La possibile portata rivoluzionaria del processo contro Shell in Nigeria
Tra il 2008 e il 2009, i quattro contadini nigeriani Barizaa Dooh, Elder Friday Alfred Akpan, Chief Fidelis Oguru e Alali Efanga, con l’aiuto dell’organizzazione ambientalista Milieudefensie (la filiale olandese di Friends of the Earth) avevano sporto denuncia contro la Royal Dutch Shell e la sua affiliata Shell Nigeria per i danni alle persone e all’ambiente dovuti alle perdite degli oleodotti in tre villaggi dell’Ogoniland, regione nel delta del fiume Niger. Il 29 gennaio, la Corte d’Appello olandese ha stabilito la responsabilità della multinazionale per le perdite degli oleodotti nei villaggi di Goi e Oruma, stabilendo un risarcimento verso le parti danneggiate e la responsabilità per la Shell Nigeria di approntare delle misure di monitoraggio e manutenzione degli oleodotti per evitare futuri versamenti di petrolio. Tuttavia, l’iter giuridico si deve ancora concludere: si è infatti in attesa di una valutazione del danno per determinare l’ammontare del risarcimento e la decisione riguardante le misure da implementare sugli oleodotti può essere impugnata in un successivo grado di giudizio. Inoltre, la sentenza riguardante il terzo villaggio di Ikot Ada Udo deve ancora essere emanata. Nonostante ciò, il verdetto già emesso stabilisce la responsabilità della Shell nella salvaguardia degli interessi della popolazione e dell’ambiente in cui opera costituendo un precedente che può ispirare nuove azioni legali tanto in Nigeria quanto all’estero e modificare il rapporto tra multinazionali dell’energia e comunità locali in tutta l’Africa.
La Nigeria è lo Stato più ricco di petrolio in Africa sub-sahariana: le attività di estrazione producono circa due milioni di barili al giorno, e si stimano riserve fino a 30 miliardi di barili. Le attività di estrazione e trasporto sono in gran parte nelle mani di multinazionali straniere, come la Shell, Chevron, ExxonMobil, ENI, Total, Texaco e Statoil.
Il governo nigeriano è stato spesso accusato, dalle comunità locali, di non attuare adeguate politiche di sostegno a quelle categorie colpite dalle esternalità negative dell’industria petrolifera (quali l’inquinamento) che danneggiano la resa delle attività agricole ed ittiche, vale a dire la base di sostentamento per i popoli del Delta del Niger. Inoltre, Ad Abuja viene imputato di trattenere gli introiti dell’industria energetica e di non redistribuirli equamente sul territorio, penalizzando così i cittadini dei luoghi dove il petrolio viene estratto.
In questo contesto, le multinazionali straniere sono state accusate di mala gestione degli impianti petroliferi e di carenze nel sistema di sorveglianza, manutenzione e intervento in caso di perdite nonché di sanificazione ambientale. A fronte di ciò, negli ultimi decenni si sono accese numerose rivolte popolari contro l’inquinamento e la distruzione delle risorse naturali, la repressione violenta delle quali è stata spesso denunciata per violazione dei diritti umani. Tradizionalmente, i casi denunciati negli ultimi decenni e portati avanti nei tribunali nigeriani non hanno sortito effetti per le popolazioni del Delta anche a causa della corruzione della magistratura nigeriana e della volontà del governo di impedire che le rimostranze locali fungessero da ostacolo agli investimenti nel settore.
Per questa ragione, il successo in appello dei contadini del Delta contro la Shell rappresenta un evento epocale. Questo processo è andato diversamente dai precedenti: innanzitutto, l’accusa è riuscita a dimostrare come il procedimento potesse essere svolto nel Paese dove ha sede la Shell, i Paesi Bassi, evitando le possibili ingerenze del governo nigeriano. Inoltre, l’accusa è riuscita ad avere accesso ai documenti interni della Shell necessari a conoscere a fondo le attività della multinazionale nel sud del Paese. Infine, la Shell e la sua affiliata Shell Nigeria sono state ritenute responsabili per i danni provocati dalle perdite degli oleodotti in due villaggi su tre, non riuscendo a dimostrare oltre ragionevole dubbio) che le perdite erano state provocate dall’opera di sabotatori.
