Rouen, perché l'intelligence è impotente

Rouen, perché l'intelligence è impotente

07.25.2016

Attacchi imprevedibili e jihadismo fai-da-te: così i servizi francesi sono inermi. Anche se il killer di Rouen era schedato. Tosato del Cesi: «Più polizia in strada».

Uno dei due attentatori di Saint-Etienne-du Rouvray era un 19enne cittadino francesedi origine algerina.

Già noto alle forze dell’ordine, era stato arrestato a Ginevra il 14 maggio 2015 dopo essere stato respinto dalla frontiera turca mentre cercava di raggiungere il sedicente Stato islamico. 
**SCARCERATO A MARZO.**Scarcerato il 22 marzo 2016, era in libertà vigilata, contro il parere della procura anti-terrorismo, e aveva l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico.
Viveva con i suoi genitori e poteva uscire di casa dalle 8.30 alle 12.30.
Tempo più che sufficiente per fare irruzione nella piccola chiesa, prendere in ostaggio i fedeli, sgozzare padre Jaques Hamel, 86 anni, e ferire gravemente un’altra persona.
Non potendo partecipare da soldato al jihad nei territori controllati da Daesh, ha risposto portando la guerra a casa, nella chiesa del paese.
«SUO FRATELLO ADESSO È IN SIRIA». Un giovane musulmano di Saint-Etienne du Rouvray ha commentato con disprezzo: «È un coglione. Ha tolto la vita a gente che non c’entrava niente con le sue storie».
E ancora: «Era arrabbiato perché voleva andare in Siria e lo hanno fermato, voleva vendicarsi per essere stato in prigione. Poteva vendicarsi in prigione invece di fare una cosa così nel quartiere».
Un altro gli ha fatto eco: «Hanno provato ad andare in Siria, lui e il fratello, hanno truccato i documenti, li hanno scambiati, una cosa del genere. Ma lui è stato fermato e rimandato indietro, era furioso. Il fratello però è passato, sta là adesso».
Infine: «Dicono che manda anche foto dal campo in Siria».
LA FILIERA NEL TERRORE. Adel K., questo il suo nome, non era dunque un caso isolato.
Nonostante l’esistenza di una filiera locale del terrore fosse stata smentita a novembre 2015 dal prefetto del distretto della Seine Maritime, Pierre-Henry Maccioni, nell’area gli individui considerati a rischio erano 140, di cui 30 sotto sorveglianza particolare.

La nuova strategia Daesh: uno «spontaneismo armato» inarginabile

Resta il fatto che il terrorista fosse già schedato. Pregiudicato.
Come era già accaduto per Charlie Hebdo e per le stragi parigine del 13 novembre 2015. 
Saint-Etienne-du Rouvray segna quindi un’altra falla dell’intelligence e della polizia d’Oltralpe?
BATTAGLIA ASIMMETRICA.Francesco Tosato, responsabile desk affari militari del Centro studi internazionali (Cesi), spiega a Lettera43.it: «In Francia la realtà è complessa».
E ogni eccessiva semplificazione rischia di essere fuorviante.
I primi a parlare sono i numeri. «Gli elementi di interesse sono troppo numerosi per garantire una sorveglianza h24», fa notare Tosato.
Si parla di un rapporto 600 a 11 mila. Dove i primi sono gli uomini in forza ai servizi e i secondi i presunti terroristi.
SPONTANEISMO ARMATO. Inoltre, spiega Tosato, «siamo di fronte a una sorte di spontaneismo armato», quasi impossibile da prevedere.
In linea con gli ultimi attacchi rivendicati da Daesh. «Attentati poveri, poco dispendiosi, messi in atto affittando un tir o con dei coltelli».
E che non prevedono una pianificazione corale, una regia siriana, né l’intervento di una cellula strutturata come invece era accaduto a Parigi.
Senza contare che stiamo parlando di regioni periferiche del Paese, mentre gli sforzi si concentrano a Parigi e nelle altre grandi città.
COLPIRE OVUNQUE E CON OGNI MEZZO. «Questi attentatori si riconoscono idealmente nell’Isis, con cui non hanno un legame reale e operativo», sottolinea l’esperto. «Obbediscono alla logica del colpire ovunque con qualsiasi mezzo».
Tra l’altro, secondo alcuni testimoni, l’uomo, oltre a improvvisare sermoni in arabo, prima di colpire avrebbe gridato «Daesh».
Una bestemmia per i seguaci di Al Baghdadi, che disprezzano l’acronimo utilizzato per lo più dai loro detrattori, preferendo l’uso di Stato islamico, ad Dawla al Islamiya.

La legalità esasperata cozza con lo Stato di diritto

Se per l’intelligence era praticamente impossibile prevedere un attacco simile, la giustizia francese poteva però non concedere la libertà vigilata a un pregiudicato accusato di terrorismo.
Ma anche in questo caso i giudizi sommari e semplicistici non aiutano. Soprattutto a posteriori.
«Formalmente», si chiede Tosato, «quanti anni di galera si possono dare a chi ha l’intenzione di raggiungere la Siria e viene fermato in Turchia?».
E quanti a chi passa giornate davanti a un pc autoradicalizzandosi anche se non ha mai compiuto alcun atto di violenza?
«PRIGIONI COME PALESTRE». È questo il tema da affrontare. Avendo però ben chiari il concetto di garanzia costituzionale e il fatto che viviamo in uno Stato di diritto.
«Le prigioni francesi poi», continua Tosato, «spesso si sono rivelate palestre per aspiranti terroristi, da cui si esce laureati in jihad».
Ma non è tutto.
ESPULSIONI NON PRATICABILI. Mentre in Italia è possibile espellere chi è ritenuto un pericolo per la sicurezza perché non in possesso della cittadinanza, in Francia la questione si complica.
«Moltissimi attentatori o sospettati sono cittadini francesi, magari di seconda o terza generazione. Dove si dovrebbero espellere?».
Il problema per la Francia dunque è doppio: «Non solo è sotto pressione, ma al suo interno si nasconde il brodo di coltura dell’estremismo».

Il jihadismo fai-da-te neutralizza gli sforzi di prevenzione

La strategia adottata da questi jihadisti fai-da-te neutralizza di fatto gli sforzi dell’intelligence che invece resta l’arma più efficace per prevenire le azioni pianificate e organizzate.
Allo stesso tempo rende però «fondamentale una reazione immediata della polizia e delle forze speciali», sottolinea Tosato.
«Assodato che la sicurezza al 100% non esiste», è il ragionamento, sono due le strade da seguire: la prevenzione volta a sventare i grandi attacchi coordinati, come quelli a Charlie Hebdo e al Bataclan, e la reazione immediata per affrontare gli attacchi spontanei.
SERVE VELOCITÀ DI INTERVENTO. La parola d’ordine quindi è limitare i danni. «Intervenire velocemente significa diminuire il bilancio delle vittime».
Non a caso il governo francese ha richiamato 10 mila riservisti da affiancare alla polizia.
In Italia invece esistono unità di supporto dei carabinieri - le Api (Aliquote di primo intervento) e le Sos (Squadre operative di supporto) - e della polizia (Uopi, Unità operative di primo intervento).
«ABITUIAMOCI ALL’ESERCITO». «Ci troviamo davanti a una situazione inedita», mette in chiaro Tosato. «Per questo siamo chiamati a trovare un nuovo paradigma tra libertà civili e sicurezza, attraverso il consenso».
In conclusione, «non possiamo arrivare al livello israeliano, ma con buona probabilità dovremo abituarci a una maggiore presenza di polizia ed esercito nelle nostre città».
Il prezzo da pagare per «limitare i danni».