La tassa sul rame decide le presidenziali nello Zambia
L’ex ministro della Difesa e della Giustizia, Edgar Lungu è il nuovo Presidente dello Zambia. Alle elezioni di martedì 20 gennaio il candidato del Fronte Patriottico (PF) ha vinto con il 48,3% dei voti contro il 46,7% del principale sfidante, Hakainde Hichilema del Partito Unificato per lo Sviluppo Nazionale (UPND). Tutti gli osservatori internazionali presenti, fra cui una missione dell’Unione Africana e una della Southern Africa Development Community, hanno giudicato libere e trasparenti le elezioni. Il voto ha polarizzato gli elettori: divisi da uno scarto di appena 27mila schede, Lungu e Hichilema si sono spartiti più del 90% delle preferenze degli oltre 5 milioni di votanti, lasciando solo le briciole alla decina di altri candidati. Una polarizzazione, questa, che non sottende in maniera univoca una divisione su base etnica fra i sostenitori di Lungu e quelli di Hichilema. Storicamente, in Zambia non sono presenti discriminazioni etniche rilevanti, al contrario di quanto avviene in altri Stati africani. Il dato merita di essere sottolineato, in quanto nel Paese sono presenti oltre 70 gruppi etno-linguistici.
Il ritorno anticipato alle urne è dovuto all’improvviso decesso del presidente in carica Michael Sata (PF), morto lo scorso ottobre a 2 anni dalla scadenza naturale del suo mandato. Come vuole la Costituzione, dopo un breve periodo di reggenza affidato al vice-presidente Guy Scott, il paese è tornato alle urne. Lungu però resterà in carica solo fino a settembre 2016, quando una nuova tornata elettorale ristabilirà la normale cadenza quinquennale per la carica più alta dello Stato.
Lo Zambia è una repubblica democratica presidenziale multipartitica fin dal 1991, quando l’allora presidente Kenneth Kaunda lasciò il potere dopo 20 anni di dominio incontrastato alla testa del Partito Indipendentista Nazionale Unito (UNIP). La scelta, benché apparentemente volontaria, è stata, in realtà, fortemente condizionata dal generale peggioramento della situazione economica durante la seconda metà degli anni ‘80. La decisione di nazionalizzare alcuni comparti industriali, in particolare le miniere di rame, con la prospettiva di risollevare le sorti del paese, portò in realtà come unico risultato al dilagare della corruzione. Così, la soluzione individuata da Kaunda nel 1991, anche sulla scorta di quanto accaduto pochi mesi prima in Benin, fu quella di chiudere l’era del monopartitismo e permettere ad altri movimenti politici di partecipare alle elezioni. Il breve periodo di transizione ebbe come principale attore il neonato Movimento per la Democrazia Multipartitica (MMD), da una cui costola nacque nel 2001 il PF di Sata. Dal ‘91 in Zambia si sono tenute regolarmente elezioni che hanno consolidato l’alternanza al potere. Non sono però mancate le contestazioni dei risultati delle urne da parte dell’opposizione di turno. Uno dei punti centrali delle campagne elettorali (quella appena conclusa non fa eccezione) è la gestione delle risorse naturali e in particolare delle miniere di rame. Lo Zambia, insieme alla Repubblica Democratica del Congo, fa parte della ricchissima copper belt, un bacino minerario particolarmente prolifico dell’Africa australe. Il rame rappresenta circa il 70% dell’export del paese e può essere considerato come la spina dorsale dell’economia zambiana.
Ad animare la recente campagna elettorale è stata proprio una legge sui proventi del rame, fortemente voluta dall’ex presidente Sata. La norma, che dovrebbe entrare in vigore entro gennaio, triplica il prelievo dello Stato sui profitti delle aziende destinatarie di concessioni per lo sfruttamento delle miniere, portando l’aliquota dal 6 al 20% per quelle a cielo aperto e dal 6 all’8% per le miniere in profondità. In Zambia operano alcune delle più grandi corporations del settore estrattivo come Glencore, China Non-Ferrous Metals Mining Corporation (CNMC), Barrick Gold e First Quantum Minerals, il cui fatturato ovviamente incide notevolmente sulle scelte della politica. Le maggiori entrate nelle casse dello Stato derivanti dalla tassa sarebbero poi destinate alle fasce più deboli della popolazione, benché nessuna misura in tal senso sia ancora stata redatta dal governo. Il candidato dell’opposizione Hichilema si è da subito opposto alla tassa e ha raccolto i consensi delle compagnie minerarie e dei lavoratori del settore. Il neo-presidente Lungu, invece, ha mantenuto la posizione del collega di partito Sata, ribadendo all’indomani della vittoria che la necessità per il paese è bilanciare gli interessi delle corporations con i bisogni della popolazione.
