Le acque contese del Nilo
Africa

Le acque contese del Nilo

Di Giulia Tarozzi
11.04.2013

Secondo le ultime previsioni degli esperti del governo egiziano, il delta del Nilo starebbe andando incontro ad un graduale, ma costante, sprofondamento delle sue terre, con conseguenze catastrofiche per i suoi abitanti. Allo stesso tempo, la popolazione locale è in crescita e, a breve, saranno richieste risorse idriche ancora più elevate per soddisfarne i bisogni. A contendersi tali risorse idriche sono da un lato i Paesi attraverso i quali il fiume scorre, Egitto e Sudan, e dall’altro gli Stati nei quali si trovano le sorgenti che lo alimentano (Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenya, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Ruanda). Se un tempo i primi erano più popolosi ed industrializzati e dunque necessitavano di un maggior approvvigionamento idrico, ora lo sviluppo dei secondi ha fatto si che gli occorra una maggior quantità di acqua e quindi un più intenso utilizzo delle acque del Nilo.

La questione idrogeologica s’innesta in un periodo di grandi cambiamenti per l’Egitto, che da sempre amministra la maggior parte delle acque del fiume. Il Presidente Mohamed Morsi, eletto a giugno 2012, si trova ora a gestire l’instabilità interna al Paese e confrontarsi con i Paesi bagnati dal grande fiume e che ne reclamano i diritti di sfruttamento. Il problema fondamentale legato alla gestione del fiume è che esso scorre per la maggior parte in Egitto e Sudan, ma ha origine in altri Paesi che ne contendono le acque.

Il Nilo principale nasce in Sudan, dall’unione delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo Bianco. A loro volta essi nascono rispettivamente dal Lago Tana in Etiopia e dal Lago Vittoria, le cui acque attraversano i confini di Kenya, Uganda e Tanzania. Pertanto, ognuno di questi Paesi vuole esercitare il diritto sovrano di costruire dighe e sbarramenti, sfruttando le acque del bacino del Nilo per produrre elettricità, oppure utilizzare liberamente parte delle acque presenti entro i propri confini nazionali. Questi progetti, che potrebbero ridurre notevolmente l’afflusso di acqua verso l’Egitto e il Sudan, rispondono all’interesse economico e di sicurezza delle singole nazioni ma violano gli accordi internazionali sulle acque del Nilo, del tutto favorevoli al Cairo. La legislazione vigente, infatti, si basa sui trattati stipulati tra Egitto e Gran Bretagna nel 1929, ed Egitto e Sudan nel 1959 e garantisce al Cairo e a Khartoum lo sfruttamento del 90% dell’acqua del Nilo. Fino a qualche decina di anni fa l’Egitto aveva la popolazione più numerosa e uno sviluppo industriale più avanzato ed era dunque giustificabile una maggior necessità di acqua. Oggi i suoi 77 milioni di abitanti sono solo una frazione di quelli dei nove Paesi (Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenya, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Ruanda e Sud Sudan) del bacino del fiume: oltre 400 milioni, che si stima diventeranno quasi 700 milioni nel 2030.

Per tentare di rivedere gli accordi sulla gestione delle acque, alcuni di questi Paesi hanno dato vita all’Entebbe Framework Agreement e alla Nile Basin Inititative (NBI), rispettivamente un accordo ed una partnership tra gli Stati del bacino del Nilo che vogliono sviluppare metodi cooperativi per amministrare tali risorse idriche. Il 13 gennaio il governo egiziano ha rifiutato di firmare l’Entebbe Framework Agreement, in sintonia con la decisione presa dal governo del Sudan. L’accordo, siglato nel 2010 da Etiopia, Ruanda, Uganda, Kenya e Tanzania, e approvato nel marzo 2011 dopo la firma del Burundi, è volto ad una redistribuzione più equa delle acque del Nilo. Attualmente tali acque vengono sfruttate per la quasi totalità da Egitto e Sudan. Come ha dichiarato il ministro delle risorse idriche e dell’irrigazione egiziano, Mohamed Bahaa Eddin, nonostante oggi abbia diritto a 55 degli 80 milioni di metri cubi di acqua di portata del Nilo, il Cairo avrebbe bisogno di ulteriori 7 milioni di metri cubi di acqua per poter sostenere la propria crescita e il proprio sviluppo. Pertanto, il Paese soffre, per riconoscimento delle stesse Nazioni Unite, di un insufficiente approvvigionamento idrico. Una crisi idrica inciderebbe pesantemente sull’economia del Paese e Morsi non può permettersi ulteriori fattori d’instabilità: il Nilo è per il Cairo una questione di sicurezza nazionale di primaria importanza, sulla quale parrebbero esserci pochi margini di trattativa.

Per questo motivo il governo egiziano si è affrettato a rinsaldare i rapporti con il Sudan e riaffermare l’unità d’intenti sul fatto che nei prossimi anni le acque del Nilo continuino ad essere soggette ai vincoli risalenti all’epoca coloniale. D’altronde il mantenimento della situazione attuale è vitale per la sopravvivenza del Sudan stesso che, dopo la secessione del Sud Sudan, ha perso il controllo sui pozzi petroliferi delle aree meridionali compromettendo gran parte delle proprie risorse economiche. Il governo di Bashir vede nella zona del Nilo Azzurro una possibilità di rilancio per il Paese attraverso lo sviluppo agricolo. Per questo ha recentemente inaugurato una nuova diga che aumenterà la capacità d’irrigazione dell’area rurale, sin qui devastata dai conflitti e con la maggioranza della popolazione che vive sotto la soglia di povertà.

