Il vertice di Hanoi e le prospettive di dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord
Asia e Pacifico

Il vertice di Hanoi e le prospettive di dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord

Di Gloria Piedinovi
26.02.2019

Ad Hanoi, in Vietnam, è in corso il secondo summit tra il Presidente statunitense Donald Trump e il Presidente della Repubblica Popolare Democratica di Corea Kim Jong-un. I due leader si incontreranno per una cena informale con i più stretti collaboratori nella serata di oggi, mentre il vertice ufficiale è previsto per la giornata di domani, 28 febbraio. L’incontro di Hanoi è il secondo appuntamento di vertice tra i due Paesi, dopo il primo incontro tenutosi lo scorso 12 giugno a Singapore.

I colloqui di Singapore hanno rappresentato un primo storico incontro tra i leader in carica dei due Paesi in rapporti ostili dalla Guerra di Corea del 1950-1953, e il primo passo per l’avvio di un auspicato tavolo di dialogo sulla delicata questione del programma atomico della Corea del Nord.  Nell’ultimo decennio, infatti, il governo nordcoreano ha portato avanti un’intensa attività di ricerca volta ad acquisire una capacità di deterrenza atomica, considerata indispensabile per poter garantire la sicurezza del regime da attacchi esterni e un lasciapassare per avere un posto al tavolo delle potenze internazionali. Dal 2006, Pyongyang ha condotto sei test nucleari. Il primo dispositivo atomico fu fatto detonare in una galleria scavata nel monte Mantap, presso il poligono di Punggyeri. Nella stessa area ebbe luogo, nel 2009, il secondo test atomico, e nel 2013 il terzo. A maggio 2016 Kim annunciò che l’imminente quarto test nucleare sarebbe stato condotto con un ordigno all’idrogeno, dichiarando così che la Corea del Nord aveva acquisito e sviluppato la tecnologia termonucleare (eventualità non confermata). A settembre dello stesso anno fu testato il quinto ordigno atomico, con potenza compresa tra i 15 e i 25 kilotoni. Il sesto ed ultimo test nucleare fu condotto un anno dopo, a settembre 2017. Si è ritenuto che l’ordigno, il più potente mai testato dalla Corea del Nord, avesse una potenza compresa tra i 140 e i 250 kilotoni.

Parallelamente alla sperimentazione atomica, gli sforzi del governo nordcoreano si sono concentrati sul rafforzamento del proprio arsenale balistico a raggio medio, intermedio e lungo raggio, con un’attenzione particolare per la costruzioni di modelli che avrebbero potuto fungere da vettori per cariche atomiche: il missile balistico No-Dong1 (portata 1200-1500 km) e il TAEPODONG-2 (portata 4000-10000 km). Sono in fase di sperimentazione anche il missile balistico Musudan (portata 2500-4000 km) e il KN-8/HWASONG-13 (portata 5500-11500km). Sarebbero, invece, in fase di sviluppo i missili balistici intercontinentali KN-14 (portata 8000-10000 km), HWASONG14 (portata 10000 km) e HWASONG-15 (portata 13000 km). Benché sia incerta la reale capacità tecnologica nordcoreana di miniaturizzare le testate nucleari, lo sviluppo di un programma balistico, anche di gettata intercontinentale, abbinato ali continui test nucleari ha suscitato serie preoccupazioni da parte della Comunità Internazionale. Le continue provocazioni del regime, infatti, avevano provocato un pericoloso aumento delle tensioni nella regione del Nordest Asia.

Il dialogo avviato a Singapore, dunque, ha segnato un momento di importante svolta, quanto meno diplomatica. A Singapore Trump e Kim hanno firmato un Documento nel quale si impegnavano a ricercare soluzioni comuni per alleggerire le tensioni, lasciando intendere che ciò implicasse anche la volontà di procedere alla denuclearizzazione. Tuttavia, tale accordo è stato formalizzato con una genericità di base legata proprio all’ambiguo significato attribuito dai due leader al processo di denuclearizzazione. Per Washington la priorità è condurre un negoziato al fine di indurre la Corea del Nord a smantellare il proprio arsenale nucleare. Di contro, Pyongyang ha posto una serie di condizioni dalle quali emerge che, per Kim, la denuclearizzazione non dovrebbe coinvolgere solo il suo Stato, bensì estendersi all’intera penisola coreana.

