Il ruolo della Cina nel conflitto in Myanmar
Asia e Pacifico

Il ruolo della Cina nel conflitto in Myanmar

Di Sofia Bertolino
18.10.2024

Il 26 settembre scorso, la giunta militare al potere in Myanmar dal 2021 ha avviato un tentativo di dialogo con alcuni gruppi armati etnici, mossa che apre scenari nuovi in quanto rimuove l’etichetta di realtà terroristiche affibbiata loro proprio dal Governo in questi anni. Lo State Administrative Council (SAC), in particolare, ha richiesto ai gruppi armati di deporre le armi e di aprire un canale di comunicazione, offrendo in cambio la possibilità di partecipare alle elezioni, per il momento rinviate al 2025. Proprio a fini elettorali, la giunta ha avviato un censimento nel Paese percepito dalle opposizioni come una schedatura, piuttosto che un reale tentativo di favorire la competizione politica.

Fin dal colpo di Stato del 2021, il regime militare in Myanmar ha dovuto affrontare movimenti di opposizione armati provenienti da diverse fazioni presenti nel Paese, parte delle quali sono confluite nella People’s Defence Force (PDF), braccio armato del National Unity Government of Myanmar (NUG), principale attore con ambizioni rivoluzionarie presente nel fronte anti-giunta. Parallelamente, i gruppi armati etnici storici si sono organizzati per opporsi al regime, rivendicando la difesa dei diritti delle minoranze e l’autonomia dei propri territori, nonché la gestione dei traffici, anche illeciti (tra gli altri oppio e metamfetamine), che vi transito. Tra questi vi sono il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) e l’Arakan Army (AA), confluiti di recente nella cosiddetta Three Brotherhood Alliance. Proprio l’Alleanza, nell’ottobre 2023, ha lanciato l’operazione 1027, uno degli attacchi meglio organizzati contro l’amministrazione militare del SAC.

Gli attacchi si sono concentrati principalmente lungo il confine con la Cina, nello Stato Shan, con ulteriori scontri negli Stati Rakhine e Kachin. La conquista da parte delle milizie di importanti snodi commerciali, come la città di Chinshwehaw, ha spinto i cinesi ad aprire canali di contatto con i ribelli. Nel complesso, la Repubblica Popolare, tradizionalmente vicina alla giunta, si è trovata quindi a parlare con tutti gli attori in gioco, mutando anche il proprio posizionamento al fine di servire i propri interessi economici e di sicurezza. Nei mesi scorsi, la priorità cinese era divenuta la chiusura dei centri di scam online, la cui attività è rivolta spesso contro cittadini cinesi. Tale obiettivo è stato condiviso dall’Alleanza anche al fine di ottenere supporto dalla Cina stessa e da tutti gli attori della comunità internazionale sensibili al tema della lotta contro il proliferare delle truffe online. Le stesse milizie, inoltre, dipendono in larga parte dal mercato nero per l’approvvigionamento di materiale che viene utilizzato nel conflitto, dal quale reperiscono beni spesso di fabbricazione cinese. Questi legami, diretti e indiretti, tra Cina e gruppi etnici non hanno impedito alla giunta militare di mantenere stretti rapporti con Pechino, decisiva per il supporto economico, militare e politico derivante, tra le altre cose, anche dal seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’azione cinese in questa fase viene tuttavia percepita come una sorta di “doppio gioco", che inquieta alcuni elementi della giunta stessa.

In questo contesto, quindi, tutte le forze coinvolte nel conflitto si rivolgono a Pechino per ottenere supporto, come è emerso nel corso dei vari processi per il cessate il fuoco, avviati sia nella prima che nella seconda fase dell’operazione 1027. La seconda fase, iniziata nel giugno 2024, ha visto gli scontri concentrarsi nella regione di Mandalay, culminando con la conquista della città di Lashio da parte del MNDAA nell’agosto 2024. Proprio in questo teatro, grazie alla pressione cinese, è stata accordata una tregua nel mese di luglio, poiché la Mandalay-Lashio-Muse Road è considerata rotta fondamentale per il commercio tra Myanmar e Cina.

Intanto, il 14 agosto 2024, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato il leader della giunta, il Generale Min Aung Hlaing, per discutere una maggiore cooperazione volta a contrastare le avanzate dei ribelli, che nel frattempo hanno guadagnato terreno anche nello Stato Rakhine. Questa regione è cruciale per la presenza di giacimenti petroliferi e partnership tra le imprese statali di Myanmar e Cina, che gestiscono un terminal petrolifero sull’isola di Maday e un oleodotto verso lo Yunnan. Pechino ha molti interessi in questa area, tra cui la costruzione di un porto e l’instaurazione di una zona economica speciale a Kyaukphyu, oltre alla realizzazione di collegamenti stradali e ferroviari con lo Yunnan, che garantirebbero un accesso diretto all’Oceano Indiano senza dover contare sullo stretto di Malacca. Durante la sua visita, Wang ha anche offerto alla giunta sostegno economico e assistenza per avviare le prime consultazioni verso il processo di pace, a riprova del ruolo estremamente attivo svolto in questi mesi dalla leadership cinese.

Un segnale importante delle pressioni cinesi in direzione di un cessate il fuoco era arrivato già il 19 settembre, quando il gruppo etnico armato MNDAA ha comunicato di non voler più continuare a collaborare militarmente con Governo di Unità Nazionale (NUG), lasciando l’offensiva per la presa della città di Mandalay. Mentre la Cina persegue l’obiettivo della stabilizzazione, il MNDAA chiede la creazione di uno Stato federato attraverso la mediazione con la giunta, proposta rigettata almeno per ora dagli altri gruppi ribelli. Tra coloro i quali non hanno accettato il compromesso si segnalano: il NUG, insieme alla Karen National Union (KNU), al Karenni National Progressive Party (KNPP) e al Chin National Front (CNF), realtà che sembrerebbero almeno in parte godere di supporto esterno non necessariamente cinese. A tal proposito, si segnala un incontro avvenuto nell’agosto 2024 tra i rappresentanti dei suddetti gruppi ed il consigliere del Dipartimento di Stato americano, Tom Sullivan, affiancato dall’amministratore aggiunto dell’USAID, Michael Schiffer, servito anche a fare il punto della situazione sul terreno.

I prossimi sviluppi della situazione in Myanmar richiedono un’attenta osservazione di come l’influenza cinese potrebbe plasmare il futuro del Paese. Pechino, infatti, mira a salvaguardare i propri interessi economici e commerciali, ottenere una de-escalation e soprattutto evitare l’intervento di potenze esterne, come l’India, che a sua volta intrattiene rapporti informali con alcuni gruppi etnici. A tal proposito, si segnala come il NUG sia stato invitato a partecipare a un evento organizzato a metà novembre dall’Indian Council of World Affairs (ICWA).

In attesa di comprendere la reale intenzione della giunta sulle elezioni, il Generale Min Aung Hlaing appare pronto a fare concessioni ai cinesi cambio di sostegno e di garanzie contro lo smembramento del Paese. Dal canto loro, invece, i gruppi ribelli potrebbero seguire le strada tracciata dal MNDAA qualora ottenessero il supporto cinese alla creazione di Stati autonomi dal potere centrale nelle zone sotto il loro controllo. Spetterà soprattutto alla Cina, dunque, provare a mediare tra le diverse anime in campo e facilitare l’emergere di una soluzione che garantisca una tregua di lungo periodo, scenario al momento ancora improbabile.

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