Geopolitical Weekly n.313

Geopolitical Weekly n.313

Di Andrea Posa e Antonio Scaramella
13.12.2018

Cina

Il 12 dicembre le autorità cinesi hanno arrestato Micheal Spavor, uomo d’affari canadese che si occupa di favorire relazioni con la Corea del Nord. È il secondo arresto di cittadini canadesi in Cina dall’inizio del mese, che si aggiunge a quello dell’ex-diplomatico Michael Kovrig. Entrambi sono detenuti con l’accusa di spionaggio e potenziale minaccia alla sicurezza nazionale della Repubblica Popolare. I due arresti seguono di pochi giorni l’arresto a Toronto del Direttore Finanziario (CFO) di Huawei Sabrina Meng Wanzhou. Il fermo della donna, avvenuto in relazione a presunte violazioni da parte della compagnia cinese (attraverso la sussidiaria Skycom) delle sanzioni statunitensi contro l’Iran, sarebbe stato eseguito su richiesta degli Stati Uniti.

L’episodio, dunque, non solo ha creato forti tensioni tra Cina e Canada, ma ha inevitabilmente irrigidito il dialogo tra Washington e Pechino. La notizia dell’arresto della CFO, infatti, è giunta a poche ore dalla tregua commerciale siglata a Buenos Aires tra il Presidente statunitense, Donald Trump, e il leader cinese, Xi Jinping, che ha sospeso per 90 giorni l’innalzamento delle tariffe minacciato dalla Casa Bianca e ha aperto una finestra di opportunità per trovare un accordo tra le parti che metta un punto fermo alla guerra commerciale in corso da circa sei mesi. la vicenda di Huaewi, dunque, ha messo in evidenza l’esistenza di una competizione che va ben oltre i semplici dazi doganali, e va ad incrociare una guerra tecnologica che gli Stati Uniti vedono fondamentale non solo dal punto di vista della politica commerciale ma soprattutto per la propria sicurezza nazionale.

Mentre sia Cina che Stati Uniti sembrano essere fiduciosi sulla possibilità di un accordo commerciale, non si può dire lo stesso per quanto riguarda la questione della sicurezza tecnologica, e l’arresto di Sabrina Meng Wanzhou non è infatti casuale. Huawei è la punta di diamante dello sviluppo dell’industria 4.0 cinese, obiettivo del progetto “Made in China 2025” messo in atto dal governo di Pechino. I progetti per nuove tecnologie come microprocessori e il 5G sono visti dagli USA come un pericolo per la sicurezza nazionale, non solo in quanto priverebbero gli Stati Uniti della superiorità tecnologica, ma anche perché tale sviluppo è stato compiuto (secondo Washington) attraverso il furto di proprietà intellettuale. La supremazia tecnologica sarà probabilmente alla base dei rapporti fra le due potenze per gli anni a venire, e non possiamo escludere delle ripercussioni anche sulle trattative sui dazi doganali.

Francia

Nella serata del 11 dicembre, un attacco terroristico ha colpito la città di Strasburgo, causando la morte di 4 persone e il  ferimento di altre 12. L’attentatore Cherif Chekatt, cittadino francese di origini nordafricane, ha aperto il fuoco e accoltellato i passanti nei pressi dei famosi mercati di Natale della città prima di essere messo in fuga dall’intervento delle Forze di Polizia. Due giorni dopo, l’attentatore è stato ucciso nel corso di un conflitto a fuoco con la Polizia, che lo aveva rintracciato nei pressi di un capannone industriale nel quartiere Neudorf di Strasburgo. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico tramite l‘agenzia Amaq, anche se non sono state ancora fornite prove riguardanti l’affiliazione di Chekatt. Dunque, la rivendicazione dello Stato Islamico, come più volte accaduto in passato, potrebbe essere strumentale ad attribuirsi la responsabilità morale di un gesto autonomo ed individuale a scopi propagandistici. In ogni caso, secondo le informazioni raccolte sinora dagli inquirenti francesi, l’attentato potrebbe essere ascritto come il gesto di un cosiddetto “lupo solitario”.

