per raggiungere questo ambizioso obiettivo si basa sull’intensificazione degli stimoli di natura fiscale, anche attraverso incentivi in materia di tassazione, ed un maggior supporto alle realtà imprenditoriali cinesi. I piani di sviluppo infrastrutturale continueranno ad essere finanziati, anche e soprattutto per collegare la megalopoli con la Cina rurale, ma in modo meno massiccio rispetto al passato. Da questo punto di vista, quindi, Pechino cerca di superare l’approccio finora prevalente del finanziamento di grandi progetti infrastrutturali, per invece dedicare un’attenzione maggiore allo sviluppo del tessuto produttivo domestico. Queste misure sono funzionali anche al raggiungimento del secondo obiettivo strategico di Pechino, ovvero quello di sostenere l’occupazione attraverso la creazione di 11 milioni di nuovi posti di lavori entro quest’anno. In questo contesto, è prioritario per il governo mantenere alta la fiducia dei consumatori e dunque sostenere i consumi, in quanto componente significativa della domanda aggregata cinese, anche alla luce delle tensioni commerciali con Washington e della rottura delle catene globali del valore. Infatti, le autorità cinesi, in linea con il quattordicesimo piano quinquennale in cui sono state tracciate le linee guide del Paese fino al 2025, mirano a promuovere una crescita economica imperniata sul rilancio della domanda interna, allontanandosi progressivamente dalla struttura di crescita seguita fino a poco tempo fa incentrata sull’export e sull’attrazione di investimenti esteri.
La politica monetaria sembra destinata a rimanere prudente, anche visto il quadro internazionale delineatosi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, nel tentativo di accompagnare la politica fiscale del governo senza però fomentare possibili spirali inflazionistiche. Gli ultimi dati relativi all’andamento dell’inflazione presentano uno scenario favorevole per il rilancio dell’economia cinese, ma essi, in quanto precedenti alla guerra in Ucraina, non tengono conto dell’impatto che quest’ultima potrebbe generare sui costi delle materie prime. L’indice dei prezzi della produzione (PPI) di febbraio aveva segnato un aumentato del 9,1% rispetto all’anno precedente a gennaio, ma comunque in calo rispetto al dato di dicembre (+10,3) e alla previsione degli economisti (9,4%). Simile è stato il trend dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) di febbraio, che invece era aumentato dello 0,9% rispetto allo scorso anno e dello 0,4% rispetto a gennaio- in linea con il tasso di crescita previsto dagli economisti-, ma sempre in calo rispetto alla crescita dell’1,5% registrata a dicembre. Questo trend, in assenza della crisi ucraina, avrebbe potuto fornire alla Banca Popolare Cinese (BPC) un significativo margine di manovra per intervenire con delle politiche monetarie espansive più incisive a sostegno della crescita del Paese. Tuttavia, la guerra in Ucraina sembra aver stravolto questo scenario ottimistico, spingendo così la BPC ad adottare un approccio di cauta vigilanza.
Le “due sessioni” hanno messo in luce come le tensioni commerciali con Washington, così come la rottura delle catene globali di produzione, abbiano accentuato l’importanza di realizzare un’economia sempre più autosufficiente, soprattutto nel settore tecnologico e in quello della sicurezza alimentare. Le decisioni di investimento saranno quindi fortemente indirizzate dall’imperativo di proteggere le catene del valore e da aumentare la resilienza dei comparti dell’alimentare e del tecnologico, in particolare per quanto riguarda la produzione di semiconduttori. Un altro elemento centrale della politica dell’autosufficienza è quello di rafforzare il cosiddetto “decoupling” nei settori critici, ovvero quel processo di disaccoppiamento tra l’economia cinese e quella degli alti Paesi, in particolar modo da quella statunitense. La guerra in Ucraina inserisce un nuovo grado di urgenza al processo di “decoupling”, visto che la Cina, che ancora non ha assunto una posizione netta al riguardo, si ritrova nella complessa situazione di non poter abbandonare la Russia col rischio che ciò comprometta ulteriormente la già travagliata relazione con Washington.
Il concetto di autosufficienza presentato alle “due sessioni” si combina in modo coerente con la strategia della “doppia circolazione”, formulata da Pechino nel 2020 come reazione all’incertezza e all’ostilità dell’economia globale. Attraverso questa strategia, la Cina mira a rafforzare l’espansione del consumo domestico (circolazione interna), pur rimanendo aperta al commercio e agli investimenti internazionali (circolazione esterna). L’obiettivo è quello di rendere la domanda interna il primo pilastro economico della crescita cinese e mantenere l’apertura verso l’esterno senza però dipenderne in modo eccessivo, così da diminuire la vulnerabilità dell’economia cinese agli shock esogeni. Malgrado il rapporto delle “due sessioni” non faccia esplicito riferimento alla “doppia circolazione”, l’implementazione di politiche mirate a rafforzare la circolazione interna supportando la crescita del mercato e della domanda domestica rimane una priorità strategica per Pechino.
Il dossier del cambiamento climatico, non sorprendentemente, è uscito indebolito dalle “due sessioni”. La Cina, infatti, ha rallentato il piano di decarbonizzazione, chiarendo quanto la sicurezza energetica sia considerata prioritaria rispetto all’agenda della transizione verde, soprattutto alla luce della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina. Da questo punto di vista, sembra quindi chiaro che la Cina non abbia intenzione di arrestare le centrali a carbone senza che prima gli investimenti in energie rinnovabili abbiano dato prova concreta di poter soddisfare parte della domanda di energia domestica.
Dalle “due sessione” emerge chiaramente l’immagine di una Cina consapevole del proprio potenziale e determinata a non rinunciare ai propri obiettivi strategici, malgrado le sfide che si prospettano. Il perseguimento di questa agenda ambiziosa passa attraverso il rafforzamento della stabilità interna e il raggiungimento di un livello di autosufficienza e resilienza tale da garantire alla Cina di poter proseguire nella propria politica di crescita senza essere travolta dai bruschi terremoti che stanno scuotendo il sistema politico ed economico internazionale.