La diversificazione economica ed energetica nel Golfo: la versione dell’Oman
Medio Oriente e Nord Africa

La diversificazione economica ed energetica nel Golfo: la versione dell’Oman

Di Lavinia Pretto
10.11.2021

I Paesi del Golfo, le cui economie per anni si sono basate sulla massimizzazione delle entrate legate agli idrocarburi, stanno iniziando a realizzare importanti investimenti nell’ambito delle rinnovabili. Le motivazioni che li spingono verso una diversificazione energetica risiedono nei mutamenti strutturali delle società della regione, nelle sempre maggiori fluttuazioni del prezzo dell’energia e nei rischi derivanti dal cambiamento climatico. La repentina crescita economica accompagnata dall’aumento della popolazione e da una forte urbanizzazione ha fatto in modo che gli Stati del Golfo divenissero non solo produttori di petrolio e gas, ma anche grandi consumatori di energia. Lo sviluppo demografico ha portato poi ad un incremento inevitabile della domanda di elettricità che sta mettendo sotto pressione il sistema produttivo regionale, non più in grado di assorbire le richieste della stessa popolazione. Inoltre, la pandemia e la crisi dei prezzi del greggio hanno sottolineato come le economie del Golfo siano particolarmente vulnerabili alle oscillazioni del mercato energetico. Infatti, gas e idrocarburi rappresentano il 65% delle esportazioni totali e almeno il 50% delle entrate statali della maggior parte dei Paesi della regione. L’area è diventata anche più sensibile agli impatti del cambiamento climatico, in quanto vulnerabile a fenomeni di desertificazione, perdita di biodiversità, inquinamento marino e atmosferico, e diminuzione dei livelli dell’acqua. A fronte di ciò, gli Stati della regione vorrebbero incentivare gli investimenti nelle rinnovabili nel tentativo di rispondere in maniera più efficace e adeguate alle molteplici problematiche sopracitate.

L’Oman è tra i Paesi del Golfo che ha maggiormente compreso i vantaggi derivanti dagli investimenti in progetti ed infrastrutture green. Per poterli effettivamente realizzare però, necessita di solide riforme di natura sia economica sia energetica. Il Sultanato infatti si basa principalmente sui combustibili fossili, generando fino all’85% del suo PIL da petrolio e gas. Tuttavia, le sue riserve stanno diminuendo e diventando più costose in termini estrattivi. Inoltre, la crescita della popolazione e l’espansione dell’industria pesante in città come Duqm, Sohar e Salalah hanno creato non poche difficoltà alle infrastrutture elettriche e alle riserve del Sultanato. A conferma di ciò, tra il 2009 e il 2010 il Paese aveva sperimentato gravi interruzioni di corrente, mostrando le problematiche legate ad un’insufficiente capacità di produzione elettrica. Di fronte a questo scenario, nel dicembre 2020 Mascate ha pubblicato la strategia “Oman 2040”, un progetto volto a ridurre la dipendenza dell’economia nazionale dai combustibili fossili al fine di aumentare gli investimenti nelle rinnovabili, guidandone la pianificazione per le prossime due decadi. La strategia punta a rafforzare la produzione e l’uso per fini domestici di energia derivante da fonti rinnovabili per ridurre i costi e migliorare la competitività in diversi settori. I nuovi progetti infrastrutturali dovranno quindi essere orientati verso “un’economia verde” al fine di promuovere una sostenibilità ambientale e ridurre i vincoli derivanti dalla dipendenza dagli idrocarburi. Saranno necessarie riforme strutturali in particolare per il settore idrico, attraverso l’utilizzo di moderne tecnologie per trattare le acque reflue, diversificare la produzione agricola e migliorare la sicurezza alimentare. L’obiettivo del Sultanato è quello di allineare la crescita economica con gli standard ambientali, costruendo capacità tecniche per differenziare le fonti di reddito del Paese e migliorare la sua resilienza energetica. A tal fine, un obiettivo del governo è quello di posizionarsi tra i primi 20 Paesi nell’Environmental Performance Index (attualmente è classificato 110 su 180) – indice sviluppato dalle Università di Yale e dalla Columbia in collaborazione con il Forum Economico Mondiale e il Centro comune di ricerca della Commissione Europea – che valuta gli Stati in base alle loro prestazioni ambientali.

