Intelligence and Defence Update n°59

Intelligence and Defence Update n°59

Di Staff Ce.S.I.
27.01.2014

Sommario: Argentina, Francia, Giappone, Polonia, Stati Uniti

Argentina

L’Argentina sarebbe in trattativa con le Israeli Aerospace Industries (IAI) per l’acquisizione di 18 caccia Kfir Block 60, in alternativa alla fornitura di 16 Mirage F1M provenienti dalle file dell’Aeronautica militare spagnola. Il valore della fornitura si aggirerebbe intorno ai 500 milioni di dollari. Le trattative con Madrid sembrano essersi definitivamente arenate su questioni tecniche e, soprattutto, politiche. A parziale conferma dei contatti tra Buenos Aires e Tel Aviv, nel settembre 2013 un rappresentante IAI rendeva pubblico l’interessamento di due aviazioni militari straniere nei confronti dell’ultima versione del caccia israeliano.

La configurazione più recente del Kfir viene considerata, dal produttore, alla stregua di un caccia di quarta generazione e include una versione rigenerata e migliorata del motore General Electric J-79, l’integrazione del radar AESA EL/M-2032 di Elta Systems e l’installazione di una suite avionica ad architettura aperta e di un nuovo sistema di trasmissione dati in data-link. A distanza di circa 40 anni dall’entrata in servizio del modello originario, basato sul design del Mirage 5, il Kfir è attualmente operato da Colombia, Ecuador e Sri Lanka. Gli esemplari colombiani sono i più recenti (standard C10/C12) e includono, oltre al radar AESA, anche un pod di designazione Litening e la capacità di rifornimento in volo.

L’interesse argentino per i caccia israeliani s’inserisce nel quadro di un generale rinnovo del dispositivo aeronautico di Buenos Aires, resosi ancora più necessario con il ritiro dei Mirage IIIEA/DA, ma che deve fare i conti con le difficili condizioni finanziarie in cui versa, tutt’oggi, il governo del Presidente Kirchner.

Francia

A breve distanza dall’esito negativo della gara brasiliana per il Progetto FX-2, conclusasi a favore del Gripen NG, il Ministro della Difesa francese Jean-Yves le Drian e il presidente e amministratore delegato di Dassault Eric Trappier hanno confermato l’aggiornamento F3R del caccia multiruolo Rafale. Il contratto, del valore di circa 1 miliardo di euro, è stato ufficializzato il 10 gennaio scorso, ma era già stato ratificato dalla DGA francese il 30 dicembre.

Il programma di aggiornamento del Rafale, quindi, prevede l’integrazione del missile aria-aria a lungo raggio Meteor di MBDA e della versione più recente della smart bomb Hammer di Sagem. Versioni precedenti di quest’ultima arma sono state utilizzate dall’aviazione francese sia in Libia (2011) che in Mali (2013). I miglioramenti interesseranno anche il sistema di autodifesa Spectra, sviluppato congiuntamente da MBDA (sensori a infrarossi) e Thales (funzioni di rilevamento e jamming radio).

Altre aggiunte includeranno un interrogatore/trasponder per l’identificazione amico/nemico, con piena compatibilità Mode-5/Mode-S, e migliorie incrementali ai sistemi di navigazione, trasmissione dati e rilevamento radar (nella fattispecie dell’AESA RBE2 di Thales).

La versione F3R prevede anche l’integrazione del pod di sorveglianza e designazione laser PDL-NG, progettato per essere installato sia sui Rafale che sui Mirage 2000D.

A fronte di 180 ordinativi complessivi, sono 126 i Rafale già consegnati, tutti alle Forze Armate francesi: sfortunatamente per Dassault, infatti, il Rafale, sebbene già selezionato dall’India, quale unico cliente export, non è ancora entrato in produzione per quel Paese a causa di problematiche pre-contrattuali non ancora risolte. Anche per questo motivo, il produttore confida che la versione F3R saprà finalmente rendere il velivolo più attraente sui mercati esteri, laddove, almeno finora, il multiruolo francese ha pagato la concorrenza agguerrita dell’Eurofighter, dello svedese Gripen, del russo Su-27/30 e delle versioni aggiornate degli statunitensi F-15, F-16 e F-18.

Giappone

Il Giappone ha recentemente portato a termine la revisione delle proprie politiche di sicurezza e di Difesa, attraverso la pubblicazione, nel dicembre 2013, di due documenti, approvati congiuntamente dal Comitato per la Sicurezza Nazionale e dal Gabinetto del Primo Ministro, Shinzo Abe: la “National Security Strategy” e il “National Defense Program Guidelines for FY 2014 and Beyond”.

La “National Security Strategy” ha un orizzonte temporale di 10 anni e prevede che, dal punto di vista concettuale, le Forze Armate giapponesi abbandoneranno il tradizionale concetto di pura autodifesa, rafforzando i legami con i propri partner internazionali. Il fine è quello di garantirsi maggiore libertà e flessibilità d’azione, in nome di un approccio proattivo alle situazioni di crisi.

Dal punto di vista strategico, lo strumento militare giapponese sarà riconfigurato in chiave prevalentemente aero-navale e, contestualmente, il suo baricentro verrà riposizionato dall’isola settentrionale di Hokkaido a quella meridionale di Kyushu, in modo da poter esercitare una maggiore influenza sull’area del Mar Cinese Orientale.

Le capacità delle Forze Armate giapponesi, inoltre, verranno potenziate in numerosi ambiti: C4ISR, trasporto, difesa dello spazio aereo, anti-terrorismo e forze speciali, cyber-security, calamità naturali e cooperazione internazionale.

