Come governo e Guardia di Finanza fanno la guerra al terrorismo
L’approfondimento di Stefano Vespa
La prevenzione antiterrorismo passa attraverso indagini serrate che portano a continue espulsioni di soggetti a rischio, il monitoraggio delle carceri e un’attenzione specifica ai mille canali, leciti e illeciti, che finanziano le organizzazioni terroristiche. Temi che si intrecciano quotidianamente e che sono stati al centro di due diversi appuntamenti nella stessa giornata del 2 febbraio.
IL RISCHIO CARCERI
Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha fornito un quadro preoccupante durante l’audizione dinanzi alla commissione Affari costituzionali della Camera. I detenuti monitorati sono 393 di cui 175 “a forte rischio di radicalizzazione”, ha detto il ministro. Se si considera che il 30 novembre scorso il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri in un convegno dei Carabinieri parlò di 371 detenuti sotto controllo, significa che in due mesi sono aumentati di 22 unità, un trend allarmante. La maggioranza dei detenuti monitorati viene dalla Tunisia (115), dal Marocco (105) e dall’Egitto (27). Inoltre 14 soggetti sono nati in Italia, di cui tre con cognome di origine straniera. Anche se 130 detenuti non hanno dato segnali di radicalizzazione, restano ugualmente sospettati e osservati mentre, ha detto Orlando, “88 soggetti, non ancora classificati come radicalizzati, hanno manifestato concreti e ripetuti atteggiamenti, anche in occasione di gravi attentati, che fanno presupporre vicinanza all’ideologia jihadista e quindi propensione alla attività di proselitismo e reclutamento”. La popolazione carceraria è di 55.381 detenuti, di cui 18.825 stranieri, pari al 34 per cento. I professanti musulmani sono circa 7.500 e gli imam 157. Orlando ha poi annunciato che si sta pensando di utilizzare anche le colonie agricole per l’esecuzione della pena in modo da prevenire rischi di radicalizzazione con il lavoro.
LUPI SOLITARI ED ESPULSIONI
Nell’audizione Orlando, oltre a confermare la presenza di possibili lupi solitari o “loneactors” (come li ha definiti) teoricamente in grado di agire in Italia o nel Medio Oriente, ha aggiunto particolari non del tutto noti citando i risultati di alcune inchieste che “hanno rivelato la presenza sul nostro territorio di frammenti di gruppi organizzati attivi in Nord Africa, Medio Oriente o nel sub-continente indiano” e di “una scena jihadista autoctona, caratterizzata da elementi di forte eterogeneità sia nei profili demografici che nelle dinamiche di mobilitazione, sviluppatasi in parallelo all’affermarsi del fenomeno dello Stato islamico”.
Infatti, di situazione “particolarmente difficile” ha parlato Lamberto Giannini, direttore centrale della Polizia di prevenzione e in quanto tale presidente del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, intervenuto alla Scuola di polizia tributaria della Guardia di Finanza (comandata dal generale Giancarlo Pezzuto) al convegno sulla prevenzione e il contrasto ai canali di finanziamento del terrorismo. La maggiore difficoltà nasce proprio dall’approssimarsi di una sconfitta militare dell’Isis che, ha detto Giannini, “accresce la minaccia per l’Europa e il nostro territorio” ricordando un esempio fatto anche in passato, quello del foreign fighter pronto a combattere in Siria e fermato da un emiro il quale, con un messaggio audio Whatsapp, gli disse che sarebbe stato più utile attaccare “gli infedeli” dove sono. Giannini ha anche rivendicato la politica delle espulsioni di soggetti pericolosi, individuati dopo lunghe e dettagliate indagini, che non possono essere arrestati perché non arrivano al tentativo di compiere un atto e che però sono fortemente a rischio. Va ricordato, a questo proposito, che dal 29 dicembre sono state espulse ben nove persone (cinque tunisini, due marocchini e due pakistani), per un totale di 140 dal gennaio 2015. Un’attività che coinvolge tutte le forze dell’ordine e l’intelligence, con un coordinamento che riguarda “anche gli investimenti per le tecnologie e per la valorizzazione degli uomini con la creazione di specialisti”, come ha rilevato Matteo Piantedosi, vice capo della Polizia che si occupa proprio di coordinamento e pianificazione.