Interessante è anche la collaborazione intrapresa da Mascate con una multinazionale dell’energia come l’anglo-olandese Shell, con la quale sta portando avanti una serie di progetti sulle rinnovabili. A gennaio 2021, Shell aveva lanciato a Sohar, città nel nord del Paese, l’impianto solare Qabas, primo progetto green della compagnia nella regione mediorientale. Walid Hadi, Vice Presidente e Responsabile di Shell Oman, ha detto di voler puntare sulla fornitura di energia pulita per uso domestico e industriale, andando a ridurre l’impronta di carbonio coerentemente con l’impegno assunto tramite la sottoscrizione degli Accordo di Parigi del 2016. Alcuni impianti sono già in funzione, come per esempio la centrale eolica di Dhofar da 125 milioni di dollari, o l’impianto fotovoltaico che conferisce energia alla compagnia statale Petroleum Development Oman. In collaborazione con il Sultanato, la multinazionale ha poi annunciato una nuova versione di Shell Intilaaqah, che mira a migliorare le capacità di imprenditori e di piccole e medie imprese nei settori della sostenibilità. Negli ultimi anni, le compagnie petrolifere quotate in borsa hanno avuto crescenti pressioni affinché rispettassero gli standard ambientali e i corporate governance decisi nei fora internazionali, favorendo il passaggio dal carbonio all’energia pulita. Una scelta fortemente sostenuta anche da Mascate, che tra i suoi obiettivi di sviluppo territoriale, economico e sociale ha posto nel green un target importante da incrementare in tempi brevi per garantire forniture e sostenibilità energetica (e quindi economico-politica) di medio-lungo periodo.

A supportare l’agenda energetica del Sultanato non c’è però solo la Shell. L’Amana Waqf Funds Management Company, fondazione che si occupa di finanza islamica, in collaborazione con l’Autorità per la Regolamentazione dei Servizi Pubblici, le aziende energetiche e le istituzioni finanziarie musulmane, ha promosso il progetto della “Moschea Verde”. Il programma fornisce servizi energetici per gli edifici religiosi convertendo il consumo di elettricità attraverso fonti di energia rinnovabili, riducendo quindi i costi di gestione. Dopo l’iniziale fase di sperimentazione avviata nel novembre del 2020, il progetto verrà esteso a 100 moschee sulle quali verranno installati pannelli solari. Anche la banca internazionale d’affari HSBC si è inserita nell’agenda energetica dell’Oman, offrendo dei prestiti green ai cittadini del Sultanato attraverso uno sconto sul tasso di interesse, applicato esclusivamente per l’acquisto di pannelli solari per le abitazioni e le relative spese di installazione. I prezzi competitivi porterebbero i clienti ad accedere ai finanziamenti verdi più facilmente, sbloccando soluzioni climatiche sostenibili per tutti. HSBC vorrebbe costituirsi come colonna portante della transazione energetica, impegnandosi nel fornire tra i 750 miliardi e i mille miliardi di dollari in finanziamenti e investimenti verdi entro il 2030. A gennaio di quest’anno, inoltre, HSBC ha formato un team dedicato alla finanza sostenibile per aiutare le istituzioni, le aziende e gli individui a passare alle fonti rinnovabili. L’impegno dell’Oman nel combattimento al cambiamento climatico è stato infine evidenziato anche durante un incontro virtuale organizzato dall’Autorità nazionale per l’ambiente e il Petroleum Development Oman in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), nel quale le parti hanno discusso la tabella di marcia del Sultanato verso una transizione energetica green, la diversificazione delle risorse economiche e il miglioramento delle legislazioni e dei sistemi di incentivi. Inoltre, durante la COP26 di Glasgow, un team di scienziati ed ingegneri ha individuato nell’Oman uno Stato cardine per la riduzione dell’anidride carbonica. Difatti, è stata sviluppata una tecnologia in grado di catturare la CO2 per poi iniettarla ed immagazzinarla all’interno delle riserve di rocce peridotite, che sono ampiamente presenti nel Sultanato. Da un calcolo approssimativo, sembrerebbe che il Paese abbia abbastanza riserve per mineralizzare fino a 50 trilioni di tonnellate di CO2 – quasi ogni singola emissione dell’umanità dalla rivoluzione industriale. Il progetto però vede numerose criticità, in modo particolare a causa della possibilità di “vendere” lo spazio di stoccaggio nella roccia ad altri Paesi o aziende, determinando credito di carbonio e possibili politiche di green-washing.

