La pandemia non ferma la guerra in Libia
Medio Oriente e Nord Africa

La pandemia non ferma la guerra in Libia

Di Emanuele Oddi
24.03.2020

Il 22 marzo scorso, le due principali fazioni coinvolte nella guerra civile libica avevano accolto l’invito delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad attuare una tregua umanitaria a causa della pandemia globale di coronavirus (COVID-19). L’OMS aveva sottolineato a più riprese l’importanza di una cessazione, almeno momentanea, delle ostilità affinché un proprio team, in collaborazione col Centro Nazionale Libico per il controllo delle malattie, potesse effettuare in sicurezza test e analisi per monitorare la diffusione del nuovo coronavirus nel Paese. Difatti, pur non essendo stato registrato ufficialmente alcun focolaio, la propagazione del virus in Libia rappresenterebbe una grave emergenza sanitaria, soprattutto in virtù del conflitto in atto che vede fronteggiarsi, da un lato, l’Esercito Nazionale Libico (ENL) guidato dal Generale Khalifa Haftar che ha base nell’Est del Paese, e, dall’altro, il Governo d’Unità Nazionale (GUN) che ha base a Tripoli ed è guidato dal Presidente Fayez al-Serraj. Da circa un anno Haftar è impegnato in un’offensiva contro la capitale, difesa da un coacervo di milizie precariamente unite nel fronte del GUN.

Tuttavia, nonostante le dichiarazioni d’intenti delle forze in campo, la tregua umanitaria non è mai realmente entrata in vigore e la tensione fra i due fronti è sempre maggiore, come dimostrano gli episodi avvenuti poche ore dopo i comunicati che sembravano sancire una sospensione delle ostilità. Nella serata del 22 marzo sono stati registrati alcuni colpi di mortaio nell’area di Ain Zara, periferia sud di Tripoli, che hanno causato la morte di uomo e il ferimento di due suoi figli e con ogni probabilità sono stati lanciati dall’ENL, attestato ormai a pochi a pochi chilometri dal centro di Tripoli, che negli ultimi mesi non ha esitato a colpire il centro cittadino, densamente popolato, anche con sistemi d’arma poco precisi. Parallelamente, nella stessa giornata, le forze del GUN hanno sequestrato una petroliera al largo delle coste di Misurata, ultima difesa fra Tripoli ed Haftar. La nave cisterna è accusata di aver scaricato nel porto di Bengasi, nell’est del Paese, del carburante per caccia militari destinato all’ENL. In seguito a questi episodi, i due fronti hanno mosso reciproche accuse di violazione della tregua umanitaria, dimostrando, ancora una volta, la fragilità degli accordi tra le parti. Infatti, a ben vedere, l’ostilità tra i due schieramenti era rimasta pressoché invariata anche se il 19 gennaio scorso era stato concordato un cessate il fuoco nell’ambito della Conferenza di Berlino.

Nonostante il processo di Berlino avesse raggiunto l’obiettivo, tutt’altro che scontato, di riunire attorno allo stesso tavolo i differenti attori della guerra libica, il cessate il fuoco è stato infatti ripetutamente violato, riducendo sempre più lo spazio per un’azione diplomatica. A oggi, in virtù della consolidata posizione di forza acquisita negli ultimi mesi, per il fronte di Haftar negoziare una nuova tregua, seppur per un’emergenza sanitaria, non costituisce un’opzione vantaggiosa. Haftar non è stato relegato ai margini della scena internazionale né è stato condannato in alcun modo per l’attacco al governo di Tripoli riconosciuto dall’ONU. Al contrario, dopo un anno di conflitto, benché i risultati sul campo siano magri, il Generale ha ricevuto un definitivo riconoscimento internazionale come interlocutore indispensabile per una soluzione politica alla crisi.

In questo senso, una sospensione momentanea del conflitto potrebbe favorire la ripresa delle trattative diplomatiche, congelando o vanificando in parte lo sforzo bellico sostenuto da Haftar e dai suoi alleati esterni in questi mesi. In più, una sospensione del conflitto potrebbe aumentare la pressione su Haftar affinché coordini con Tripoli le misure di contrasto al coronavirus, un passo distensivo che il Generale non sembra disposto a compiere. Perciò, gli attacchi degli ultimi giorni non solo ignorano la potenziale emergenza sanitaria dovuta al COVID-19, ma s’inseriscono nel solco della progressiva escalation che ha caratterizzato il conflitto libico negli ultimi due mesi, riducendo ulteriormente le possibilità di dialogo.

