La pirateria nel Canale di Mozambico e la cooperazione tra Sudafrica, Tanzania e Mozambico
Africa

La pirateria nel Canale di Mozambico e la cooperazione tra Sudafrica, Tanzania e Mozambico

Di Francesco Valdiserri
01.07.2012

A partire dal 2010, le attività di pirateria sono state caratterizzate da un sostanziale miglioramento delle tecniche di localizzazione ed abbordaggio del naviglio commerciale che ha permesso una notevole espansione dell’area di operazioni. I pirati riescono a colpire obiettivi ad oltre 1000 miglia nautiche dalle coste somale, a ridosso addirittura dell’India, del Madagascar e del Mozambico. Inoltre, molte bande di pirati hanno gradualmente spostato le proprie basi terresti sempre più sud, dallo stato semi-autonomo del Puntland al Galmudug sino addirittura alle Seychelles, al Madagascar ed alle coste di Tanzania e Mozambico.

Sebbene le stime sulla pirateria somala dell’International Maritime Bureau (IMB Piracy Reporting Centre), aggiornate al 25 giugno 2012, confermino un quadro caratterizzato da un alto numero di attacchi nel periodo gennaio-giugno (67 incidenti), emerge tuttavia una sostanziale diminuzione del numero totale d’imbarcazioni sequestrate (13 contro le 20 del 2011).

Quest’ultimo dato positivo indica una tendenza, iniziata già a metà del 2011 e riconducibile in primis ad un rafforzamento delle Operazioni UE (EUNAVFOR “Atalanta”) e NATO (“Ocean Shield”) e alla presenza di team armati a bordo dei mercantili, che tuttavia potrebbe indurre i pirati somali a concentrare ulteriormente i loro sforzi su rotte marittime lontane dalla Somalia. In questo contesto, la pirateria somala, alla ricerca di nuovi obiettivi per sfuggire ai sempre più intensi ed efficaci controlli nelle acque antistanti il Corno d’Africa e nel Golfo di Aden, ha da tempo ampliato il proprio range operativo. Vediamo infatti come l’azione dei pirati si sia spostata ad est, a ridosso delle coste sud occidentali dell’India, ed a sud, fino a minacciare le imbarcazioni che incrociano nel Canale di Mozambico, importante via commerciale che mette in comunicazione l’Atlantico e l’Africa meridionale con l’oceano Indiano. Per comprendere la rilevanza di tale corridoio marittimo, lungo circa 2.400 km, basta ricordare che vi transitano circa 28mila imbarcazioni l’anno, il 30% del petrolio commerciato a livello mondiale, più del 50% dell’import ed export regionale e la quasi totalità del commercio marittimo del Sud Africa. Inoltre, in questa zona l’azione dei pirati è facilitata da una serie di fattori come la presenza di piccole isole, rifugio ideale per le loro imbarcazioni e potenziali basi operative, una bassa densità abitativa delle zone costiere, una limitatezza delle via di fuga per le navi in transito ed infine una mancanza d’infrastrutture militari di difesa ed anti-pirateria.

È soprattutto a partire dal 2009 che il Canale di Mozambico ha assunto una nuova importanza strategica, da quando le attività dei pirati hanno iniziato a rappresentare una concreta minaccia per l’economia e la sicurezza di Tanzania, Mozambico, Sud Africa, Seychelles, Comore, Madagascar e Mauritius. Questi Paesi, ad eccezione delle Comore, sono membri della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (Southern African Development Community – SADC), organizzazione che dipende fortemente dai flussi di merci che attraversano il Canale di Mozambico. Proprio per questo la SADC si è progressivamente sempre più impegnata nell’elaborazione e nel rafforzamento di forme di cooperazione in ambito di sicurezza marittima e di contrasto alle attività dei pirati, tra cui l’adozione della SADC Maritime Security Strategy il 9 agosto 2011. Si calcola che a partire dal 2007 sino al gennaio 2012 almeno 6 imbarcazioni registrate presso la SADC siano state attaccate, con un trend in crescita nel 2010 (3 imbarcazioni di Sud Africa, Tanzania e Mozambico sequestrate). Il Maritime Rescue Coordinating Centre (MRCC) di Dar es Salaam, che opera come Information Sharing Centre (ISC) (o centro anti-pirateria) e che copre Mozambico, Madagascar, Comore, Réunion e Sud Africa, ha riportato circa 30 attacchi nel 2010.

Quindi, secondo le stime del Governo tanzaniano, dal febbraio 2011 al febbraio 2012, si sono verificati addirittura 57 attacchi nelle sue acque territoriali, con pesanti ripercussioni soprattutto sul turismo e sull’industria ittica, per un danno economico totale stimato in circa 4 milioni di dollari nel 2012. Occorre, inoltre, ricordare la presenza di numerose compagnie petrolifere ed energetiche straniere impegnate in attività estrattive o esplorative al largo delle coste di Tanzania e Mozambico. In questo contesto, Saidi Shabani Omar, Comandante della Marina della Tanzania, ha evidenziato una diminuzione di circa un terzo del numero delle navi presenti nel porto di Dar es Salaam, a causa del progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza.