La spinta di Mascate ad investire nell’energia pulita e progettare un piano ambizioso come “Oman 2040” risiede nei suoi forti deficit fiscali, accompagnati da un’eccessiva dipendenza da finanziamenti esterni e da una forte vulnerabilità all’oscillazione prezzi degli idrocarburi. La realizzazione di infrastrutture green dipenderà però dalla capacità del Sultanato di rinegoziare il contratto sociale con i propri cittadini. Essendo un rentier state, l’Oman trae una porzione sostanziale del suo reddito nazionale dalla vendita di risorse presenti nel territorio a clienti esterni. Grazie ai proventi derivanti dall’export petrolifero, i cittadini non sono sottoposti a regime fiscale, rinunciando al contempo ad una partecipazione attiva nella politica del Paese. Ad oggi però in Oman le sole rendite provenienti dalla vendita di greggio e metano non sono più sufficienti per l’erario statale, sia perché le risorse in questione stanno scarseggiando, sia perché i progetti green hanno dei costi iniziali di attivazione particolarmente elevati. Di fronte a queste problematiche, il Sultanato dovrebbe ridurre i sussidi ed introdurre tassazioni, concedendo in cambio un certo grado di liberalizzazione politica. Per questa ragione Mascate, all’inizio di quest’anno, aveva introdotto la prima imposta sul valore aggiunto (IVA) del Paese, proprio come parte di una serie di riforme volte a garantire la sostenibilità finanziaria. Tuttavia, l’IVA non era stata accompagnata dalla transizione verso un sistema politico meno vincolato e con una maggiore partecipazione popolare. La mossa del governo ha portato conseguentemente a diverse proteste, dove i manifestanti hanno non solo criticato l’apposizione della tassazione, ma anche richiesto la creazione di nuove opportunità di lavoro, un miglioramento delle condizioni di vita e riforme politiche. Nonostante Mascate negli ultimi 10 anni abbia realizzato alcuni cambiamenti in questo senso, per esempio introducendo le elezioni per il Majlis al-Shura (Consiglio consultivo) e il Majlis al-Baladiya (Consiglio comunale), non ha mai realmente variato il proprio assetto istituzionale. I partecipanti ai cortei, la maggior parte dei quali giovani e donne, hanno evidenziato il profondo malessere nella società omanita, derivato dalle radicate difficoltà economiche e dal desiderio di riforme politiche e sociali. Il governo dovrà quindi comprendere come muoversi tra le contestazioni popolari e gli ambiziosi progetti energetici che desidera implementare. La diversificazione economica richiede infatti del tempo per generare ricchezza e benessere collettivo, proprio perché inizialmente accompagnata dalla riduzione della spesa pubblica e dall’apposizione di tassazioni. Per attenuare lo scontento popolare, il Sultanato dovrà portare avanti contemporaneamente progetti infrastrutturali green insieme a piani volti alla creazione di posti di lavoro nel settore pubblico incrementando l’impiego degli omaniti rispetto agli stranieri.

