La nuova Tunisia di Kais Saied e il rischio di una dittatura costituzionale
Medio Oriente e Nord Africa

La nuova Tunisia di Kais Saied e il rischio di una dittatura costituzionale

Di Claudia Annovi
15.09.2021

A distanza ormai di più di un mese da quel 25 luglio che ha cambiato le sorti recenti della Tunisia, il Presidente della Repubblica Kais Saied ha deciso, come molti avevano predetto, di mantenere il controllo diretto della peggior crisi che il Paese nordafricano abbia vissuto da dieci anni a questa parte. Nella notte tra il 23 e il 24 agosto Saied ha dichiarato con un post su Facebook il prolungamento fino a nuovo ordine della sospensione delle attività parlamentari e delle “misure straordinarie” fino ad ora in vigore. Forte poi del largo sostegno popolare che continua ad avere, l’11 settembre ha annunciato l’imminente formazione di un nuovo governo e la revisione della Costituzione del 2014. Dopo un bagno di folla in Avenue Bourguiba dal forte impatto mediatico e politico, il Presidente ha infatti confermato in diretta tv che le esplorazioni per formare un governo di personalità “integre” sono in corso e che la Costituzione, da lui tanto ritualmente invocata nel corso degli ultimi due anni, sarà al centro di un processo di revisione e modifica.

Il timore diffuso, non solo tra i detrattori di Saied, riguarda innanzitutto le ampie prerogative che il Capo di Stato si è attribuito nel corso dell’ultimo mese e che probabilmente verranno rafforzate nel processo di revisione costituzionale. L’estensione a tempo indeterminato di queste misure straordinarie conferisce al Presidente autorità in ambito legislativo, giudiziario ed esecutivo, violando de facto quei principi che tutelano la separazione dei poteri costituzionalmente definiti. Allo stesso tempo, la decisione di creare un governo tecnico che rispecchi le volontà del palazzo di Cartagine in un momento in cui il Parlamento è formalmente sospeso – e, con esso, la possibilità di mettere il veto sulle manovre presidenziali – contribuisce a escludere sempre di più una riattivazione dei diversi organi istituzionali preesistenti, lasciando ipotizzare che il progetto di Kais Saied stia diventando sempre più una realtà politica. Obiettivo finale è quello di smantellare le istituzioni di una democrazia rappresentativa ormai inefficiente, corrotta e sfiduciata per creare una democrazia diretta in cui, nelle parole di Saied, la sovranità è riaffidata al popolo. Le recenti manovre seguono questa traiettoria, motivo per cui sorge sempre più il dubbio che quella che viene formalmente definita dalla Presidenza della Repubblica come gestione di una fase di crisi organica vada sempre più in direzione di un intervento per eliminare il ruolo istituzionale del Parlamento.

L’annuncio di un’imminente modifica della Costituzione, d’altra parte, si inserirebbe perfettamente nel quadro più ampio di presidenzializzazione della politica già messo in atto dal costituzionalista al potere. Sino ad ora Saied ha mostrato un’attenzione particolare per i dettami costituzionali, operando sempre dentro i confini (o al limite di essi) dettati dalla carta fondamentale. La stessa manovra del 25 luglio è tutt’ora ampliamente dibattuta dal punto di vista giuridico, poiché, sia alla luce del tanto discusso articolo 80 che della Carta Africana sulla Democrazia, Elezioni e Governabilità (ACDEG), è difficile affermare in maniera definitiva che si tratti di un golpe. Alla luce di queste premesse, intervenire più o meno radicalmente su taluni articoli della Costituzione permetterebbe al Presidente di ampliare il proprio spazio di manovra in due direzioni. Da una parte, una modifica sull’articolo 80 in un momento in cui mancano i due dispositivi che avrebbero il potere di correggere o sanzionare l’iniziativa presidenziale (ossia, il Parlamento e la Corte Costituzionale) gli consentirebbe di creare tutti i presupposti legali per legittimare le proprie azioni e mettere a tacere i propri detrattori. Dall’altra, una revisione degli articoli afferenti alla definizione dei ruoli all’interno delle istituzioni gli permetterebbe di esautorare definitivamente il Parlamento e ridefinire le gerarchie di potere in modo tale da costruire una democrazia diretta. Se questo dovesse accadere, esisterebbero i presupposti per una trasformazione radicale del sistema politico tunisino e il passo verso una dittatura costituzionale sarebbe più rapido e veloce.

Al di là, tuttavia, dal dibattito politico e giuridico riguardo alle iniziative presidenziali degli ultimi due mesi, la Tunisia si trova oggi a dover fare i conti con una rinnovata centralità dell’Esercito, una variabile sicuramente inedita nella storia politica tunisina. Rispetto infatti ad altri Paesi della regione in cui la connivenza tra Forze Armate e Stato sembra essere un fil rouge che ne connette i destini e le traiettorie, la Tunisia è riuscita sempre a mantenere una netta divisione, non lasciando mai che l’ambiente militare potesse intervenire nella politica nel timore che si potesse ripetere uno scenario come quello dell’Egitto di Nasser. L’imparzialità dell’Esercito ha d’altronde assicurato il buon esito della rivoluzione del 2011, motivo per cui è stata ripresa nella nuova Costituzione stilata nel 2014 e rappresenta ancora oggi uno dei punti forti della democrazia tunisina. Con l’appoggio attivo fornito dall’esercito il 25 luglio all’iniziativa di Saied – ci sono stati presidi sia all’entrata del Parlamento sia agli uffici di Mechichi e di altri Ministri – e, soprattutto, con i continui arresti di politici o manifestanti da allora, l’equilibrio tra Esercito e politica si è sgretolato, aprendo una nuova e pericolosa fase di dialogo tra il Presidente e gli ambienti militari. L’assertività con cui Saied aveva ribadito, lo scorso aprile, di essere il capo supremo delle forze armate aveva d’altronde già suscitato il timore che l’inquilino di Cartagine potesse ricorrere all’Esercito nel conflitto con Mechichi e Ghannouchi (rispettivamente ultimi bastioni del Governo e del Parlamento). Oggi, i crescenti processi a civili, soprattutto a ex-parlamentari, da parte di tribunali militari spinge a credere che questa prospettiva si stia progressivamente concretizzando. Se questo sodalizio dovesse continuare e le manovre di Saied andassero sempre più in direzione di un accentramento del potere con il sostegno dei militari, il rischio concreto è che si crei una sinergia Stato-Esercito ai vertici particolarmente difficile da neutralizzare.

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