Mar Cinese, gli scontri politici minacciano la sicurezza
Lo scorso 6 gennaio si è verificato nel Mare cinese orientale lo scontro tra la CF Crystal, un cargo diretto verso il porto cinese di Guangdong, e la Sanchi petroliera di proprietà della National Iran Tanker Co. Una collisione che ha portato all’affondamento della petroliera iraniana, alla morte dell’intero equipaggio e al disastro ambientale, legato al trasporto marittimo di idrocarburi, più grave degli ultimi 25 anni. L’attenzione è subito stata indirizzata alla sicurezza della navigazione su queste rotte e all’impegno che i Governi dei Paesi limitrofi, dedicano alla prevenzione degli incidenti marittimi.
Attualmente le Nazioni Unite supportano nell’area due piani d’azione volti al coordinamento e alla prevenzione di incidenti marittimi. Uno è il progetto COBSEA (Coordinating Body on the Seas of East Asia) che nell’area del Mar Cinese orientale e meridionale si occupa del coordinamento di 9 Paesi ed ha come obiettivo primario la protezione dell’ambiente marino dagli effetti delle attività umane. L’altro è il Piano d’Azione per la Protezione, Management e Sviluppo dei mari e delle cose del Pacifico Nord-Occidentale, di cui fanno parte Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud. Ogni Paese ha il dovere di garantire un piano d’azione e delle risorse atte ad affrontare qualsiasi problema derivante dallo sversamento in mare di idrocarburi. Nonostante questo, gli attori interessati nella collisione, si sono dimostrati incapaci nell’affrontare la gestione della sicurezza marittima ed i problemi correlati alla sicurezza ambientale. Richard Steiner, scienziato marino e professore in pensione dell’Università dell’Alaska ha affermato che: «il Governo cinese non ha attuato un programma di monitoraggio ambientale completo per determinare quale danno nello specifico si è verificato». In parte ha giocato un ruolo importante anche la frammentazione geopolitica del quadro asiatico, lo scontro politico nel Mar cinese tra Cina, Giappone e corea del sud ha a suo modo, un peso sulla mancanza di sicurezza. Ne parliamo con Francesco Tosato Analista Affari Militari del Ce.S.I.
Come viene gestita la sicurezza marittima nel Mare Cinese relativamente al trasporto merci?
Attualmente diciamo che il Mar Cinese è una rotta importante, però in questa fase è caratterizzata da delle dispute territoriali che più che andare ad interessare le SLOC (Sea lines of communication), che sono fondamentalmente aperte quindi non rappresentano un problema, vanno ad interessare la parte dello sfruttamento delle risorse locali presenti, in particolare la pesca e le risorse idrocarburiche. Oltre ovviamente al possesso di quelli che sono gli atolli che consentono di esercitare un controllo di sicurezza nell’area. Sono proprio questi il tema delle attuali dispute, cioè la proprietà delle isole, degli atolli, e della circostante zona economica esclusiva per poterne poi sfruttare tutti i benefici. L’unico problema di sicurezza marittima che esiste si trova molto più in basso, nello stretto di Malacca, che è un’area attraversata da fenomeni di pirateria e che quindi viene normalmente pattugliata sia dagli stati rivieraschi e poi anche da unità della marina militare americana che contribuiscono a garantire la sicurezza relativa ai trasporti marittimi nelle Sea lines of communication. Però in questo momento il problema che attanaglia il Mar Cinese meridionale non è quello della sicurezza relativa al trasporto merci, bensì quello della competizione geopolitica per il controllo degli atolli e conseguentemente quello di esercitare poi il controllo sulle linee di comunicazione marittime.
Ci sono delle collaborazioni in atto tra Cina e Giappone volte a gestire la sicurezza nel Mare Cinese?
No, Cina e Giappone sono su due sponde completamente opposte, in quanto il Giappone in questo momento spalleggia le rivendicazioni dei Paesi rivieraschi, in particolare di Filippine e Vietnam al fine di permettere a questi Paesi soprattutto di incrementare le proprie capacità di guardia costiera per far si che siano in grado di difendere le proprie acque territoriali dalle incursioni e dalle rivendicazioni cinesi. La Cina considera il Mar Cinese meridionale in gran parte di sua proprietà e quindi si pone come l’unico Paese che ha il diritto di esercitare il controllo sovrano su parte delle aree del Mar Cinese meridionale. Quindi non vuole assolutamente interferenze giapponesi in quell’area.
Qual è oggi il livello di pericolosità, relativamente al trasporto merci, nel Mare cinese?
Quelle sono aree molto congestionate dal punto di vista dei trasporti navali, aree interessate da grandi livelli di traffico. Gli incidenti possono accadere fanno purtroppo parte della statistica, ma più che altro si può lavorare in termini di incrementare le capacità di soccorso dei Paesi rivieraschi, come già stanno facendo il Vietnam, le Filippine, e lo stanno facendo più in un’ottica di poter garantire un’effettivo controllo su quella che considerano la loro zona economica esclusiva. Se io considero una cosa mia e la rivendico devo anche essere in grado di esercitare all’interno di quell’area tutte le attività connesse, tra cui anche il soccorso in caso di incidente e la capacità di poter pattugliare quelle acque. Nel complesso però non possiamo parlare di una situazione degradata dal punto di vista della sicurezza marittima nel concetto di safety. Certo si può sempre fare di meglio in relazione a quelle che sono le capacità che ogni Stato può esprimere ma è in atto un potenziamento di quelli che sono gli assetti di guardia costiera nell’area. In futuro visti i trend economici di sviluppo, è pensabile che la situazione migliori anche dal punto di vista della capacità di fornire soccorso se necessario.