La tassa sul rame desta preoccupazioni su più fronti, e non solo perché tocca direttamente gli interessi delle imprese estrattive. Se è vero, infatti, che il settore minerario vale il 12% del Pil dello Zambia, è altrettanto importante considerare che dà lavoro a una persona su dieci. Con l’aumento delle tasse e la conseguente riduzione del margine di profitto, quindi, è possibile che le compagnie giudichino gli investimenti non redditizi e li dirottino altrove. Ma se ciò avvenisse, anche il livello occupazionale ne uscirebbe ridimensionato, con conseguenze negative innanzitutto per la base elettorale del PF. In questo caso, la nuova tassa diventerebbe controproducente sotto tutti i profili. Anche la stabilità sociale del paese potrebbe subire un contraccolpo, visto il recente consolidamento dei movimenti sindacali nelle regioni minerarie. In ultima istanza, la tassa sul rame evidenzia un forte problema di sovranità per lo Zambia. Da un lato gli investimenti portano ricchezza e contribuiscono a mantenere un certo livello di pace sociale. Dall’altro lato implicano una condizione di dipendenza dello Stato nei confronti degli interessi delle multinazionali.
Proprio facendo leva su questi argomenti il defunto presidente Sata aveva riportato la vittoria nel 2011. Prometteva di frenare lo strapotere delle compagnie e di negoziare condizioni più favorevoli tanto dal punto di vista economico quanto da quello sociale. Un’impresa certo non semplice visto chi occupava (e occupa tuttora) l’altro lato del tavolo. Ma da anni il malcontento fra i lavoratori del settore va crescendo: almeno dal 2005 si susseguono scioperi per l’aumento del salario e la riduzione dell’orario lavorativo, e in alcuni casi si è arrivati anche all’omicidio di dirigenti delle aziende.
Tensioni, queste, che non sono terminate con la salita al potere di Sata. In effetti, l’ex presidente ha perseguito una politica ambivalente. Appena eletto, a fine 2011, ha minacciato di congelare in blocco le esportazioni di rame, giocando sulla capacità di influenzare il prezzo del metallo sul mercato grazie al fatto di essere l’ottavo produttore mondiale. Una misura comunque momentanea, che doveva servire per effettuare controlli approfonditi sull’ammontare delle tasse pagate dalle compagnie estere e sulle quantità di rame che dichiaravano di aver estratto. Ma questo pugno di ferro è andato di pari passo, durante tutti i tre anni del mandato di Sata, con l’attrazione di ulteriori investimenti nel settore da parte delle stesse compagnie sospettate di frode. L’aumento delle tasse sull’estrazione, annunciata già a ottobre 2011, sta per entrare in vigore solo ora.
La situazione con cui si deve confrontare Lungu, quindi, appare per molti versi simile a quella di 4 anni fa. Le corporations hanno espresso già durante la campagna elettorale le loro perplessità, arrivando anche a minacciare di tenere in cassaforte ogni investimento previsto per lo Zambia. Alcune si sono spinte fino a minacciare di lasciare il paese. La Barrick Gold ha preannunciato che potrebbe sospendere ogni sua attività in Zambia già da marzo a causa delle tasse in aumento e della caduta verticale dei prezzi sul mercato. La First Quantum e la Glencore hanno congelato i loro piani di espansione degli stabilimenti.