Pertanto, l’impegno di Mascate nella transizione energetica rispecchia in un certo senso un trend comune emerso anche nel resto della Penisola arabica. Di fronte ad un consumo energetico medio che cresce di quasi l’8% all’anno nella regione, gli Stati del Golfo necessitano di fonti aggiuntive per soddisfare la domanda interna, e il settore delle rinnovabili offre una soluzione finanziariamente fattibile. L’Arabia Saudita, ad esempio, il maggiore produttore petrolifero al mondo, si è impegnato a raggiungere le zero emissioni di carbonio entro il 2060, diventando il primo Paese del Golfo a lanciare un’iniziativa così ambiziosa per contrastare il cambiamento climatico. Parimenti, lo Sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, Vice Presidente e Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti, ed Emiro di Dubai, ha dichiarato di voler cementificare la già importante leadership regionale emiratina sulle rinnovabili avendo come obiettivo quello di aumentare la competitività economica del Paese. Abu Dhabi e Dubai stanno sviluppando, inoltre, progetti su larga scala a prezzi da record, come quello annunciato nell’aprile del 2020 dalla capitale emiratina per la costruzione della più grande centrale di energia solare al mondo nella regione di al-Dhafra. Abu Dhabi ospita già un impianto di grandi dimensioni, il Noor Abu Dhabi da 1,2 GW, costituendosi tra i pochi Paesi al mondo a costruire un’installazione solare fotovoltaica più grande di 1GW. Una volta operativo, questo impianto solare produrrà abbastanza energia per circa 160.000 famiglie, riducendo le emissioni di anidride carbonica dell’emirato di più di 1,6 milioni di tonnellate all’anno. Anche il Qatar sta spingendo sull’acceleratore, prevedendo di sviluppare una centrale solare da 800 MW vicino alla capitale Doha. La Siraj Energy Qatar si sta inoltre impegnando nella realizzazione di impianti ad energia solare, detenendo già una quota del 60% nelle centrali fotovoltaiche di al-Kharsaah.

Nonostante l’Oman abbia promosso un piano d’azione meno ambizioso rispetto ad altri Paesi del Golfo, si sta impegnando nel finanziamento di numerosi progetti volti a facilitare la transizione verso le rinnovabili. La diversificazione energetica e la tutela dell’ecosistema sono emerse tra le maggiori priorità del Sultanato, al fine di stimolare la produzione e migliorare la competitività di diversi settori economici. Mascate possiede grandi potenzialità in questo ambito, potendo beneficiare non solo di centrali solari fotovoltaiche, ma anche di risorse eoliche e tecnologie come la biomassa e l’energia geotermica (anche se sono ancora poco esplorate). Questo tipo di investimenti aiuterebbe anche a creare nuove opportunità lavorative e sanare le sue numerose difficoltà economiche. Infatti, obiettivi a lungo termine nel settore incrementerebbero i posti di lavoro fino a 207.000 unità entro il 2030. Per riuscire nel suo intento dovrà però tutelare la propria popolazione nel breve periodo, creando dei meccanismi assistenziali volti ad attutire l’iniziale fase di contrazione economica e aprendosi al contempo ad una maggiore liberalizzazione politica.

Investire sulle rinnovabili aiuterebbe non solo l’Oman, ma tutti i Paesi della regione, a soddisfare la propria domanda interna, oltre a liberarli dal giogo dell’esportazione di petrolio e gas. In più, le problematiche legate alla scarsità di acqua diminuirebbero, proprio perché l’energia solare ed eolica ne richiedono pochissima rispetto ai combustibili fossili. Il passaggio a fonti di energia green eliminerebbe quindi gran parte dello spreco di acqua dolce e consentirebbe di conservarne miliardi di metri cubi da utilizzare per la produzione di cibo e per il consumo domestico. Bisogna comunque sottolineare il fatto che i combustibili fossili continueranno ancora a rappresentare una risorsa importante per i Paesi del Golfo nel prossimo decennio. Tuttavia, la loro dipendenza diminuirà con il progredire di progetti legati alle rinnovabili, portando conseguentemente ad un miglioramento delle capacità delle economie della regione oltre che a diminuire i rischi derivanti dal cambiamento climatico.

Articoli simili