Nell’ottica di invertire tale tendenza e garantire un quadro di maggior stabilità, il Sud Africa, con il supporto di Tanzania e Mozambico, ha garantito, dal 2011 sino ad oggi, continui pattugliamenti anti-pirateria nel Canale grazie alla “Operazione Copper”, che copre circa 66mila miglia nautiche quadrate. In quest’ambito, la Marina Sudafricana (South African Navy – SAN) ha alternato, per periodi di sei mesi, quattro fregate, la Amatola, la Mendi, la Spioenkop e la Isandlwana. Attualmente, è impiegata la Drakensberg, con il supporto di un velivolo da ricognizione marittima C-47TP Dakota e di un elicottero Super Lynx, inquadrati nella SAAF (South African Air Force). La nave, sebbene più lenta delle altre fregate, è armata con 4 cannoni da 20 mm e 6 mitragliatori da 12,7 mm ed è in grado di trasportare 2 elicotteri a doppia turbina per trasporto civile, commerciale e militare Atlas Oryx. Inoltre, da sottolineare la presenza a bordo del Maritime Reaction Squadron, forza speciale impegnata nell’ispezione d’imbarcazioni commerciali in alto mare. La Drakensberg era già stata utilizzata in operazioni anti-pirateria nel settembre 2011, allora affiancata dalla fregata Mendi e dal sommergibile Charlotte Maxeke, durante lo svolgimento di esercitazioni navali congiunte con la Marina della Tanzania.

Parallelamente allo sforzo sudafricano, Maputo e Dar es Salaam offrono l’utilizzo di basi logistiche sul territorio e i propri soldati possono essere imbarcati sulle fregate sudafricane per acquisire expertise. Questo alla luce degli evidenti limiti e della mancanza di risorse soprattutto delle Forze Armate di Tanzania e Mozambico, in particolare per quanto concerne le rispettive Marine. Dar es Salaam opera infatti soltanto 7 FACs (Fast Attack Crafts – imbarcazioni veloci) e 12 piccoli natanti per il pattugliamento costiero, mentre Maputo è in grado di condurre solo limitate attività di search and rescue (SAR).

L’esigenza di dare una ferma risposta al fenomeno pirateria ha quindi spinto Sud Africa e Mozambico a sottoscrivere un Memorandum of Understanding (MoU) l’8 novembre 2011. Inoltre, Maputo si è recentemente dotata di un sistema permanente di monitoraggio della pirateria e di attività ittiche illegali, dopo che il Paese, nel dicembre 2010, ha subìto il sequestro della sua prima imbarcazione, la Vega-5, non distante dal porto di Beira, nella parte centrale del Paese. Il MoU, ideato per autorizzare pattugliamenti navali ed aerei congiunti per contrastare i pirati nelle acque territoriali mozambicane e favorire una condivisione di informazioni, è stato successivamente esteso alla Tanzania il 7 febbraio scorso. Tale accordo, che costituisce uno strumento di cooperazione trilaterale per combattere anche il traffico di droga ed altre attività criminali, di fatto accorda ai tre Paesi firmatari il diritto di condurre pattugliamenti, arresti, ispezioni e sequestri nelle acque territoriali di ciascun Stato nei confronti di qualsiasi individuo o imbarcazione sospetti. Inoltre, Pretoria ha recentemente installato dei centri specializzati sulla sorveglianza marittima (Maritime Domain Centres – MDCs) connessi ad altri centri d’intelligence in Angola, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Tanzania, Gibuti e Kenya.

In quest’ambito, Sud Africa e Mozambico hanno adottato, rispettivamente il 15 maggio ed il 12 giugno scorso, il Codice di Condotta di Gibuti relativo alla repressione della pirateria e delle rapine a mano armata contro le navi nell’oceano Indiano occidentale e nel Golfo di Aden. Con tale atto, entrambi i Paesi potranno condividere informazioni con gli Stati firmatari del Codice, attraverso le attività dei tre Information Sharing Centres di San’a (Yemen), Mombasa (Kenya) e, come abbiamo visto, Dar es Salaam (Tanzania), tutti operativi dalla primavera 2011.

Gli sviluppi della cooperazione trilaterale tra Sud Africa, Tanzania e Mozambico sono culminati con il successo di un’operazione congiunta anti-pirateria effettuata il 18 aprile scorso, quando la Drakensberg e alcuni navi della Marina di Maputo e della UE (European Union Naval Force Somalia) hanno catturato dei pirati somali che avevano tentato l’abbordaggio di una imbarcazione filippina nel nord del Canale di Mozambico. Tale episodio potrebbe senza dubbio costituire un punto di partenza in vista di ulteriori passi in avanti nella lotta alla pirateria. Tuttavia, permangono alcuni dubbi sulla sostenibilità a lungo termine di una strategia che vede una netta disparità di forze schierate e risorse messe a disposizione da parte dei tre Paesi, con Pretoria che di fatto gestisce e conduce la quasi totalità delle operazioni. Ipotizzando uno scenario caratterizzato da un’intensificazione della pirateria somala nell’area in questione, Mozambico e Tanzania potrebbero essere chiamati ad un impiego più massiccio di risorse per contrastare efficacemente tale fenomeno, richiesta che tuttavia i due Paesi potrebbero non soddisfare a causa di difficoltà economiche e strutturali evidenti. In questo ambito quindi, potrebbe svolgere un ruolo cruciale l’Operazione EUNAVFOR “Atalanta”, attraverso un’espansione della propria area operativa al Canale di Mozambico e lo svolgimento di attività di coordinamento fra le Forze Armate dei Paesi dell’Africa orientale.

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