Afghanistan: violenze alla vigilia della Conferenza dei donatori
Un escalation di violenze si è registrata oggi in Afghanistan: i talebani hanno attaccato la città di Kunduz, mentre due attentati, non rivendicati, sono avvenuti Kabul e nel distretto di Darzeb. Resta forte l’instabilità nel Paese, alla vigilia della Conferenza, a Bruxelles, dei Paesi donatori, cui parteciperanno il Presidente Ghani e i rappresentanti di 70 Paesi. Il servizio di Elvira Ragosta:
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Un anno dopo aver preso per breve tempo il controllo di Kunduz, i talebani hanno sferrato un nuovo attacco alla città afghana capoluogo dell’omonima provincia settentrionale, provocando la reazione dell’esercito intervenuto con raid aerei in periferia. Secondo i media locali alcuni talebani avrebbero cercato riparo nelle abitazioni civili. Intanto,il gruppo annunciano di aver ripreso il controllo del distretto di Nawa nella provincia meridionale di Helmand. In mattinata, poi una biciletta bomba è esplosa nella capitale Kabul: l’ordigno, per il quale non è ancora giunta rivendicazione, è stato azionato al passaggio del personale del ministero della Difesa e ha provocato la morte di 2 persone. Un altro attentato è avvenuto nella provincia settentrionale di Jawzjan, dove una bomba esplosa in un bazar ha causato un bilancio ancora provvisorio di sei morti e decine di feriti. Alla vigilia della due giorni di conferenze a Bruxelles tra i Paesi donatori dell’Afghanistan resta fortissima l’instabilità nel Paese. ** Francesca Manenti**, analista del Centro Studi Internazionali
R. – L’instabilità all’interno del Paese testimonia come la situazione sul campo in questo momento sia ancora fortemente instabile, e veda l’insorgenza talebana prendere sempre più il controllo dei distretti e delle importantissime vie di comunicazione: non solo delle tradizionali roccaforti del sud - quindi la provincia dell’Helmand - ma anche Kandahar e Oruzgan, che si trova leggermente più a nord; e andare ad insidiare la stabilità anche di quelle aree, di quelle province settentrionali del Paese, che invece strettamente hanno sempre conosciuto una maggiore presenza di quelle forze che si sono poi sempre opposte all’insorgenza talebana. È una situazione in cui, all’insorgenza e all’attività dell’insorgenza, si vanno ad aggiungere quelli che possono poi essere degli attentati, magari non rivendicati direttamente dai Talebani, come quello per esempio di Kabul, ma che sono comunque posti in essere da gruppi che si trovano in opposizione al governo del presidente Ghani, che non fanno probabilmente diretto riferimento alla leadership politica dei Talebani, ma comunque cercano di porre in essere un’attività di destabilizzazione interna.
D. – Potrebbe esserci un legame tra i fatti di oggi e l’accordo di pace raggiunto dal Presidente Ghani con il leader di Hezb-e-Islami, Hekmatyar, l’ex Signore della guerra?
R. – È difficile poter vedere un legame diretto, ma è senz’altro sintomatico quello che è accaduto oggi: nel senso che l’insorgenza talebana, che fa riferimento a quella che è sempre stata definita la leadership - la Shura di Quetta - non riconosce il gruppo di Hekmatyar come parte integrante del proprio movimento. E dunque la firma dell’accordo di pace della settimana scorsa non ha riguardato direttamente le attività dei Talebani. Non è da escludere che la decisione, o comunque l’offensiva che si è sviluppata nelle ore scorse, possa essere anche un segno di forza di quei Talebani che combattono sul terreno e che non sono disposti in questo momento a replicare quello che è stato fatto da Hekmatyar e il suo gruppo, e ad aprire un tavolo di dialogo con il governo di Kabul senza avere la certezza di poter ottenere delle forti concessioni.
D. – Intanto domani si apre a Bruxelles una Conferenza di due giorni sull’Afghanistan; sarà co-presieduta dal presidente del Consiglio europeo, Tusk, e dal Presidente afghano Ghani: tra i temi c’è il supporto finanziario al Paese per i prossimi quattro anni. Allora cosa c’è da aspettarsi da questa Conferenza?
R. – Sicuramente il Presidente Ghani cercherà di riscuotere ancora una volta il consenso della comunità internazionale, e di convincerla ad investire ed aiutare l’Afghanistan, Paese che comunque si trova ancora in gravi difficoltà economiche. Infatti, l’instabilità interna, a cui purtroppo siamo stati abituati in questi anni ad assistere, sta minando alle basi la possibilità del governo di formulare una strategia che sia di medio o lungo termine. Ancora una volta la firma dell’accordo di pace dei giorni precedenti può essere una carta che il governo afghano si spenderà nella conferenza che si apre domani, per cercare di dare un segnale e di lanciare un messaggio di come il governo sia intenzionato a ripristinare delle condizioni di sicurezza e di stabilità all’interno del Paese. Ciò riportando all’interno di quella che dovrebbe essere una dimensione di istituzionalizzazione di tutte le parti in causa, anche aprendo al dialogo con i gruppi di opposizione.
D. – A proposito di questo, quanto è lungo il cammino della pacificazione in Afghanistan?
R. – È molto lungo e al momento molto impervio, perché il panorama dell’insorgenza in Afghanistan non è un panorama univoco. Se il Presidente Ghani è riuscito a firmare un accordo di pace con il gruppo di Hakmatyar, altrettanto di successo non sono stati in questi anni i tentativi di aprire un dialogo di pace con i Talebani. Questi ultimi in questo momento rappresentano senz’altro la forza preponderante di insorgenza all’interno del Paese.