Tensioni Usa-Iran: ecco cosa rischiamo...
Se l’Iran vuole combattere, sarà la fine ufficiale dell’Iran". Il tweet di Donald Trump è lapidario. Una minaccia esplicita che sembra aprire scenari preoccupanti in Medio Oriente. Da tempo l’amministrazione guidata dal tycoon ha deciso di alzare il livello dello scontro con Teheran: prima l’uscita dall’accordo sul nucleare, poi l’imposizione di nuove sanzioni, con l’ulteriore monito ai Paesi e alle aziende occidentali a non commerciare con la Repubblica Islamica. Una situazione complessa, della quale abbiamo parlato con Francesca Manenti, responsabile del desk Asia del Centro studi internazionali (Cesi).
In quale contesto matura il tweet di Trump?
“Nell’ambito di relazioni particolarmente tese fra Stati Uniti e Iran iniziate con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Se durante l’amministrazione Obama Whashington aveva adottato una politica di netta, graduale e cauta apertura nei confronti di Teheran - come dimostra la firma nel 2015 dell’accordo sul nucleare - con il cambio di presidenza i rapporti fra le parti si sono particolarmente deteriorati. Ciò ha portato a un nuovo isolamento della Repubblica Islamica nel contesto regionale”.
Non è, tuttavia, la prima volta che gli Stati Uniti minacciano ripercussioni militari nei confronti dell’Iran, senza passare poi ai fatti. C’è il rischio che oggi possa cambiare qualcosa o lo scontro resterà confinato al piano dialettico?
“Per ora è così. Al di là dell’innalzamento del livello dei toni, entrambe le parti sono consapevoli che un’escalation militare avrebbe ripercussioni pesanti. E nonostante non ci sia paragone fra le capacità operative dei due Paesi gli effetti potrebbero essere comunque di ampia portata, basti pensare alla capacità iraniana di attivazione di tutta una serie di milizie oggi presenti in Medio Oriente, ad esempio in Iraq e Siria”.
Toni aggressivi, Trump, li aveva usati anche con Kim Jong-un prima del disgelo che ha portato al vertice di Singapore…
“E’ vero ma sono situazioni abbastanza dissimili. Nei confronti della Corea del Nord Trump ha mantenuto un atteggiamento risoluto ma finalizzato al dialogo. Quella che poteva sembrare, sino all’anno scorso, un’opzione militare si è risolta in una storica apertura che ha consentito l’incontro fra i due leader. Il filo del dialogo, in seguito, non si è mai interrotto anche se si è risolto in un nulla di fatto, visto che la road map sulla denuclearizzazione non è ancora definita. Aggiungo una cosa…”
Prego…
“Quando si confrontava con Pyongyang, Trump sapeva di aver a che fare con una potenza presumibilmente nucleare, nonostante le reali capacità nordcoreane sotto questo aspetto non siano ancora certe. Con l’Iran la situazione è un po’ diversa…”
Perché?
“Quando Trump è arrivato alla Casa Bianca l’accordo sul nucleare era già cosa fatta. L’intesa rimodulava il programma di ricerca di Teheran, che non aveva alcuna capacità atomica, pur volendo andare in quella direzione. Parallelamente l’amministrazione guidata dal tycoon ha rivisto le priorità della politica americana in Medio Oriente e questo ha reso necessaria una maggiore risolutezza nei confronti dell’Iran”.
A proposito di Medio Oriente, Washington ha annunciato che il prossimo 10 giugno svelerà i dettagli di quell’“Accordo del secolo” che, nelle intenzioni Usa, dovrebbe risolvere il conflitto israelo-palestinese…
“Lo svelamento del piano sarà, senz’altro, importante per capire le intenzioni americane in Medio Oriente. Oggi lo scenario è quello di un governo Usa molto vicino, da una parte, all’Arabia Saudita e, dall’altra, a Israele e, nel contempo, molto lontano dal processo diplomatico con l’Iran. Difficilmente il piano si discosterà da questa linea. Bisognerà poi vedere se e come questo programma sarà effettivamente implementabile. La Casa Bianca, in questi mesi, ha più volte annunciato strategie per il Medio Oriente - penso al ritiro delle truppe dalla Siria - poi rivelatisi di difficile attuazione. Un conto sono le intenzioni, un altro la loro effettiva sostenibilità”.
Come si colloca l’Unione europea in una quadro così complesso?
“Sta cercando in tutti i modi di tener fede all’accordo sul nucleare, avendo partecipato alle trattative che hanno portato alla firma. Per l’Ue quello con l’Iran è un rapporto molto importante. Innanzitutto da un punto di vista economico visto che, prima della reintroduzione delle sanzioni Usa, l’interscambio europeo con Teheran era molto importante. Il nodo, però, è l’aspetto politico…”
In che senso?
“L’uscita degli Stati Uniti dall’intesa del 2015 mette Bruxelles in una situazione complicata: quello che doveva essere un accordo multilaterale fatica a essere implementato senza gli Usa. Preservarlo è diventato difficile. E, tuttavia, l’Ue ci sta mettendo la faccia. Ha interesse ad avere relazioni distese con l’Iran ma, soprattutto, teme che l’uscita di Washington, combinata con la sua incapacità di incidere, possa gonfiare le vele delle forze ultraconservatrici presenti nella Repubblica Islamica”.
Che oggi rappresentano una minaccia Rohani…
“Teheran si era seduta al tavolo delle trattative credendo che l’intesa avrebbe portato dei benefici economici, grazie alla rimozione delle sanzioni e alla conseguente ripresa degli scambi commerciali. L’uscita degli Usa e l’imposizione di nuove sanzioni sull’export ha fatto venire meno i possibili effetti positivi sull’economia, esponendo Rohani alle critiche dell’opposizione, legata al mondo tradizionalista, da sempre contrario alle aperture nei confronti dell’Occidente”.
A questo si collegano le condizioni dettate a mo’ di ultimatum ai partner per non riprendere l’arricchimento dell’uranio?
“Esatto. Rohani vuole, da una parte, superare l’irrigidimento europeo e degli altri partner per trovare possibili soluzioni nonostante le sanzioni Usa e, dall’altra, rassicurare le opposizioni sulla bontà dell’accordo, dimostrando che Teheran non sta cedendo sovranità”.
L’Iran è uno dei principali partner strategici italiani in Medio Oriente. Che ripercussioni rischiamo?
“Rischiamo di andarci a perdere: l’Iran è un partner importante all’interno di un’area altrettanto importante. Un interlocutore economico ma anche politico. L’Italia, in questo momento, s’inserisce all’interno del solco della politica europea che, come detto, da una parte vorrebbe mantenere aperto il dialogo con l’Iran ma, dall’altra, è frenata dall’impossibilità di discostarsi dalle decisioni degli Stati Uniti. In questo discorso finiscono anche aziende del nostro Paese che, pur operando in Iran, hanno anche rapporti con gli Usa che non intendono mettere a repentaglio”.