Inoltre, il fallimento della tregua umanitaria è stato alimentato anche dal supporto fornito a entrambe le fazioni dai rispettivi alleati anche all’indomani della Conferenza di Berlino. Nonostante l’impegno a favorire una soluzione politica e non militare al conflitto, le potenze esterne hanno intensificato i propri sforzi sul campo e l’invio di rifornimenti. Da un lato, il GUN ha beneficiato del sostegno turco, favorito dalla vicinanza politica fra Tripoli ed il Presidente Recep Tayyip Erdogan. Il sostegno al GUN si è concretizzato nell’invio di attrezzature militari e mercenari siriani, il cui compito è di rafforzare le difese dell’asse Tripoli-Misurata. Senza tale supporto, il sistema difensivo del GUN sarebbe probabilmente capitolato dinanzi alla crescente forza militare dell’ENL. Dall’altro lato, infatti, Haftar ha potuto contare sui rifornimenti bellici e sul sostegno finanziario degli Emirati Arabi Uniti (EAU), dell’Egitto e della Giordania. L’esempio più recente di questo supporto è senza dubbio il “ponte aereo” allestito tra questi due Paesi e la Cirenaica nella seconda metà di gennaio, contemporaneamente agli sforzi diplomatici di Berlino. Se fino a gennaio le risorse emiratine erano state cruciali per sostenere un’offensiva così prolungata nel tempo, i circa 100 voli verso i territori controllati da Haftar potrebbero essere sintomo della volontà del Generale della Cirenaica e dei suoi alleati di avviare un’azione militare più incisiva, per penetrare definitivamente nel cuore della capitale.

Un ulteriore fattore che potrebbe aver spinto l’ENL a non concedere la tregua umanitaria è l’emergere, nelle ultime settimane, di profonde tensioni nel fronte del GUN tra il Ministro dell’Interno Fathi Bashaga e diverse milizie impegnate nella difesa della capitale. La fragilità militare e politica del GUN è data da più elementi, che contribuiscono ad accrescere la frammentarietà del fronte anti-Haftar. Un primo elemento è la compresenza di numerose milizie locali, che pur essendo riunite nelle Forze di Protezione di Tripoli, perseguono interessi spesso contrastanti. Un secondo e più importante profilo di vulnerabilità è la convivenza tutt’altro che pacifica tra i due attori principali dell’ovest del Paese: Tripoli e Misurata. Le tensioni fra le milizie tripoline e alcune realtà politico-militari di Misurata sembrano aver raggiunto il loro picco in seguito ai mandati d’arresto emessi il 23 febbraio dal Ministero dell’Interno contro la milizia Nawasi, uno dei principali gruppi armati a difesa di Tripoli, accusata di aver intrattenuto contatti con l’intelligence emiratina.

Al di là dell’aspetto puramente legale, queste accuse hanno acuito ancor di più le tensioni interne tra i due fronti, facendo emergere la volontà di Bashaga di posizionarsi come attore di primo piano anche in un futuro assetto riunificato della Libia, in cui Haftar e le forze della Cirenaica svolgano un ruolo. L’attivismo di Bashaga va letto su questo sfondo. Infatti, le recenti tensioni con le milizie tripoline possono essere lette come un messaggio distensivo lanciato ai rivali dell’Est, i quali hanno sempre indicato nell’opposizione alle milizie la ragione principale dell’offensiva sulla capitale. A corollario di questa mossa, Bashaga si è speso in un tour delle principali capitali occidentali. In particolare, il Ministro del GUN avrebbe iniziato a ricucire i rapporti con la Francia (accusata spesso in passato di fornire copertura politica ad Haftar) siglando il 17 marzo un accordo per l’acquisto di un numero non precisato di elicotteri prodotti da Airbus. In più, nelle ultime settimane, complice anche la “distrazione” imposta dal coronavirus alle agende europee e americana, Bashaga ha cercato di mantenere alto l’interesse occidentale per la Libia, ad esempio offrendo la sua disponibilità affinché gli Stati Uniti stabiliscano una base militare in Libia in funzione anti russa e compiendo una visita in Gran Bretagna. In conclusione, dunque, l’obiettivo di Bashaga sembra essere quello di proporre un’alternativa concreta allo strapotere delle milizie a Tripoli, che non consista in una conquista militare della capitale da parte di Haftar.

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