Parallelamente, le National Defense Program Guidelines prevedono che, per il quinquennio 2014-2019, saranno messi a disposizione circa 175 miliardi di Euro, il 5% in più rispetto al piano precedente. Le linee guida, inoltre, indicano una revisione delle politiche di esportazione degli armamenti, in un ottica di maggiore sostenibilità finanziaria e temporale dell’intero comparto Difesa. Ciò dovrebbe permettere all’industria giapponese della Difesa di migliorare le proprie performance, di capitalizzare gli investimenti e di abbassare i costi, con conseguenti ricadute positive sull’intera economia del Sol Levante.

I due documenti si inseriscono nel solco di un lungo processo di revisione della postura strategica giapponese, iniziato nel 2006/2007 dallo stesso Shinzo Abe in occasione del suo primo mandato, allorquando l’Agenzia di Difesa venne trasformata in un vero e proprio Ministero. Tokyo vuole rispondere alle mutate condizioni internazionali, sia a livello globale che, soprattutto, a livello regionale. Infatti, a causa dell’ attivismo politico e militare della Cina sempre più marcato e dell’imprevedibilità del regime della Corea del Nord,  il confronto con questi due Paesi si fa sempre più aspro e dagli esiti potenzialmente imprevedibili.

Polonia

Con il suo M-346, Alenia Aermacchi ha vinto la gara indetta dalla Polonia per la fornitura di un jet addestratore all’Aeronautica militare di Varsavia. La gara era stata recentemente riproposta dopo essere stata annullata nel 2011. Gli M-346 sostituiranno parte dell’attuale flotta di PZL Mielec TS-11 Iskra.

Il contratto sarà firmato nei primi mesi del 2014 e prevede che i velivoli e la strumentazione accessoria siano acquistati nel biennio 2016-17, per un importo di 280 milioni di Euro. L’accordo comprende la fornitura di 8 jet e dei relativi simulatori di volo per l’addestramento a terra del personale, oltre al consueto supporto tecnico e logistico. La Polonia potrebbe inoltre esercitare un opzione per l’acquisto di quattro velivoli aggiuntivi.

Quale contropartita industriale, Alenia Aermacchi ha firmato con le industrie aerospaziali polacche una serie di accordi relativi ad attività di manutenzione, supporto logistico e trasferimento di pacchetti di lavoro per componenti in composito.

L’addestratore M-346 ha battuto l’agguerrita concorrenza del BAE Systems Hawk e del KAI/Lockheed Martin T-50 Golden Eagle. La vittoria nel bando polacco rappresenta la terza affermazione del jet italiano nei confronti del sudcoreano T-50, dopo Israele e Singapore. I due velivoli si confronteranno nuovamente negli Stati Uniti, in occasione della gara Trainer-X Program, che dovrebbe essere indetta a breve per la sostituzione degli ormai anziani Northrop T-38 Talon.

Ad oggi gli ordini dell’M-346 hanno totalizzato 48 velivoli, acquisiti dalle forze aeree di Italia, Israele e Singapore.

Stati Uniti

Secondo un recente rapporto del Pentagono, la portaerei nucleare USS Gerald Ford, prima unità della nuova classe omonima, sarebbe afflitta da una moltitudine di problemi strutturali che rischiano di accrescerne i costi di sviluppo e di ritardarne di due anni l’entrata in servizio, prevista inizialmente per il 2016.

Sarebbero almeno cinque i componenti fondamentali, tutt’ora in fase di integrazione, che avrebbero mostrato una scarsa affidabilità nel corso dei test. La catapulta elettromagnetica, avrebbe dimostrato di poter sostenere solamente 240 lanci prima di un malfunzionamento, a fronte dei 1.250 previsti. Il sistema di arresto presenterebbe in media un malfunzionamento ogni 20 appontaggi, a fronte dei 4.950 richiesti. Forti dubbi vengono espressi anche in merito all’efficienza del sistema radar, sviluppato dalla Raytheon, dei sistemi di comunicazione e degli ascensori per gli armamenti.

Il combinato disposto di queste criticità rischia di influenzare negativamente una capacità fondamentale della USS Gerald Ford, qual è quella di generare e sostenere un numero maggiore di sortite rispetto alle portaerei giá in dotazione. Ciò, comprensibilmente, non potrà che avere conseguenze negative in termini di vulnerabilità ed efficienza operativa se tali difetti non verranno presto risolti.

Con una stazza lorda di circa 100 mila tonnellate, alta 75 metri e lunga 330, la USS Gerald Ford, come detto, sarà la prima di una nuova classe di portaerei che andrà a sostituire progressivamente la flotta statunitense, attualmente composta da 10 navi classe Nimitz a seguito del ritiro della USS Enterprise nel 2012. Rispetto alla precedente, la classe Ford è stata progettata, tra le altre cose, per garantire il 25% in più di sortite, con un equipaggio di 700 marinai in meno e per generare una quantità maggiore di energia elettrica e di acqua desalinizzata.

La portaerei, varata nel novembre scorso, è in fase di test presso i cantieri navali di Northrop Grumman, in Virginia. I costi di realizzazione sono già saliti del 22% rispetto a quelli iniziali, per un totale di 12,8 miliardi di dollari. Una situazione che, in tempi di tagli alla Difesa, diventa sempre più difficile da gestire e da giustificare, sia agli occhi del Congresso che dell’opinione pubblica.

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