Duello all’ultima sanzione. Il Caesar Act e la ricostruzione della Siria
Nove anni di conflitto hanno devastato la Siria, sfigurandone il tessuto sociale e urbano in modo devastante. Se la battaglia sul campo sembra essere arrivata alle battute finali, la partita apparentemente economica, ma fondamentalmente politica, riguardo il futuro del Paese e la sua ricostruzione è invece nella sua fase più accesa. Questo soprattutto a causa degli interessi dei numerosi attori coinvolti, e in special modo dopo il rimescolamento di carte rappresentato dal Caesar Syria Civilian Protection Act statunitense, entrato in vigore il 17 giugno e più noto semplicemente come “Caesar Act”.
L’atto, oltre ad essere un primo passo verso il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani compiute dal regime di Bashar al-Assad, prevede l’imposizione di nuove sanzioni al regime del Presidente siriano e a qualunque individuo o organizzazione che lo supporti o faciliti l’acquisizione, da parte di questo, di beni, servizi o tecnologie utili alle sue attività militari, al settore aeronautico, all’industria di idrocarburi siriana e al settore delle costruzioni, anche attraverso prestazione ingegneristiche, intaccando, di fatto, il processo di ricostruzione del Paese. Si tratta di sanzioni secondarie, che dunque hanno validità extra-territoriale: sono cioè applicabili a qualsiasi entità o individuo, indipendentemente dalla nazionalità, che intrattenga un certo tipo di attività commerciale o di supporto a Damasco, anche in modo indiretto. Tali sanzioni consistono nel negare l’accesso tanto al sistema finanziario quanto al mercato statunitense, che godono di un’estensione globale.