Il controllo sulle rotte che attraversano il Mar Cinese Meridionale, ancor più dei giacimenti sotto i suoi fondali, è la vera fonte di potere in grado di garantire sicurezza, prosperità e stabilità interna alla Cina. Quanto però un basso livello di sicurezza nel Mare Cinese, può andare ad intaccare la stabilità interna del Paese?
Il fatto che la Cina stia rivendicando in maniera così forte la gran parte del Mar Cinese meridionale e stia procedendo a militarizzarlo, è dovuto alla necessità della Cina di uscire dalla percezione di un contenimento da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, quindi soprattutto Giappone e Corea del Sud, all’interno della prima linea di isole che circonda la fascia costiera cinese. Quello che i cinesi stanno cercando di fare, è di mettere in sicurezza le proprie linee di comunicazione verso il Pacifico e poi ovviamente verso Malacca. Per cui è chiaro che attualmente è in corso da questo punto di vista una competizione soprattutto con gli Stati Uniti. Questo l’abbiamo visto non più tardi di tre settimane fa, quando un cacciatorpediniere americano, intorno alla metà di gennaio, si è avvicinato troppo ad uno degli atolli contesi del Mar Cinese meridionale e la Cina ha espresso una vibrante protesta per quella che considera una violazione della propria sovranità. Conseguentemente è chiaro che l’interesse cinese è quello di riuscire a guadagnare gli accessi allo stretto di Malacca e l’Oceano Pacifico, quindi uscire dalla prima e dalle seconda catena di isole che la circondano in assoluta tranquillità e senza la possibilità che i Paesi limitrofi possano in qualche modo bloccare i traffici commerciali o i movimenti della flotta militare cinese. Conseguentemente la possibilità di ottenere questo risultato è in cima alla lista degli interessi cinesi.
In seguito all’episodio della petroliera iraniana, ci sono le condizioni affinché le autorità cinesi, il Ministero dei Trasporti di Cina, il Giappone e Corea del Sud convochino un incontro post-intervento su Sanchi, per discutere sulle lezioni apprese e su come prevenire una ripetizione dell’evento in futuro?
Da questo punto di vista le relazioni tra Corea del Sud, Giappone e Cina relativamente agli aspetti di safety e di security marittima, sono fortemente legati alle dispute territoriali, per cui non è pensabile adesso un miglioramento sostanziale di quelle che sono le condizioni di cooperazione tra questi Paesi, in particolare tra Giappone e Cina. Come si è visto nelle scorse settimane, il Mar Cinese meridionale sta ormai diventando una fortezza cinese.
Lo scontro politico nel Mar cinese tra Cina, Giappone e corea del sud, incide sulla mancanza di sicurezza? Come?
Incide per forza perché le autorità sia politiche e poi anche le autorità tecniche, quindi le guardie costiere piuttosto che marine, anziché essere mosse da uno spirito collaborativo, sono mosse da uno spirito competitivo. Conseguentemente tutto ciò comporta il rischio di incidenti dal punto di vista militare e anche genera delle tensioni relativamente a chi deve andare ad operare per garantire la sicurezza di aree specifiche. Pensiamo per esempio alle problematiche esistenti relative alle lotte di pescherecci cinesi che violano, secondo i vietnamiti le loro acque territoriali, e al fatto che le guardie costiere dei due Paesi si confrontino in maniera assolutamente non amichevole. Quindi è anche un intervento ipotizzabile in un contesto di safety, se fosse fatto da un’unità vietnamita a favore di un peschereccio cinese potrebbe essere male interpretato. Anche nel caso della sicurezza relativa al trasporto merci si può dire la stessa cosa. Un intervento di una nave della guardia costiera vietnamita rispetto ad un’avaria o difficoltà di una nave cinese nell’area può essere male interpretato, relativamente al fatto che la Cina potrebbe ritenere che quell’intervento debba essere fatto dalle unità della guardia costiera cinese.
Cosa oggi concretamente si dovrebbe fare per inalzare il livello di sicurezza e cosa si può fare di concreto ?
Può essere sicuramente studiato un meccanismo di deconfliction tra i vari attori operanti nell’area per garantire che in casi di emergenza, come una nave in condizioni di avaria o difficoltà, la possibilità di operare in maniera coordinata evitando l’emergere di tensioni legate alle rivendicazioni territoriali. Certo è che, dato che ormai le isole artificiali cinesi sono quasi operative, e li molto probabilmente saranno basate unità della marina e della guardia costiera cinese, la Cina cercherà di organizzare questi punti di ancoraggio proprio per allargare la sua influenza anche da un punto di vista della safety e quindi dell’area di ricerche soccorso. Anche questo è un modo per manifestare la propria sovranità nell’area. Conseguentemente tutto ciò permette ai cinesi di allargare la propria influenza e di mettere in difficoltà gli altri Paesi nel poter esercitare un controllo o un supporto in missioni di soccorso. Quindi non è in questo momento facilmente prevedibile come possono essere creati dei meccanismi comuni di soccorso in quell’area, è più probabile che la Cina sia interessata a fornire in toto il sistema di soccorso proprio come forma di dimostrazione della sua sovranità.
Fonte: L’Indro