Inoltre, il Documento siglato a Singapore accenna in maniera indeterminata alle due questioni poste da Kim come presupposto per procedere allo smantellamento del proprio arsenale nucleare, vale a dire l’alleggerimento delle sanzioni internazionali e il ritiro delle truppe statunitensi dalla Corea del Sud. Con riferimento al primo argomento, va ricordato che dal 2006, anno del primo test nucleare nordcoreano, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato una serie di risoluzioni attraverso le quali sono state imposte a Pyongyang sanzioni in ambito commerciale, finanziario ed economico. A Singapore Kim ha espresso la disponibilità a rinunciare alla deterrenza atomica in cambio di rassicurazioni da parte della Comunità Internazionale circa la rivalutazione e, preferibilmente, la sospensione, delle penalità. In quell’occasione Trump aveva mostrato un atteggiamento ambiguo, e la questione era dunque rimasta in sospeso.

La seconda condizione posta da Kim a Singapore è il ritiro delle truppe statunitensi dalla Corea del Sud. Questa richiesta ha un duplice significato: da un lato, la Corea del Nord ha chiesto una garanzia alla propria sicurezza in vista di un’eventuale dismissione dell’arsenale atomico; dall’altro, il ritiro dalla Corea del Sud sarebbe, per Kim, la dimostrazione della volontà degli Stati Uniti di procedere al disarmo dell’intera penisola coreana. Anche in questo caso, la vaghezza dell’accordo siglato a Singapore non ha, di fatto, portato a significative dichiarazioni né a un mutamento della situazione.

Anzi, a tal proposito a fine gennaio 2019 il rappresentante speciale americano per la Corea del Nord Stephen Biegun ha dichiarato che gli Stati Uniti non intendono ritirare le truppe dalla Corea del Sud, escludendo il coinvolgimento di Washington da qualsiasi discussione diplomatica sull’argomento. È quindi probabile che la richiesta di Kim Jong-un sia oggetto di nuove discussioni nel prossimo vertice.

In questo contesto, negli ultimi mesi un ruolo nuovo è stato assunto proprio dal Presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, il quale è progressivamente emerso come possibile mediatore del processo di distensione politica tra Washington e Pyongyang. Moon, infatti, si pone come portatore di un duplice interesse: da un lato, mantenere un rapporto disteso e collaborativo con l’alleato americano costituisce una priorità strategica irrinunciabile per preservare la sicurezza del territorio sudcoreano; dall’altro, la Corea del Sud non può permettersi di interrompere il percorso di distensione e pacificazione con il leader nordcoreano, da sempre cavallo di battaglia per eccellenza del Presidente sudcoreano.

Lo storico incontro tra Moon e Kim, avvenuto lo scorso 27 aprile nella zona demilitarizzata sul confine tra le due Coree, ha aperto le porte all’inizio di un dialogo intra-coreano. Nei mesi successivi, le relazioni con Kim sono proseguite in modo disteso, e Moon ha più volte ribadito la centralità del processo di pacificazione della penisola come obiettivo fondamentale della sua agenda politica. Il leader sudcoreano ha dedicato maggiore attenzione al proseguo del dialogo con Kim, spendendosi in prima persona per l’alleggerimento delle sanzioni e facendosi garante dell’interesse della sua controparte per la denuclearizzazione.

In questo contesto, il vertice di Hanoi potrebbe rappresentare un ulteriore passo in avanti nel dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord. Se il vertice di Singapore era stato parzialmente inficiato dalla vaghezza dei contenuti, che non aveva permesso di ottenere dei punti concreti su cui lavorare,  negli ultimi mesi i negoziatori incaricati dei due Paesi sembrano aver condotto una serrata discussione su una serie di dettagli riguardanti le modalità con cui portare avanti la trattativa.

Il tema ricorrente con cui la Casa Bianca sta accompagnando l’agenda del meeting è la promozione della crescita economica della Corea del Nord a fronte di una dismissione dell’arsenale atomico del regime. Infatti, il Presidente Trump si è recentemente mostrato più aperto sulla possibilità di alleggerire il regime sanzionatorio, nell’ottica di concedere a Kim fiducia in cambio di progressi concreti in materia di denuclearizzazione e della sospensione di ogni test futuro. Poiché il rafforzamento dell’economia interna è sempre stato per il giovane leader uno dei due pilastri fondamentali del proprio governo, oltre alla deterrenza nucleare, la prospettiva di progressi importanti in questa direzione potrebbe rivelarsi un’importante leva fondamentale per iniziare una discussione seria e concreta sul processo di denuclearizzazione. Tuttavia, poiché il programma nucleare rappresenta una carta politica importante a disposizione di Pyongyang per crearsi uno nuovo spazio all’interno ella Comunità Internazionale è probabile che il risultato di Hanoi non sarà un accordo definitivo, ma un’intesa su un quadro di riferimento da utilizzare come cornice all’interno della quale lavorare congiuntamente e parallelamente per limare ogni dettaglio futuro.

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