Unica voce fuori dal coro, quella della cinese CNMC. L’ambasciatore di Pechino Yang Youming ha fatto sapere alla vigilia delle elezioni che l’azienda resterà e continuerà a investire anche se la legge sul rame dovesse entrare in vigore. La CNMC, dal 2005 controllata dallo Stato e quindi capace di attingere a linee privilegiate di finanziamenti pubblici, ha forse mezzi migliori di altre imprese – private al 100% - per ammortizzare un calo dei profitti. Una strategia che Pechino applica fin dai primi anni 2000 a supporto dei propri investimenti in decine di Stati africani. Tramite l’appoggio d’istituti come l’ExIm Bank, infatti, la Cina rende competitive le proprie aziende rispetto ai concorrenti.
Inoltre, se le compagnie occidentali lasciassero il paese, la Cina avrebbe ulteriore interesse nel rimanere. Pechino può già vantare un rapporto privilegiato con lo Zambia, concretizzatosi nel 2006 con la creazione della Zona Economica Speciale (ZES) di Chambishi (interamente dedicata alla filiera del rame) e a una seconda ZES vicino alla capitale Lusaka (vestiti, tabacco, elettrodomestici e componenti elettroniche). Il tratto peculiare delle ZES è la possibilità di rinegoziare costantemente l’incidenza della tassazione applicata dal governo sulle imprese che vi operano all’interno. In questo senso la CNMC cinese è sicuramente la compagnia che meno ha da temere dalla nuova tassa. Nel caso in cui le altre aziende concorrenti decidessero effettivamente di abbandonare i giacimenti dello Zambia, oppure di rallentare gli investimenti nell’ottica di un braccio di ferro con il governo, la Cina godrebbe comunque di una situazione vantaggiosa. Nel primo caso potrebbe allungare le mani su tutto quanto il settore estrattivo e quindi diventare sostanzialmente monopolista, mentre nel secondo potrebbe decidere di moltiplicare gli investimenti nel paese, che dopo un picco nel periodo 2009-2012 sono calati. Inoltre la Cina potrebbe approfittare della mancanza di concorrenza diretta per diversificare i propri investimenti, imponendosi come partner commerciale privilegiato per lo Zambia. I presupposti non mancano: nel 2014 lo stock d’investimenti diretti esteri in Zambia ammontava a 2,6 miliardi di dollari e le aziende cinesi presenti sul territorio erano più di 500.
In particolare il settore agricolo potrebbe beneficiare di questa pioggia di denaro. La presenza cinese in Zambia in ambito di cooperazione agricola è infatti consolidata da decenni e orientata alla produzione per il mercato locale, con aziende controllate da Pechino di varia estensione (fino a 3500 ettari). Un’ulteriore iniezione di denaro quindi verrebbe percepita come vantaggiosa per lo sviluppo interno del paese e non tanto come una razzia di risorse. D’altro canto, le aziende agricole già esistenti sono concentrate soprattutto nella provincia di Copperbelt e quindi una loro implementazione andrebbe a tamponare una situazione di disagio sociale della quale proprio dirigenti cinesi vengono additati come responsabili.
Un quadro del genere, con investitori stranieri in fuga tranne quelli cinesi, garantirebbe quindi a questi ultimi un peso relativo nettamente maggiore nell’economia dello Zambia, e di conseguenza una forza pressoché schiacciante nelle contrattazioni col governo. Governo che, dal canto suo, avrebbe quindi ottenuto un effetto diametralmente opposto a quello desiderato da Sata e Lungu, ovvero tenersi le mani libere.
Non è da escludere che Lungu adotti una politica in tutto e per tutto ricalcata su quella del suo predecessore e collega di partito Sata, cioè attenta a bilanciare facilitazioni per le aziende e imposizioni statali. Di fronte al peso politico delle multinazionali, una via d’uscita per lo Zambia è proprio mettere al centro le risorse naturali di cui dispone. Un’accorta politica sulle concessioni minerarie (nuove o per ampliamenti di attività) potrebbe infatti essere considerata dalle compagnie, in una prospettiva di medio-lungo periodo, come una valida compensazione dell’aumento delle tasse. Inoltre la breve durata del mandato di Lungu, che scadrà fra poco meno di due anni, fa irrompere nei calcoli anche la prossima campagna elettorale. Per sperare in una rielezione senza scossoni (soprattutto vista la sostanziale parità di voti con lo sfidante Hichilema), il neo-presidente deve cercare ad ogni modo di non scontentare nessuno.