Proteste in Venezuela dopo il voto. L'opposizione contesta un milione di schede
Resta alta la tensione in Venezuela. Sarebbero un milione i voti contestati dall’opposizione secondo Capriles, il candidato alla presidenza che non ha ancora riconosciuto la vittoria del presidente Maduro. Solo martedì, sono stati 7 i morti, 61 i feriti e 135 gli arresti effettuati a seguito dei disordini scoppiati tra le fazioni rivali. La protesta, a colpi di pentola, non accenna a diminuire. Annullata da Capriles la manifestazione in programma per ieri a Caracas che si doveva concludere davanti la sede del Consiglio nazionale elettorale. Si può parlare di un gesto di distensione da parte dell’opposizione? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Gabriele Iacovino, esperto di Venezuela del Ce.S.I., Centro Studi Internazionali:
R. – È un primo segnale verso la distensione tra i due contendenti. Per il Venezuela, si apre un periodo di transizione dopo la morte di un leader così carismatico e così importante per la storia di un Paese come Chavez. A questo punto, è sicuramente la stessa classe politica venezuelana che deve trovare un nuovo equilibrio. Questa apertura di Capriles va sicuramente in questa direzione.
D. – Quale via di uscita per il Paese di fronte all’incertezza emersa dalle elezioni di domenica?
R. – Quando un’elezione così importante, dopo un periodo di politica portata avanti da un uomo forte, viene vinta per un margine così stretto di voti, è comunque un nuovo passo per la democrazia venezuelana. Gli scontri sono un po’ frutto di questa situazione di poca chiarezza e di riequilibrio all’interno dell’ambito istituzionale venezuelano. La stessa attività delle forze dell’ordine e la loro tenuta è stata in parte causa delle violenze nel Paese. Certo è che il dialogo tra i due candidati, tra le due parti politiche, è necessario per cercare di contenere la violenza e per portare il Venezuela verso una transizione.
D. – E’ singolare questa protesta, perché da un lato ci sono gli oppositori di Maduro, che utilizzano le pentole per farsi sentire, dall’altra invece c’è un lancio di razzi da parte dei suoi militanti. Si era già assistito a qualcosa del genere in America Latina?
R. – La storia dell’America Latina, il sentire, il calore politico dell’America Latina comunque già in passato ha avuto delle manifestazioni “sui generis”. Sicuramente, per esempio, l’utilizzo delle pentole è comunque un tratto anche “politico” di alcune manifestazioni che si sono svolte in America Latina. Ricordiamo qualcosa di simile in Argentina, ma lo scenario era assolutamente diverso. Bisogna capire – ma soprattutto i leader politici devono capire – che l’era Chavez è finita e che la democrazia in Venezuela deve passare assolutamente attraverso il dialogo.
D. – C’è la possibilità di un “effetto domino”, vista l’incertezza nel Venezuela, per altri Paesi che nell’area si accingono a nuove elezioni? Penso per esempio all’Argentina…
R. – Il contesto venezuelano è abbastanza “sui generis” perché, ripeto, queste elezioni vengono alla fine di un periodo storico importante per il Venezuela dove vi era un uomo politico – Chavez – che aveva raccolto attorno a sé non solo il potere politico, ma comunque un’immagine che travalicava i confini del Venezuela e che ha sviluppato una linea politica legata al bolivarismo poi ripresa da altri Paesi, pensiamo alla Bolivia. L’Argentina sta vivendo una fase politica diversa, assolutamente diversa, dove il contesto democratico non ha visto negli ultimi anni una personalità forte che abbia mantenuto il potere, ma la dialettica democratica è andata avanti.
D. – La Kirchner, la presidente argentina, ha chiesto agli Stati Uniti di riconoscere la presidenza Maduro per garantire la pace. Per il momento, non c’è stata risposta: questo che cosa significa?
R. – La transizione al post-Chavez è in atto e indubbiamente gli Stati Uniti giocano un ruolo in quel Sudamerica che non è più quello che, negli anni ’70, veniva definito il “giardino di casa”, ma sta assumendo un’autonomia e un’importanza sempre maggiore, non solo in politica ma anche nei palcoscenici economici internazionali. Gli Stati Uniti sicuramente dovranno agire in direzione di una normalizzazione dei rapporti con il Venezuela, anche per favorire la transizione al post-Chavez.