Il mercato dei droni in Medio Oriente: una sfida tra Cina e Stati Uniti
Gli aeromobili a pilotaggio remoto (Unmanned Aerial Vehicles – UAV) sono oggigiorno una tecnologia presente all’interno della quasi totalità dei teatri operativi. Versatilità e facilità d’uso sono due caratteristiche che rendono questi dispositivi adatti ad un ampio ventaglio di mansioni, dall’acquisizione di immagini al targeting, dalla raccolta dati agli strike mirati. La rapida diffusione di tale tecnologia in ambito militare non rappresenta più una variabile ma, piuttosto, un inesorabile trend. Nel medio termine, infatti, gli UAV andranno a costituire la spina dorsale della guerra aerea del futuro, utilizzati sia in autonomia, per compiere attacchi mirati, sia in supporto ai velivoli convenzionali di nuova generazione, destinati a diventare veri e propri centri di comando e controllo. Se, agli albori del nuovo millennio, i droni rappresentavano una tecnologia ad appannaggio esclusivo delle principali potenze militari, uniche a possedere specifiche expertise e a poter investire ingenti capitali in attività R&D, oggi raggiungono una pletora sempre più ampia di acquirenti, siano essi statuali o non-statuali.
Nell’ultimo decennio l’area mediorientale e, in misura minore, quella nordafricana, hanno assistito ad un considerevole aumento della presenza di droni militari sul proprio territorio. Le tecnologie UAV, infatti, stanno progressivamente entrando a far parte degli arsenali non solo di numerosi Paesi dell’area, ma anche di diverse milizie e gruppi armati, come testimoniano l’attacco ai danni di Al-Nusra condotto da Hezbollah nel 2014 all’interno del territorio siriano, o il recente attacco contro le infrastrutture petrolifere di Saudi Aramco a Ovest di Riyadh da parte dei ribelli Houthi.