Cherif Chekatt era già noto alle autorità in quanto il suo fascicolo era contrassegnato con la famosa dicitura “Fiché S”, che indica tutti coloro che potrebbero costituire un rischio per la sicurezza nazionale, compresi criminali, trafficanti, terroristi e individui con evidenti segni di radicalizzazione jihadista. L’attentatore di Strasburgo, segnalato per quest’ultima categoria, era stato condannato per più di 20 reati comuni sia in Francia che in Germania e Belgio. Durante la permanenza in carcere era stato segnalato alla Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSI) come soggetto violento, radicalizzato e potenzialmente pericoloso.

La città di Strasburgo e, in generale, tutta la regione dell’Alsazia sono state al centro dell’attività terroristica jihadista sia internazionale che autoctona. Infatti, nel 2000 era stato sventato un attentato di al-Qaeda contro i mercatini di Natale, mentre a novembre 2016 una maxi-operazione dell’anti-terrorismo francese aveva condotto all’arresto di 7 persone facenti parte di una cellula jihadista transnazionale attiva tra Francia e Germania.

Si tratta del terzo attacco terroristico avvenuto in Francia nel 2018, dopo gli attentati di Carcassonne  e Trèbes (23 marzo, 5 morti e 15 feriti) e Parigi (12 maggio, 2 morti e 4 feriti), a testimonianza della resilienza della minaccia jihadista autoctona e dell’immutato potenziale di radicalizzazione del proselitismo e della propaganda dello Stato Islamico che, nonostante l’indebolimento sostanziale patito in Siria ed Iraq, continua a mantenere alte capacità di attrazione nei confronti dei soggetti vulnerabili nelle società europee.

Yemen

Giovedì 13 dicembre si sono conclusi, in Svezia, i colloqui di pace sullo Yemen inaugurati lo scorso 6 dicembre sotto la guida dell’Inviato ONU Martin Griffiths. A differenza dei precedenti tentativi avvenuti fin dal 2015, in questa occasione le due delegazioni, quella dei ribelli Houthi e quella filo-governativa fedele al Presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, non solo hanno partecipato a trattative dirette, ma sono anche riusciti a raggiungere un accordo di massima su alcuni punti.

Innanzitutto, le parti si sono impegnate a stabilizzare la situazione nelle due principali città contese del Paese, Taiz e l’importante nodo portuale di Hodeidah. In quest’ultima è entrato in vigore un immediato cessate il fuoco, cui dovrà seguire, entro 3 settimane, il ritiro di tutte le forze Houthi e filo-governative dal centro urbano e dal porto. La gestione di Hodeidah dovrebbe quindi passare a un organismo apposito, supervisionato dall’ONU in cui ambo le parti saranno rappresentate, che avrà anche il compito di garantire l’afflusso degli aiuti umanitari e la distribuzione dei proventi del porto. Infine, l’accordo prevede lo scambio di quasi 16.000 prigionieri di guerra, circa 8.500 da parte della fazione del Presidente yemenita Hadi e 7.500 in mano ai ribelli sciiti.

Nonostante l’intesa raggiunta su tali misure permetta di costruire un capitale iniziale di fiducia reciproca, l’accordo non ha ancora affrontato i veri nodi politici alla base del conflitto, nato dalle rivendicazioni degli Houthi per una maggiore equità nell’assetto amministrativo e nella distribuzione delle risorse del Paese. Tali questioni dovrebbero essere discusse in un prossimo round negoziale previsto per fine gennaio.

Pur rappresentando un indiscutibile passo in avanti per risolvere il conflitto scoppiato nel 2015, l’accordo siglato in Svezia appare estremamente fragile. Infatti, il mancato rispetto del cessate il fuoco, o addirittura un semplice ritardo nella smobilitazione delle forze militari da Hodeidah, potrebbero compromettere la delicata struttura dell’intesa e indurre le parti a disertare i nuovi negoziati di gennaio.

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