La destabilizzazione del Sinai
Medio Oriente e Nord Africa

La destabilizzazione del Sinai

Di Staff Ce.S.I.
26.09.2013

Il Sinai, regione di importanza strategica non solo perché al confine tra Israele ed Egitto, ma anche per il controllo dello Stretto di Suez, negli ultimi 2 anni è divenuto il luogo ideale per le attività di trafficanti, cellule jihadiste e beduini.

Una situazione figlia dell’inevitabile riassestamento istituzionale dell’Egitto post-Mubarak, che ha portato la Polizia di Frontiera, preposta al controllo della sicurezza nella Penisola, a subire una profonda ristrutturazione che ne ha causato l’azzeramento dei vertici e inevitabili difficoltà organizzative. Per alcuni mesi gli agenti non hanno ricevuto gli stipendi e hanno dato vita a manifestazioni e scioperi, accusando le istituzioni di averli abbandonati al proprio destino in un’area altamente critica come quella del Sinai. Inoltre, anche la Forza di Sicurezza Centrale, corpo paramilitare anti-sommossa preposto al controllo della folla, alle operazioni di pronto intervento e alla sicurezza di siti governativi, dispiegata in Sinai a supporto della Polizia di Frontiera, ha subito cambiamenti organizzativi che ne hanno sensibilmente ridotto le capacità, rendendo gli operativi dispiegati in Sinai facili bersagli degli attacchi dei miliziani. Un altro elemento che ha portato alla destabilizzazione della Penisola è stato la rottura dell’equilibrio che si era venuto a creare tra le autorità del Cairo e le realtà beduine che abitano il Sinai. I beduini di questa regione sono organizzati in tribù, le maggiori delle quali sono la Sawarka e la Tarabin nel nord e la Muszeina a sud, che rispettano le tradizioni e le consuetudini tribali più che le leggi dello stato. Tenuta ai margini della società egiziana soprattutto durante gli anni del regime di Mubarak, che le ha vietato di accedere alle cariche pubbliche, di trovare lavoro negli uffici amministrativi e istituzionali e nelle Forze Armate, la stragrande maggioranza dei beduini è stata tagliata fuori anche dallo sviluppo economico dovuto al turismo nel sud del Sinai. Questa situazione ha causato la crescita esponenziale del malcontento e la nascita di un conflitto a bassa intensità con il Governo del Cairo. Le ristrettezze economiche, di fatto, hanno attirato i beduini verso i traffici, per la maggior parte illegali, che da sempre hanno attraversato la Penisola come rotta per unire il Mar Rosso e la regione dell’Alto Nilo al Mediterraneo. Sulla base degli Accordi di Camp David del 1978, inoltre, l’Egitto ha ritirato il proprio Esercito e demandato il controllo della regione alla Polizia di Frontiera e alla missione di osservazione delle Nazioni Unite, Multinational Force & Observers (MFO): ciò ha aperto nel Sinai un vasto fronte d’insicurezza, dovuto anche alle caratteristiche di un territorio che rende difficile il controllo da parte delle forze dell’ordine. Ne è nata un’unità d’intenti tra tribù beduine e quei gruppi salafiti che, storicamente, hanno in Egitto la propria culla ideologica e che nella regione del Sinai hanno trovato rifugio dalla repressione del regime di Mubarak.
Questi movimenti jihadisti - al-Gamaa al-Islamiyya, Jamaat al-Tawhid wal-Jihad, Brigate Abdullah Azzam - hanno più volte colpito nella prima metà degli anni duemila alcuni centri turistici del Sinai sfruttando l’assistenza logistica ed operativa di alcune realtà tribali. Solo grazie all’azione negoziale di Mubarak che, garantendo sostegno economico ad importanti leader tribali, era riuscito a calmierare le rivendicazioni beduine, l’intesa tra beduini e gruppi salafiti era venuta meno, comportando una sostanziale stabilizzazione della situazione nella Penisola. Con lo scoppio della cosiddetta Primavera Araba, la caduta di Mubarak e lo spostamento delle attenzioni delle forze di sicurezza verso i grandi centri urbani, lo spazio