Yemen: le parti in guerra rinnovano la tregua di due mesi
Middle East & North Africa

Yemen: le parti in guerra rinnovano la tregua di due mesi

By Giuseppe Dentice
08.04.2022

Martedì 2 agosto, quasi in extremis, tutte le principali fazioni coinvolte nella guerra in Yemen hanno prorogato di ulteriori due mesi la deadline della tregua in corso nel Paese dallo scorso 2 aprile. Dopo un negoziato difficoltoso e non privo di colpi di scena, le parti hanno trovato un’intesa per estendere la tregua e provare ad allargare i nodi delle trattative, almeno, entro la nuova data del 2 ottobre. Benché la proroga dei termini rappresenti un fattore per lo più positivo, i tentativi di ampliare le misure dell’accordo per favorire la definizione di un vero e proprio cessate-il-fuoco permanente, tuttavia, sono ad oggi falliti a causa dei numerosi veti incrociati. A dividere le parti è stata soprattutto la mancanza di unitarietà circa le modalità con cui dar vita ad un processo di pace inclusivo.

Se il merito maggiore dell’intesa di aprile tra governo legittimo yemenita, Consiglio di Transizione del Sud e, informalmente, le milizie Houthi (le quali hanno mantenuto un atteggiamento ondivago rispetto all’accordo stesso) è stato quello di bloccare almeno temporaneamente tutti i maggiori combattimenti in corso nel Paese, comprese le offensive aeree e marittime da e verso lo Yemen – lasciando però aperti alcuni focolai, seppur su bassa intensità, nell’area nevralgica di Marib –, ad oggi la tregua non ha conosciuto alcun tipo di implementazione. Infatti, i nodi principali legati alla guerra (ruolo e ambizioni dei gruppi armati, rivendicazioni territoriali e di governance, i nessi sociali ed economici collegati agli aspetti più precipuamente finanziari) sono rimasti inevasi e senza una reale volontà delle parti nel progredire verso alcun compromesso. Tutto ciò nonostante si sia registrato un importante sviluppo nel fronte lealista che ha visto il trasferimento di poteri dal Presidente ad interim Abdu Rabbu Mansour Hadi a Rashad al-Alimi, a capo del Consiglio Presidenziale costituito da otto membri – espressione più o meno velata delle volontà saudite ed emiratine – e incaricato di negoziare un cessate-il-fuoco permanente con gli Houthi, gestire la transizione verso l’elezione di un nuovo Capo dello Stato e garantire l’assistenza minima da un punto di vista di welfare alla popolazione.

Di fatto, le problematiche irrisolte non solo hanno acuito la già tragica condizione sociale ed economica che ha colpito la popolazione, ma hanno prodotto un pericoloso stallo tattico pronto a riesplodere in tutta la sua violenza a seconda delle circostanze interne (in parte collegate alle clausole dell’intesa di aprile e alle tensioni molteplici mai totalmente placate) e delle numerose interferenze esterne (riconducibili al doppio binario delle trattative tra Arabia Saudita e Iran e al discorso sul JCPOA) che possono impattare in maniera considerevole le prospettive presenti e future del conflitto.

Il tutto senza dimenticare il fronte umanitario. Infatti, la guerra (iniziata nel 2014 prima di conoscere la sua attuale conformazione dal marzo 2015) ha innescato quella che le Nazioni Unite hanno definito come la peggior catastrofe dalla Seconda Guerra Mondiale, con oltre 4 milioni di sfollati e 19 milioni di persone che si trovano ad affrontare carenze alimentari, di cui 160.000 sull’orlo della carestia.

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