Nella competizione per i diritti di sfruttamento delle acque del Nilo si è inserito un nuovo player il 9 luglio 2011, quando il Sud Sudan è divenuto il 54esimo Stato africano. Quando nel ’59 Egitto e Sudan avevano firmato il trattato sulla partizione delle acque del Nilo non era minimamente contemplata la possibilità che, un giorno, una parte del Sudan potesse divenire indipendente. Nel 2012 Juba è divenuto membro della Nile Basin Initiative (come osservatore), organizzazione regionale che riunisce tutti i Paesi facenti parte del bacino del Nilo e che rivendicano lo sfruttamento delle sue acque. Questo gli darebbe la possibilità di aderire all’Entebbe Framework Agreement, mossa che però andrebbe contro gl’interessi del governo egiziano, che sin qui l’ha supportato nel processo di separazione da Khartoum. In attesa di capire quale sia la scelta più conveniente per i propri interessi, il Sud-Sudan non ha ancora preso posizione lasciando in allerta Egitto e Sudan. Se questo nuovo Stato si unisse apertamente alla schiera di coloro che reclamano un pezzo di Nilo i problemi aumenterebbero, non solo per un fattore di numero di contendenti, ma anche perché si tratterebbe di capire quali posizioni il nuovo Stato assumerà.

Anche in Etiopia la situazione negli anni è notevolmente cambiata, in particolare grazie al Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico di tutta l’Africa, possibile grazie anche ad un investimento cinese di oltre 900 milioni di dollari. La diga, che sorge a circa 40 Km dal confine sudanese, è al centro del progetto del governo Desalegn per lo sviluppo dell’intero Paese, che punta così alla soluzione del grave problema della scarsità alimentare nonché del sottosviluppo e della povertà. Nonostante le rassicurazioni di Addis Abeba sui vantaggi che essa porterà all’intera area, come la riduzione della perdita di acqua a causa dell’evaporazione, l’Egitto teme di perdere il controllo sul Nilo e di veder diminuire le risorse idriche a sua disposizione. Ciò comporterebbe il rischio di mettere in crisi la produzione di energia e l’approvvigionamento idrico per il fabbisogno nazionale e per lo sviluppo del settore agricolo egiziano. Il governo Morsi si è detto preoccupato per il progresso di tale progetto, i cui benefici effettivi sono comunque tuttora in discussione, e che potrebbe incrinare le relazioni tra i due Paesi con serie ripercussioni politiche ed economiche.

La Tanzania ha anch’essa intrapreso una serie di decisioni autonome in materia di gestione delle risorse idriche. In particolare sono interessanti quelle connesse alle acque del lago Vittoria che, in quanto principale fonte di alimentazione del Nilo, sarebbero vincolate da vecchi trattati. Nonostante le proteste del Cairo, un primo progetto per irrigare la regione del Tabora, il Kahama Shinyanga Water Project, che si estende nella zona centroccidentale del Paese su un vasto altopiano percorso dai fiumi Wembere, Igombe, Ugalla e Kavu, è stato avviato negli scorsi anni ed uno nuovo partirà nei prossimi mesi. Per Dodoma tale progetto è la soluzione al persistente problema di scarsità idrica dell’area che ha progressivamente portato ad un aumento della povertà e della fame nel Paese. In un primo momento il governo egiziano ha lamentato di non essere nemmeno stato informato del progetto. Ciò ha scatenato la replica delle autorità tanzaniane che hanno sostenuto che i protocolli dell’epoca coloniale non hanno più valore legale poiché risalgono ad un periodo precedente all’indipendenza di molti Paesi interessati. Secondo l’interpretazione data dal governo della Tanzania, Dodoma ha il diritto a procedere con un’iniziativa vitale per il proprio sviluppo economico.

Tutti questi cambiamenti stanno portando l’Egitto ad accentuare la propria già alta sensibilità per la questione idrica, rendendolo avverso ad ogni nuovo mutamento che possa incidere sulla fruibilità dell’acqua. Dall’altro lato la Nile Basin Initiative cerca di promuovere il dialogo tra gli Stati dell’area, nel tentativo di raggiungere un accordo che ridefinisca l’accesso al Nilo sulla base dei mutamenti avvenuti nel corso degli anni. Finora le politiche dell’NBI restano però sulla carta, poiché sull’organismo pesano lo strapotere dell’Egitto e le rivalità storiche tra i vari Paesi. I deboli cenni di apertura del Cairo non sono sufficienti a placare una situazione che va risolta prima che le tensioni possano portare allo scoppio di un conflitto regionale per l’acqua. Se gli intenti della NBI non verranno tramutati in fatti si potrebbe assistere nel prossimo futuro alla degenerazione del quadro di sicurezza dell’area e all’aumento delle ostilità per il controllo delle risorse idriche, con conseguenze nefaste su un’area già in difficoltà e che solo recentemente sta progredendo nello sviluppo economico.

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