Geopolitical Weekly n.138

Geopolitical Weekly n.138

Di Stefano Sarsale
13.02.2014

Sommario: Cina - Taiwan, Iran, Nigeria, Repubblica Centrafricana

Cina - Taiwan

L’11 febbraio si è tenuto a Nanjing, capoluogo della provincia cinese di Jiangsu, l’incontro tra il Ministro taiwanese per gli Affari Continentali, Wang Yu-chi, e il vice Ministro degli Esteri cinese, Zhang Zhijun, al termine del quale è stato istituito il primo dialogo inter-governativo ufficiale tra i due Paesi dalla fine della guerra civile del 1949. Tale storico avvenimento rappresenta il culmine di un lento e graduale processo di avvicinamento e normalizzazione delle reciproche relazioni iniziato nel 2008, anno dell’elezione del Presidente taiwanese Ma Ying-jeou, la cui agenda politica internazionale non era fortemente incentrata sull’ottenimento dell’indipendenza da Pechino.  Appare importante sottolineare come, fino ad ora, i rappresentanti dei due Paesi hanno avuto contatti solo attraverso organizzazioni non ufficiali o rappresentanti diplomatici in pensione: il governo di Pechino ha infatti evitato qualsiasi azione che avrebbe implicato il riconoscimento, anche implicito, della sovranità di Taiwan. I colloqui hanno gettato le basi per l’ipotetica costituzione di reciproche e vicendevoli rappresentanze politiche, secondo forme e modalità non ancora illustrate. Inoltre, l’incontro ha ribadito l’importanza dell’interscambio commerciale, aprendo alla possibilità di un suo futuro rafforzamento. Appare evidente quali siano i benefici che Pechino e Taiwan potrebbero trarre da una normalizzazione delle relazioni: Taiwan, grazie ai flussi di capitale cinese migliorerebbe la propria performance economica, mentre la Cina potrebbe eventualmente usufruire di una posizione taiwanese più morbida nel contesto delle rivendicazioni marittime del Mar Cinese Meridionale e Orientale.

Iran

Il 9 febbraio l’Iran ha ripreso i colloqui sul suo programma nucleare con l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA): risultato della conferenza è stata l’accettazione da parte iraniana di intraprendere 7 “passi concreti” nell’ambito della sua cooperazione con l’AIEA. In base al’accordo raggiunto, Teheran permetterà agli ispettori ONU l’accesso alla miniera di uranio di Saghand e al complesso di Ardakan, situati nella provincia centrale di Yazd. Il governo iraniano ha inoltre accettato di fornire maggiori informazioni sul reattore ad acqua pensate di Arak e sul centro laser di Lashkarabad. In ogni caso, il governo iraniano ha continuato a negare l’accesso al centro di ricerca di Parchin, dove si sospetta siano avvenuti test e simulazioni riguardanti lo sviluppo di armi nucleari. Teheran ha sempre respinto le accuse sull’impiego militare della ricerca nucleare e ha affermato che collaborerà con l’AIEA per chiarire eventuali ambiguità. Il percorso che porta ad una soluzione definitiva della questione nucleare iraniana appare ancora lontano, nonostante le recenti aperture del neo-eletto Presidente Rouhani. I negoziati bilaterali tra Teheran e l’AIEA, sono seguiti all’accordo tra Iran e il gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), dello scorso gennaio, nel quale il governo di Rouhani si è impegnato, tra i tanti punti, a ridurre il proprio stock di uranio arricchito e interrompere la ricerca e lo sviluppo sui processi di arricchimento, in cambio di una prima riduzione delle sanzioni economiche da parte di Stati Uniti e UE.

Nigeria

Il 10 febbraio il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha rimosso il suo capo di gabinetto, Mike Oghiadomhe. La notizia fa seguito alla nomina di 12 nuovi ministri avvenuta alla fine dello scorso mese, ma soprattutto alla sostituzione dei vertici delle Forze Armate, compreso il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Ola Ibrahim. Tale massiccio rimpasto governativo e dei vertici militari rappresenta la prima risposta di Jonathan alla crisi che ha colpito la propria amministrazione negli ultimi due mesi e che ha avuto una delle manifestazioni più evidenti nel passaggio all’opposizione di decine di parlamentari del PDP (People Democratic Party), il partito di governo a cui appartiene il Presidente. La crisi istituzionale nigeriana è iniziata quando Jonathan, cristiano di etnia Igbo, ha annunciato la volontà di ricandidarsi alle elezioni presidenziali del 2015, rompendo la tradizionale consuetudine di alternanza tra Presidenti musulmani, generalmente appartenenti all’etnia settentrionale degli Hausa-Fulani, e Presidenti cristiani, espressione delle etnie meridionali degli Yoruba e degli Igbo. Per riuscire nel suo intento, l’attuale Presidente avrà bisogno di una solida e ampia base di consensi nonché dell’appoggio dell’Esercito, organo dello Stato dominato dalle etnie settentrionali di religione islamica. In questo senso, la ridistribuzione delle cariche militari e ministeriali potrebbe rappresentare il primo passo verso la costruzione di un bacino di consensi funzionale ad appoggiare Jonathan alle prossime elezioni. Tuttavia, una simile azione, che ha già suscitato vive proteste negli ambienti politici e militari Hausa-Fulani e islamici, potrebbe ulteriormente radicalizzare e polarizzare il confronto tra le diverse comunità etnico-religiose del Paese, la cui convivenza e i cui rapporti sono già messi a dura prova dalle attività terroristiche da parte dei gruppi di ispirazione qaedista Boko Haram e Ansaru.

Repubblica Centrafricana

Il 10 febbraio è stata ufficializzato l’avvio della Missione Europea in Repubblica Centrafricana (EUFOR RCA), autorizzata in base alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.2134 del 28 gennaio 2014 e avente l’obbiettivo di stabilizzare il Paese e proteggere la popolazione civile dalle violenze delle milizie etniche. La missione, i cui costi si aggirano intorno ai 25 milioni di euro, andrà ad affiancare la Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine (MISCA) delle Nazioni Unite. Resta tutt’ora imprecisato il numero di militari che saranno schierati e i Paesi che parteciperanno anche se è stato confermato che alla guida ci sarà il generale francese Philippe Pontiès.

I 1.600 peacekeeper francesi presenti nel Paese dallo scorso dicembre nell’ambito della missione nazionale Sangaris, anch’essa a sostegno di MISCA, saranno integrati in EUFOR RCA. Questo passaggio permetterà alla missione del governo francese di usufruire sia della legittimità internazionale sia dalla riduzione dei costi operativi permessi dall’egida europea. EUFOR RCA evidenzia la volontà di stabilizzazione della Repubblica Centrafricana, Paese reso ingovernabile  dagli effetti del colpo di Stato di Sèlèka nel marzo 2013, da parte di tutta l’Unione Europea, preoccupata dalla degenerazione della crisi umanitaria e dalle tendenze genocidarie recentemente emerse nel contesto del conflitto.

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