La Guinea Equatoriale e la difficile gestione degli introiti petroliferi
Africa

La Guinea Equatoriale e la difficile gestione degli introiti petroliferi

Di Giuseppe Matarazzo
16.10.2012

La Guinea Equatoriale, tra i più piccoli Stati del continente africano, è uno dei molti Paesi le cui difficoltà politiche e sociali non sono state affrontate in modo adeguato dalla Comunità Internazionale, al momento preoccupata dagli sviluppi delle crisi contigue nella regione. La Guinea, ex colonia spagnola, all’indomani dell’indipendenza ha conosciuto l’instaurazione del regime dittatoriale di Francisco Macias Guema. Dopo il colpo di Stato “familiare”, ad opera di Obiang, nipote di Guema, il Paese ha tentato di avviare un intermittente programma di riforme democratiche. Tuttavia, il sistema politico è ora caratterizzato dalla costante limitazione delle libertà civili e politiche nonché dalla violazione dei diritti umani. Inoltre, le istituzioni sono vessate dalla corruzione e dall’inefficienza ed a livello sociale continua ad esistere una forte sperequazione tra le diverse classi.

Uno degli spartiacque nella storia della Guinea Equatoriale è stato la scoperta di giacimenti petroliferi che, nella seconda metà degli anni ’90, ha inciso sui già precari equilibri politici ed economici del Paese. Nel 2010 il PIL pro capite guineano è cresciuto con maggiore rapidità rispetto al resto del mondo ed ancora oggi la Guinea risulta essere una delle realtà più ricche dell’intero Continente Africano. Il Presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, rieletto nel 2009 ed al potere da oltre 30 anni, ha cercato di riabilitare la propria immagine nei confronti della comunità internazionale, nonostante i proventi petroliferi arricchiscono quasi esclusivamente l’élite “pretoriana” mentre la maggior parte della popolazione versa in situazione di estrema povertà. Obiang si è impegnato pubblicamente con solenni proclami a rispettare i diritti umani, la libertà di stampa ed ad assicurare trasparenza e responsabilità nei confronti delle compagnie petrolifere. Ciononostante, il suo governo ha respinto ripetutamente tutte le sollecitazioni volte ad abolire l’istituto della pena di morte e la ratifica dello Statuto della Corte Penale Internazionale, questo mentre decine di oppositori politici continuano ad essere arrestati arbitrariamente.

In un Paese dove le confessioni estorte attraverso la tortura si trasformano spesso in condanne a morte, le libertà di stampa e di opinione sono ampiamente violate ed ai giornalisti stranieri viene negato il visto d’ingresso. Sino ad ora, la Comunità Internazionale non è stata in grado di incentivare adeguatamente il processo di riforme. Un atteggiamento, quest’ultimo, legato agli interessi strategici che ruotano intorno alle materie prime ed in particolare al petrolio, i cui dati sui proventi sono protetti dal “segreto di Stato” per decisione del presidente Obiang. Infatti, la Guinea Equatoriale è tra i maggiori fornitori d’idrocarburi di Cina e Stati Uniti. Infatti, la presenza statunitense in quello che viene soprannominato il “Kuwait africano” ha nella ExxonMobil la principale testa di ponte, con circa i 23 delle concessioni nazionali, un regime fiscale facilitato ed il pagamento di royalties molto basse. Inoltre, altri attori del business americano in Guinea sono: l’Amerada Hess, la Marathon Oil, Noble Energy e Vasco Energy.

La penetrazione commerciale delle grandi multinazionali è stata ulteriormente favorita dall’adesione del Paese all’area del Franco CFA che, garantendo una certa stabilità monetaria, ha di fatto creato condizioni propizie per gli investimenti esteri. Tuttavia, occorre considerare l’impatto sociale ed ambientale dell’industria petrolifera. L’inquinamento delle falde acquifere, gli espropri forzati e le tensioni inter-claniche a seguito dei forti squilibri socio-economici sono i principali fattori che contribuiscono all’instabilità della Guinea. In particolare la storica rivalità tra le due principali etnie del Paese, i Fang, a cui appartiene il presidente Obiang, ed i Bubi, sua storica rivale che dopo il fallito colpo di Stato del 1998 è sottoposta a continue vessazioni. I Bubi rivendicano da anni l’indipendenza dell’isola di Bioko, propria terra di origine e principale bacino estrattivo del Paese. Inoltre, negli ultimi anni la Guinea, come molti altri Paesi africani, è stata interessata da cospicui investimenti cinesi, soprattutto nell’edilizia, che rischiano di spazzare via la concorrenza europea nel settore, costituita da compagnie francesi, belghe e portoghesi.

La gestione degli introiti petroliferi avviene attraverso due principali società: la GEPetrol (Guinea Equatorial Petrôleos) e la Sonagas (Sociedad Nacional de Gas). Anche i settori delle telecomunicazioni e dell’elettricità sono nelle mani dello Stato che, nonostante l’avvio di un modesto processo di liberalizzazione economica nel Paese, rappresenta l’esclusivo interlocutore con le multinazionali e le grandi aziende internazionali.

Senza un reale e duraturo processo di liberalizzazione e di riforma del sistema di welfare, la Guinea Equatoriale rischia di precipitare in una nuova fase di stallo politico e sociale. Alla Comunità Internazione spetta l’arduo compito di favorire il dialogo inter-etnico e di favorire la ricerca di un nuovo equilibrio tra gli interessi strategico-commerciali e l’implementazione dei diritti umani. Senza una maggiore democratizzazione del sistema politico si corre il rischio, come in molti altri scenari africani, di una radicale polarizzazione della scena politica e dei gruppi etnici che potrebbe degenerare nel momento in cui il controllo dello Stato e dell’apparato di sicurezza venga meno.

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