La Cambogia tra elezioni e ridefinizione degli equilibri regionali
Asia e Pacifico

La Cambogia tra elezioni e ridefinizione degli equilibri regionali

Di Giuseppe Di Luccia
17.04.2014

A nove mesi dalle ultime elezioni parlamentari, la Cambogia sta attraversando una delicata fase di transizione che dovrebbe portare il Paese a ridefinire gli equilibri di potere interni.

I risultati delle votazioni dello scorso luglio, infatti, hanno messo in discussione, per la prima volta, il predominio politico del Primo Ministro Hun Sen, leader del Partito Popolare Cambogiano (PPC), alla guida del Paese dal 1985. Aggiudicatosi 68 seggi su 123 all’Assemblea Nazionale, il PPC ha conosciuto un brusco calo di consensi in favore della principale formazione di opposizione, il Partito di Salvezza Nazionale Cambogiano (PSNC), guidato da Sam Rainsy, che si è aggiudicato circa il 44,5% dei voti (56 seggi), in netto miglioramento rispetto alle elezioni del 2008. Il successo politico del PSNC sembra essere attribuibile al forte malcontento che, in questi ultimi anni, si è sviluppato trasversalmente ai diversi gruppi sociali, a causa della diffusa corruzione all’interno del sistema istituzionale, all’inefficienza burocratica e alla mancanza di un sistema giudiziario autonomo e indipendente rispetto al potere politico.

Rainsy, lo storico e perseguitato oppositore di Hun Sen, è diventato non solo leader di un partito divenuto protagonista nella scena nazionale ma soprattutto simbolo di un processo che sembra stia portando la Cambogia verso una maggiore democratizzazione del proprio sistema politico. Le proteste di piazza organizzate dal PSNC all’indomani delle elezioni per contestarne i risultati, infatti, hanno permesso al partito di capitalizzare il malcontento della popolazione nei confronti del governo e chiedere un passo indietro del PPC dalla gestione quasi monocratica dello Stato. Lo stallo politico generato dal boicottaggio dei lavori parlamentari da parte dei membri del partito di Rainsy e la degenerazione delle tensioni tra manifestanti e forze di sicurezza, sfociate, lo scorso gennaio, in veri e propri scontri durante i quali sono rimasti uccise quattro persone, ha spinto Hun Sen a istituire un tavolo negoziale con l’opposizione e porre così termine alle richieste di dimissioni da parte della piazza.

Iniziati ufficialmente lo scorso febbraio, i colloqui tra governo e opposizioni dovrebbero portare le due principali forze politiche del Paese ad elaborare un progetto condiviso di riforma elettorale che contempli, tra l’altro, la riforma della Commissione Elettorale Nazionale (CEN), l’organo preposto alla supervisione delle elezioni nel Paese, formalmente indipendente ma accusato di favoritismo nei confronti dell’attuale Primo Ministro. Secondo la proposta del PSNC, la CEN dovrebbe essere sostituita da un organo di rilevanza costituzionale e i nove membri nominati a farne parte sarebbero preventivamente approvati dai due terzi del parlamento. Nonostante le difficoltà riscontrate nel trovare un accordo sulla CEN abbiano inizialmente portato la delegazione del PSNC a fare un passo indietro nel negoziato, il prosieguo dei colloqui tra i vertici dei due partiti ha permesso alle leadership degli stessi di accordarsi sulla riforma delle membership della Commissione e di iniziare le trattative per stabilire la data delle prossime elezioni, anticipate al 2016. Il raggiungimento di una soluzione condivisa permetterebbe al governo non solo di porre fine alle manifestazioni di piazza e, conseguentemente scongiurare una degenerazione delle violenze, ma soprattutto di superare un’impasse che sta bloccando il Paese da ormai nove mesi e che potrebbe avere sul governo cambogiano pesanti ripercussioni sia politiche che economiche.

Il perdurare dell’instabilità interna, infatti, potrebbe portare ad una rapida riduzione degli investimenti stranieri nel Paese, siano essi diretti o sotto forma di sussidi, con forti implicazioni sia economiche sia politiche. Il recente impegno finanziario di alcuni attori regionali, Vietnam e Giappone in primis, da un lato ha rappresentato un importante sostegno per lo sviluppo dell’economia nazionale, dall’altro ha stimolato il governo cambogiano a cercare di intensificare le relazioni con gli altri Stati del sudest asiatico. Infatti, Hanoi e Tokyo, tra il 2012 e il 2013 hanno destinato, rispettivamente, 3 milioni di dollari di investimenti e 134 milioni di dollari di prestiti per le casse di Phon Pen. L’importanza che questi nuovi partner potrebbero avere per il risanamento dell’economia nazionale ha portato il governo cambogiano a guardare alla cooperazione regionale come ad un’opportunità per affrancarsi dalla tradizionale dipendenza con la Cina. Il rapporto tra Pechino e il governo Hun Sen risale al 1997 e si è sviluppato in un momento in cui il Paese era isolato dalla Comunità Internazionale a causa del colpo di Stato con cui l’attuale primo Ministro aveva preso il potere. Il sostegno politico e gli aiuti finanziari ricevuti dalla Cina hanno gettato le basi per un rapporto che si è consolidato nel corso dei vent’anni successivi. Attualmente, con un interscambio che si attesta intorno ai 2,5 miliardi di dollari, Pechino continua ad essere il principale partner commerciale di Phom Pen. Questa decennale intesa bilaterale, inevitabilmente, ha plasmato l’alleanza politica tra i due Paesi e ha portato il governo cambogiano, almeno fino ad ora, ad essere un importante alleato di Pechino nella regione.

Nonostante il timido passo in avanti nei confronti degli altri Stati della regione e la relativa apertura a posizioni confliggenti con gli interessi cinesi, un effettivo ribilanciamento delle relazioni regionali cambogiane appare vincolato alla capacità di Phom Pen di presentarsi come un interlocutore affidabile ai nuovi partener. Per questa ragione, un rapido superamento delle attuali problematiche interne rappresenterebbe un significativo punto di partenza per dare sicurezza a quegli Stati fiduciosi nello sviluppo nazionale e spingerli a cercare di intensificare le relazioni, politiche ed economiche, con il governo cambogiano. Il rispristino della stabilità interna e la garanzia di affidabilità nel lungo periodo consentirebbero, di fatto, al Paese di prendere parte in modo sempre più autonomo alle dinamiche regionali e svincolarsi dalla lunga ombra di Pechino.

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