A fronte di tale sentenza, la società olandese deve stabilire un sistema di controllo delle perdite più rigoroso, in modo da intervenire in tempo ed efficacemente quando si verifica una falla. Questa sentenza è potenzialmente fondamentale in quanto stabilisce un precedente per il quale le multinazionali e le industrie responsabili di impatti ambientali nelle loro attività sono tenute ad avere un efficiente programma di manutenzione e monitoraggio ed a risarcire le popolazioni locali.
Alcuni elementi però rischiano di limitare la portata di questa sentenza. Innanzitutto, l’ammontare della compensazione deve essere determinato da una valutazione del danno. Dato che nel processo non è stato dimostrato che Shell Nigeria non ha provveduto sufficientemente alla pulizia del suolo nelle aree di Oruma e Goi, la valutazione del danno sarà importante per capire sia l’ammontare della compensazione per le parti danneggiate sia per stabilire se la Shell abbia messo in atto le dovute misure di salvaguardia ambientale a seguito delle perdite. In più, la responsabilità per la Shell Nigeria nell’installare sistemi di controllo per le perdite di petrolio può essere ancora impugnata in un successivo grado di giudizio. Infine, rimane in sospeso la decisione per il villaggio di Ikot Ada Udo.
In quest’ultimo caso, mentre le popolazioni locali denunciavano la mancanza di manutenzione che ha portato a perdite ingenti di petrolio, la Shell ha dimostrato che le perdite sono state causate da sabotatori. La Corte deve anche verificare che le attività di pulizia e di manutenzione siano state condotte regolarmente, perciò per la soluzione di questo processo servirà più tempo.
Qualora la decisione della Corte d’appello olandese fosse confermata in terzo grado e la Shell dovesse essere obbligata a risarcire i contadini dell’Ogoniland e a migliorare i sistemi di manutenzione e monitoraggio degli oleodotti, si potrebbero verificare effetti politici ed economici non trascurabili per tutto il settore oil&gas sia in Nigeria che nel resto dell’Africa.
Innanzitutto, l’eventuale vittoria dei contadini e l’ottenimento del risarcimento fisserebbe un precedente in grado di ispirare e spronare ad intraprendere azioni simili le altre comunità del Delta del Niger afflitte agli impatti dell’inquinamento da industria petrolifera. In questo senso, si potrebbe verificare un autentico effetto domino ed una class action senza precedenti nella regione, vale a dire un avvenimento in grado di generare una estesa mobilitazione sociale in tutto il Delta del Niger. Una simile eventualità non è da sottovalutare, soprattutto se si considera il fatto che il sud-est della Nigeria è un’area tradizionalmente attraversata da tensioni etniche e socio-politiche radicali che spesso hanno assunto la forma di attivismo anti-governativo, rivendicazioni indipendentiste e lotta armata. In una simile cornice, una mobilitazione sociale su larga scala potrebbe alimentare i ranghi sia dei movimenti pacifici che dell’insorgenza armata, creando i presupposti per una ondata di instabilità diffusa e massiccia nel Delta el Niger, soprattutto in prossimità dell’appuntamento elettorale presidenziale del 2023.
Se la sentenza fosse recepita in modo ancora più ampio, gli effetti potrebbero ripercuotersi anche al di là dei confini nigeriani. La dinamica di sfruttamento delle risorse naturali a danno delle popolazioni locali e la mancanza di adeguate compensazioni si può riscontrare in una moltitudine di altri contesti africani. Infatti, solo negli ultimi anni si sono riscontrati sollevamenti popolari contro i danni creati non solo dall’industria petrolifera (Sudan), ma anche quella del gas (con il caso emblematico delle rivolte a Cabo Delgado in Mozambico) e in quella mineraria (Repubblica Democratica del Congo, Zambia).
La sentenza potrebbe creare un precedente per tutte queste istanze, andando a criticare un modello produttivo in cui le esigenze della popolazione locale e l’ambiente in cui questa vive sono poco considerati sia dalle multinazionali che dai governi. Monitorare gli sviluppi finali di questo processo e come i suoi risultati saranno recepiti risulta dunque necessario per comprendere quali tipi di sfide affronteranno in futuro le popolazioni abitanti in luoghi in cui operano industrie particolarmente inquinanti e le aziende (soprattutto le multinazionali) che gestiscono tali attività.