La corsa verso l’autonomia strategica e l’impatto sulla Cina
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La corsa verso l’autonomia strategica e l’impatto sulla Cina

Di Carlo Palleschi
21.01.2023

La guerra in Ucraina ha messo in luce la vulnerabilità intrinseca di un’economia ancora incentrata sui combustibili fossili. L’eccessiva dipendenza dal petrolio e dal gas aumenta, infatti, il rischio che questi ultimi vengano utilizzati come strumenti di minaccia e di pressione politica. La transizione verde è un elemento cruciale del medio lungo termine, con l’enorme potenziale di poter contribuire ad un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale e, al contempo, di poter ridurre l’esposizione dei Paesi importatori di prodotti energetici agli shock geopolitici, così da aumentare l’autonomia energetica. La transizione verde è altresì fortemente legata alla capacità industriale e di sviluppo tecnologico che i singoli Paesi detengono al fine di svolgere un ruolo di primo piano nella partita globale della transizione verso la neutralità climatica e la leadership digitale. In questo senso, quindi, gli obiettivi climatici sono da leggersi anche nel contesto di una progressiva ricerca da parte dei maggiori attori globali di un’autonomia strategica capace di ridurre le dipendenze esterne, cogliere questa opportunità per sviluppare mercati, prodotti e servizi, e rafforzare la competitività interne.

Determinante per definire la capacità strategica di un Paese nel campo della transizione verde è il fattore geologico, e la Cina da questo punto di vista è in una posizione di vantaggio. L’approvvigionamento di molte materie prime critiche è, infatti, altamente concentrato: mentre la Turchia fornisce all’Unione europea (UE) il 98% del borato e il Sud Africa soddisfa il 71 % del fabbisogno di platino e fornisce una percentuale persino maggiore di metalli del gruppo del platino come iridio, rodio e rutenio, la Cina fornisce all’UE circa il 98 % delle terre rare. In questo contesto, è prevedibile che, causa dei limiti geologici dell’UE, la domanda futura di materie prime critiche continuerà a essere ampiamente soddisfatta dalle importazioni anche a medio e lungo termine soprattutto dalla Cina.

Proprio al fine di contrastare la “quasi egemonia” cinese, gli Stati Uniti hanno recentemente accelerato il processo di produzione domestica di materiali critici per le tecnologie low-carbon, con l’obiettivo di svincolarsi dalle filiere controllate da Pechino. In particolare, Washington è interessata ad aumentare le capacità produttive statunitensi di litio, nickel, grafite, cobalto e manganese, oltre a rafforzarne la raffinazione per gli input cruciali delle batterie per gli EV e per lo stoccaggio di energia elettrica. In particolare, il presidente americano Joe Biden ha invocato il Defense Production Act in modo che gli Stati Uniti possano rafforzare la propria indipendenza energetica per invertire quella tendenza che, come ha affermato dalla segretaria all’energia Jennifer M. Granholm, ha portato “per troppo tempo la catena di approvvigionamento di energia pulita statunitense ad essere eccessivamente dipendente da fonti straniere e nazioni avversarie” – leggasi soprattutto Cina. Questa nuova disposizione, quindi, mira a rafforzare le industrie domestiche di produzione di energia pulita, rafforzando al contempo la sicurezza economica statunitense e dando un nuovo impulso al mercato del lavoro.

Al contempo Gli Stati Uniti hanno anche adottato una serie di sostegni e sussidi alle imprese con l’obiettivo di consolidare il primato tecnologico e riportare le catene di fornitura negli Stati Uniti. In particolare, Washington ha dottato l’Inflation Reduction Act (IRA), che prevede quasi 400 miliardi di dollari per aumentare l’energia pulita, attraverso una serie di sostegni alle imprese statunitensi operanti nel settore. Se l’IRA rientra nella strategia statunitense di decoupling dalla Cina, essa rischia di avere conseguenze deleterie anche per gli alleati europei. Infatti, concedendo crediti fiscali solo alle imprese che producono negli Stati Uniti, l’IRA esclude di fatto dalle agevolazioni le imprese europee, e offre dei sussidi con i quali i Paesi del vecchio continente non possono competere, così da compromettere la capacità industriale europea. La commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager, ha infatti dichiarato che il piano adottato dall’amministrazione Biden corre il rischio di indebolire il mercato europeo, e di creare una competizione tra Paesi che potrebbe fiaccare il senso comune di intenti nell’affrontare la crisi climatica.

In questo contesto, la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha annunciato al World Economic Forum di Davos il Green Deal Industrial Plan. Il Piano rappresenta il tentativo dell’Europa di giocare un ruolo centrale da un punto di vista industriale nella partita legata alla transizione verde, con lo scopo di evitare di rimanere schiacciata nella competizione tra la Cina e gli Stati Uniti. Per ovviare a questo rischio, il Green Deal Industrial Plan cercherà di agire lungo due direttrici: da una parte, si cercherà di creare le condizioni favorevoli da un punto di vista normativo per i settori cruciali della transizione verde, procedendo con una semplificazione generale del quadro regolativo; d’altra parte si rivedrà l’aspetto legato ai finanziamenti e agli aiuti di Stato, per velocizzarli e semplificarli così da preservare l’attrattività dell’industria europea a fronte delle offerte e degli incentivi erogati da altri Paesi, in primis dagli Stati Uniti. Questo processo di revisione degli aiuti di Stato si accompagna con l’implementazione del Fondo di sovranità europeo, che dovrebbe permettere a tutti i Paesi, anche quelli con meno risorse, di agevolare le proprie aziende.

Queste misure dovranno inserirsi in una politica commerciale ambiziosa tesa a creare delle partnership che forniscano alternative alle pratiche commerciali cinesi. Ciò si traduce per Bruxelles nel dare nuovo impulso ai negoziati sugli accordi di libero scambio con una serie di Paesi importanti dal punto di vista delle materie prime e nel rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento critiche per la transizione verso l’energia pulita e la sicurezza energetica. I Paesi cui guardare spaziano dalle nazioni con un settore minerario altamente sviluppato, come il Canada e l’Australia, a numerosi attori in via di sviluppo dell’Africa e dell’America latina fino ai Paesi vicini, come la Norvegia e l’Ucraina, e i Paesi dei Balcani occidentali. La Serbia, ad esempio, possiede borati, mentre l’Albania vanta depositi di platino. Piuttosto che cercare di sviluppare tutti questi partenariati contemporaneamente, la Commissione prevede, prima di avviare progetti pilota di partenariato, di discutere le priorità con gli Stati membri e l’industria. In questo campo, l’UE deve confrontarsi con la politica cinese particolarmente proattiva, soprattutto in Africa, nel garantire il controllo di tali materiali. La guerra in Ucraina anche da questo punto di vista costituisce una valida cartina al tornasole per comprendere la natura geopolitica della partita energetica, e di come la Cina possa svolgere un ruolo di primo piano nella transizione verde con lo stesso pragmatismo che ha dimostrato oggi nella crisi ucraina.

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