Egitto al bivio: quale compromesso per il cambiamento?
Medio Oriente e Nord Africa

Egitto al bivio: quale compromesso per il cambiamento?

Di Federica Curcio
23.03.2023

A quasi due mesi dall’entrata in vigore della legge che dovrebbe prevedere la vendita dei principali asset economici del Paese, lo Stato egiziano continua a conservare un forte controllo su tutte quelle attività ritenute strategiche. Eppure tale sforzo si rendeva necessario per poter accedere al pacchetto di aiuti finanziari da 3 miliardi di dollari per 46 mesi concesso dall’Fondo Monetario Internazionale (FMI) a dicembre 2022, in cui il Cairo si impegnava formalmente a creare condizioni di parità tra il settore pubblico e quello privato, a rafforzare il clima imprenditoriale e a ridurre il ruolo dello Stato e dell’esercito in economia e nei settori non-strategici, oltre che garantire un passaggio duraturo a un regime di tasso di cambio flessibile e implementare una politica monetaria volta a ridurre gradualmente l’inflazione. Il nuovo programma del FMI – il terzo in sei anni – è un’àncora di salvezza lanciata nel tentativo di stabilizzare l’economia egiziana nel bel mezzo dell’ultima crisi finanziaria del Paese e della pesante svalutazione della moneta locale.

Gli impegni assunti con l’FMI s’inseriscono nel framework legislativo elaborato dal governo egiziano lo scorso anno che prevede la completa o parziale fuoriuscita dello Stato da più di cento settori economici entro tre anni e l’aumento della quota di investimenti privati dal 30% al 65%. Una tale espansione del settore privato, però, sembra irrealistica per diverse ragioni. In primo luogo, un sondaggio del Price Managers’ Index (PMI) ha mostrato che negli ultimi 7 anni il settore privato egiziano si è contratto del 75%, un dato preoccupante se si considerano escluse le partecipazioni private del settore degli idrocarburi. Una situazione resa ancor più stringente dai regolamenti formali del governo, come quello approvato un mese dopo l’annuncio dell’accordo con il FMI, che di fatto ha vincolato l’iniziativa privata su 35 settori (come negozi di alimentari, chioschi e parrucchieri) al rilascio di un’autorizzazione scritta dalle direzioni di sicurezza ed al pagamento di nuove tasse.

In secondo luogo, l’economia egiziana si qualifica fortemente come un’economia militare in cui l’esercito non solo è uno dei principali fautori della politica economica del Paese bensì è anche gestore diretto di gran parte della spesa pubblica. Pertanto si presenta come un attore in forte espansione in numerosi settori altamente redditizi, come quelli della telefonia mobile e della fornitura dei servizi internet. Il FMI, recependo pienamente questa particolare condizione strutturale, ha incluso tra le imprese statali le società di proprietà militare le quali dovranno adeguarsi alla legislazione prevista per quelle del settore privato. Le azioni del governo, tuttavia, non sembrano andare in questa direzione: è recente la notizia della sospensione della vendita di una partecipazione statale del 10% di Telecom Egypt (il governo ne possiede attualmente l’80%). La crisi economica e finanziaria egiziana è in atto da molto tempo e riconducibile sia a fattori strutturali endogeni, sia a shock sistemici esterni. In quest’ultima categoria rientrano sicuramente le ripercussioni economiche della guerra in Ucraina che hanno colpito pesantemente il Paese: il conflitto, oltre a colpire il settore del turismo – che prima della pandemia da Covid-19 rappresentava il 5% del PIL – e quello delle importazioni di grano – la Russia e l’Ucraina insieme rappresentavano rispettivamente il 60% e il 25% delle importazioni di grano nel 2021 – ha esacerbato una serie di criticità già presenti nel sistema economico egiziano che dipende fortemente dal sostegno straniero, in particolare dai prestiti. La sterlina egiziana ha perso il 50% del suo valore ed è attualmente tra le valute con prestazione peggiore nell’anno corrente: durante i primi giorni del 2023 il governo l’ha deprezzata per la terza volta in meno di un anno. Quasi metà dei ricavi dello Stato servono a sostenere il suo debito che ammonta al 90% del PIL, mentre l’inflazione tra gennaio e febbraio 2023 è cresciuta del 6,1% arrivando a quota 25,8%: il tasso più alto dal 2017.

I donatori esteri (i principali sono gli Stati del Golfo) e le principali istituzioni finanziarie internazionali continuano a fornire aiuti all’Egitto timorosi del suo probabile collasso. Si tratta del Paese più popoloso del Medio Oriente, ma soprattutto di un alleato chiave dell’Occidente dunque la sua implosione potrebbe scatenare un’ondata migratoria senza precedenti attraverso il Mediterraneo. Paure concrete, ma che tuttavia conducono a sostenere un Paese che rifiuta di riformarsi e sceglie di diventare sempre più povero alimentando le tensioni sociali del suo popolo. L’unica strada plausibile per rispettare gli impegni assunti con il FMI e ricevere l’aiuto necessario passa per la de-militarizzazione dell’economia: uno strumento a cui sarà difficile rinunciare.

Articoli simili