Geopolitical Weekly n. 270

Geopolitical Weekly n. 270

Di Gabriella Morrone
28.09.2017

Giappone

Il 28 settembre, al rientro dalla pausa estiva, il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe ha dissolto la Camera Bassa del Parlamento e ha indetto elezioni anticipate, che si terrano il prossimo 22 ottobre. La scelta di Abe giunge in un momento in cui il suo partito di riferimento, il Partito Liberal Democratico (PLD), sta registrando una netta ripresa in termini di gradimento popolare, rispetto al principale partito di opposizione, il Partito Democratico.

La popolarità del Primo Ministro, infatti, aveva conosciuto una pesante battuta d’arresto a luglio, in seguito alle accuse di clientelismo e favoritismo avanzate dalle opposizioni. Tuttavia, nelle ultime settimane il pungo di ferro e la retorica di forza adottata dal Primo Ministro nell’ambito della crisi regionale provocata dalla minaccia missilistica e nucleare della Corea del Nord sembra aver contribuito a ricreare un clima di fiducia nei confronti del governo da parte della popolazione.

La scommessa di Abe di sciogliere anticipatamente la camera Bassa, dunque, sembra rispondere alla volontà di ottenere una nuova legittimità popolare sulla quale spingere per portare Avanti I punti più spinose dell’agenda di governo, quali la riforma finanziaria e l’amendamento dell’articolo 9 della Costituzione, necessario ad implementare quel ripensamento del ruolo delle Forze di Autodifesa Giapponesi (FAG) che il Primo Ministro sta cercando di portare avanti ormai dall’inizio del suo mandato. Fino ad oggi la volontà di conferire un ruolo più proattivo alle FAG è stato un argomento particolarmente sensibile e controverso del dibattito politico interno. Tuttavia, in un momento in cui la minaccia proveniente dalla Penisola Coreana sta mettendo in discussione la sicurezza nazionale, il governo potrebbe incontrare un maggior sostegno  popolare al processo.

Nonostante il rafforzamento dei favori da parte dell’opinione pubblica, la conferma della forza istituzionale del PLD potrebbe non essere così scontata. Un fattore di criticità in questa direzione, infatti, potrebbe essere rappresentato dalla creazione di una nuova formazione politica, Il Partito della Speranza, guidato dalla popolare governatrice di Tokyo, Yuriko Koike. Ex alleata di Abe, Koike non solo sembra volersi ritagliare uno spazio autonomo all’interno del fronte conservatore, al quale appartiene lo stesso PLD, ma sembra anche disposta ad aprire il nuovo partito ad una collaborazione di larghe intese con i partiti centristi e di opposizione. In questo contesto, l’effettiva capacità del Partito della Speranz di attingere dal bacino elettorale del LDP e di costruirsi una solida rete di alleanze trasversale allo spettro politico giapponese potrebbe impedire al partito di Abe di confermarsi come prima forza politica in Parlamento e mettere così a repentaglio lo spazio di manovra del Primo Ministro negli ultimi mesi del suo mandato.

Iraq

Il 25 settembre i curdi iracheni hanno votato per l’indipendenza nel controverso referendum indetto dal Governo Regionale del Kurdistan (KRG). Più del 92% degli elettori ha scelto l’indipendenza votando nei 2.000 seggi disposti nella Regione.

Il Presidente del Kurdistan iracheno Masoud Barzani ha affermato che questo referendum non equivale a una dichiarazione unilaterale di indipendenza: il voto è semplicemente un mezzo per avviare il processo di negoziazione che dovrebbe condurre alla secessione del Kurdistan, una prova dell’autodeterminazione dei curdi e un messaggio rivolto a Baghdad.

Il Governo iracheno ha reagito con esercitazioni militari congiunte con la Turchia al confine con il territorio curdo. Inoltre, il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi potrebbe inviare truppe nei territori disputati tra Baghdad e Erbil, ad esempio nella provincia di Kirkuk. Abitata da curdi, arabi, turcomanni e arabi, Kirkuk è anche una provincia con ingenti risorse petrolifere, situata al di fuori dei confini ufficiali della Regione Autonoma del Kurdistan ed essenziale per la fragile economia curda. Senza i proventi dei pozzi petroliferi di Kirkuk, il KRG non sarebbe neppure in grado di pagare i salari dei suoi dipendenti pubblici.

Parallelamente, il referendum ha scatenato la reazione dei vicini Turchia e Iran, che hanno apertamente espresso la loro opposizione al voto. Entrambi vedono nella creazione di uno Stato curdo nel nord dell’Iraq una minaccia alla loro stabilità interna e all’integrità territoriale. La Turchia è da tempo un partner commerciale fondamentale del Kurdistan, dal momento che il porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo, permette l’export degli idrocarburi curdi attraverso una pipeline. Pertanto, la minaccia da parte della Turchia di chiudere i confini e imporre sanzioni sulle esportazioni di petrolio costituirebbe un significativo danno sia per Erbil che per Ankara, frustrando le speranze curde di raggiungere la necessaria sostenibilità economica per dare corpo alla propria indipendenza.

Mali

Il 24 settembre, 3 peacekeeper bengalesi, parte della Missione Multidimensionale Integrata delle Nazioni Unite in Mali (United Nations Multidimensional Integrated Mission in Mali, MINUSMA), sono stati uccisi dall’esplosione di un IED (Improvised Explosive Device) lungo la strada che co0llega il villaggio di Anefis alla città di Gao, nella turbolenta regione settentrionale del Paese, dove sono tutt’ora attive le milizie jihadiste parte del network di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), di al-Mourabitun e di Ansar al-Din.

Autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 2013, MINUSMA ha l’obbiettivo di sostenere il processo di stabilizzazione del Mali a seguito dell’insurrezione tuareg e della guerra civile del 2011-2013.

Non è la prima volta che i peacekeeper di MINUSMA sono vittime di attacchi da parte delle milizie insorgenti. Infatti, lo scorso giugno, 3 peacekeeper della Guinea sono stati uccisi a seguito di un’imboscata nei pressi di Kidal,  mentre ad agosto un commando armato ha attaccato il quartier generale di MINUSMA a Timbuktu, uccidente 7 persone.

Nonostante la missione MINUSMA e l’operazione anti-terrorismo francese Barkhane, attiva dal 2014, siano riuscite a ridimensionare la portata della minaccia jihadista, il nord del Mali continua ad essere caratterizzato da una situazione si sicurezza alquanto volatile. Infatti, dal 2013 ad oggi, sono stati ben 80 i peacekeeper rimasti uccisi, rendendo MINUSMA la missione ONU più pericolosa al mondo.

Nel nord del Mali, l’attività delle milizie jihadiste rappresenta una minaccia concreta sia alla stabilità di Bamako e di tutti i Paesi della fascia del Sahel sia alla sicurezza dei cittadini occidentali qui presenti.

Per cercare di limitare l’azione dei gruppi terroristici e di insorgenza, I Paesi del Sahel hanno lanciato un’iniziativa militare congiunta, denominate G5 Sahel Joint Task Force (Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger, and Chad). Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, la G5 Sahel Joint Task Force lamenta la mancanza di adeguati fondi, criticità che potrebbe seriamente comprometterne le attività.

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