ATTENTATI “ECONOMICI”
Quanto costa un attentato? “Oggi possono bastare da 1.000 a 1.500 euro”, ha spiegato il sostituto procuratore antimafia e antiterrorismo Antonio Laudati al convegno organizzato dalla Finanza mentre in un documento di al-Qaeda che fu trovato dai servizi segreti americani si calcolavano 4.200 dollari. Se in Italia o in Europa parliamo di “zakat” pochi capiscono, eppure è un fondamentale precetto del Corano che i terroristi applicano sotto forma di contributo non volontario a un’attività: Laudati l’ha definita “una via di mezzo tra una donazione e un’estorsione” rivolta alla popolazione islamica, una miriade di piccole somme che arriva in Olanda e in Gran Bretagna da dove viene distribuita in vari paesi.
Le segnalazioni su operazioni sospette sono aumentate di sei volte negli ultimi due anni e Claudio Clemente, direttore dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, ha specificato che “sono 741 quelle classificate, anche se non tutte fondate”, con somme inferiori a 50 mila euro e concentrate a Milano, Brescia e Roma. Un numero rende l’idea del fenomeno: sono 30 mila i soggetti potenzialmente legati al terrorismo al centro di indagini finanziarie in tutto il mondo, nomi che, con lo scambio di informazioni, sono a disposizione anche dell’Unità di Bankitalia.
NORMATIVA E SCARSA COLLABORAZIONE
E’ vero che le segnalazioni che arrivano alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, incrociate con il database della Dna, migliorano la conoscenza del fenomeno, ma il procuratore Franco Roberti ha lamentato la perdurante assenza di una vera collaborazione internazionale con la quale Caterina Chinnici, magistrato ed europarlamentare, si scontra quotidianamente. Chinnici ha aggiunto che anche “le frodi transnazionali dell’Iva sono utilizzate per finanziare il terrorismo” e che resta indispensabile una procura europea, come rilanciato anche dal ministro Orlando in quell’audizione. Tra i tanti modi di finanziamento, quello attraverso certe Onlus è forse uno dei più nascosti, un fenomeno di cui si è presa coscienza solo da poco. La professoressa Paola Severino, rettore della Luiss, ha infatti ricordato che quando da ministro della Giustizia del governo Monti andò a Mosca rimase colpita negativamente dalla normativa anti-Onlus lì in vigore: “Oggi non mi stupisco più” ha ammesso. Anche in Italia ci sono controlli sul no profit: il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto Operazioni della Guardia di Finanza, ha spiegato che nel 2015-2016 sono stati effettuati mille controlli su organizzazioni no profit, normali controlli fiscali che però consentono di verificare eventuali tracce sospette.
Tra i vari modi di finanziamento, va detto che il welfare applicato dall’Isis nel territorio che controlla in realtà è il minimo indispensabile. Giuseppe Maresca, capo della Direzione prevenzione utilizzo sistema finanziario per fini illegali del ministero dell’Economia, ha spiegato infatti che in quelle aree “meno del 20 per cento delle tasse imposte è reinvestito nell’assistenza alla popolazione. E’ una vera spoliazione” perché il rimanente viene utilizzato in guerra o in atti di terrorismo.
PIÙ CONTROLLI SUI FINANZIAMENTI
Al convegno moderato da Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, il comandante della Guardia di Finanza, Giorgio Toschi, ha ricordato un’importante novità in vigore dal 1° agosto scorso e che ha voluto subito dopo la sua nomina: il Gift, Gruppo investigativo finanziamento terrorismo, inserito nel Nucleo speciale di Polizia valutaria, cui si sono aggiunte recentemente le Sift, Sezioni investigative per ora in seno ai nuclei di Polizia tributaria di Milano, Roma e Napoli e che presto nasceranno anche altrove. Quella ai finanziamenti del terrorismo è una lotta nascosta eppure fondamentale: come ha detto Juan Manuel Vega-Serrano, presidente del Gafi/Fatf (il Gruppo di azione finanziaria, organismo intergovernativo che si occupa anche di questo), “uccidere costa poco”.