d’azione dei gruppi salafiti in Sinai, ora legati anche alle realtà presenti nella Striscia di Gaza, è cresciuto parallelamente al nuovo malcontento dei beduini, colpiti anch’essi dalla crisi economica che ha paralizzato il Paese e non più legati agli accordi stipulati con il vecchio Presidente. Inoltre, con la caduta di Mubarak, il salafismo ha trovato ulteriore linfa, alimentato anche dalla fuga dalle carceri egiziane, nei giorni della fine del regime, di numerosi esponenti di spicco di questi movimenti. Il Sinai è così tornato ad essere il territorio ideale dove trovare rifugio per i miliziani estremisti salafiti, che qui hanno cominciato ad assestare nuovi colpi contro le istituzioni centrali. Infatti, negli ultimi 2 anni sono stati sempre di più gli attacchi sia contro le postazioni della Polizia di Frontiera e delle Forze di Sicurezza Centrale, sia contro il contingente internazionale del MFO. Lo scarso controllo del Sinai da parte delle autorità del Cairo ha reso, poi, questo territorio un retroterra logistico ideale per i gruppi che operano a Gaza, che hanno trovato nella Penisola un importante retroterra logistico.
Inoltre, le realtà salafite hanno cominciato ad attirare miliziani non solo dall’Egitto, ma anche da Paesi come Tunisia, Libia, Giordania e Yemen, che nel Sinai hanno la possibilità di compiere attacchi contro Israele, uno dei nemici principali del jihadismo internazionale. Un esempio efficace è fornito dal gruppo Consiglio della Shura dei Mujahideen nella regione di Gerusalemme (CSMG), movimento nato a cavallo tra la Striscia di Gaza e il Sinai, costituito da elementi sia egiziani sia palestinesi, che negli ultimi mesi ha rivendicato numerose azioni nella regione. Tra le principali ricordiamo l’operazione compiuta nell’agosto 2012, quando alcuni suoi miliziani, dopo aver attaccato il punto di controllo delle Forze egiziane presso il valico di Rafah, uccidendo 16 soldati e ferendone altri 7, hanno preso il controllo di 2 veicoli blindati BMP egiziani e si sono diretti verso il confine con Israele. All’altezza del valico di Kerem Shalom, uno dei 2 mezzi è esploso per cause non meglio accertate, mentre il secondo veicolo, dopo essere entrato in territorio israeliano, è stato distrutto dall’Aeronautica Israeliana. Ma ultimamente, in alcune moschee della Penisola sono cominciati a girare anche dei volantini che portano la firma di Al Qaeda nella Penisola del Sinai, gruppo che presumibilmente potrebbe essere nato già verso la fine del 2011 e che sarebbe guidato da Ramzi Mowafi, in
passato uno dei medici personali di Bin Laden. Per Israele, questa situazione è sicuramente fonte di preoccupazione, anche perché questi gruppi, oltre a rappresentare una minaccia diretta per la propria sicurezza, hanno forti legami con le realtà jihadiste attive nella stessa Striscia di Gaza. A questo proposito, il Governo israeliano non solo ha dato il via ai lavori per la costruzione di una barriera difensiva lungo tutto il confine con il Sinai, ma ha concesso di recente la propria approvazione allo schieramento di un contingente dell’Esercito Egiziano nella Penisola, per la prima volta dal 1979. In questo modo, i Generali del Cairo hanno potuto dislocare nella regione un dispositivo corazzato/meccanizzato con carri M-60A3 e veicoli cingolati da combattimento EIFV, appoggiati da elicotteri APACHE. Tutte queste unità sono state dislocate presso la base di El Arish, sulla costa, a 50 km dalla Striscia di Gaza, dove è stato spostato anche il comando operativo del 2ndField Army, la componente dell’Esercito che, insieme al 3rd Field Army (il cui comando operativo è ora stato spostato nel villaggio di Nekhel, nella regione centrale del Sinai), è responsabile per la Penisola, ma che, stando agli accordi di Camp David, è sempre rimasta schierata lungo il Canale di Suez.

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