Una nuova fase nei rapporti bilaterali tra EAU e Turchia?
Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nahyan, Principe ereditario e Ministro della Difesa, nonché deus ex machina in molte delle dinamiche interne ed esterne agli Emirati Arabi Uniti (EAU), ha annunciato che incontrerà per la prima volta dopo dieci anni il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il prossimo 24 novembre. La dichiarazione è avvenuta a seguito di una cordiale telefonata tra i leader, i quali hanno anche stabilito un’agenda di massima sui temi oggetto del prossimo incontro. Il meeting, infatti, dovrebbe vertere principalmente sull’incremento della cooperazione in materia economica e commerciale, oltre a discutere di possibili piani di investimento emiratini in Turchia. L’incontro si colloca in un periodo di graduale distensione tra i due Paesi iniziato ad agosto di quest’anno, facendo sperare che il decennio di conflittualità che ha caratterizzato i rapporti tra le parti possa volgere al termine. L’origine degli attriti risale allo scoppio delle Primavere Arabe, dove Ankara e Abu Dhabi si sono trovate su fronti opposti delle rivolte. Dal 2011 in poi il contrasto ideologico ha fatto spazio a quello geopolitico e i due attori si sono sfidati in diversi teatri regionali (come nel Mediterraneo Orientale o nel Mar Rosso), o alimentando le proxy wars in Libia, Siria e Yemen. Le tensioni si sono ulteriormente esacerbate in seguito a due precisi eventi: da un lato il tentato golpe ai danni di Erdoğan del luglio 2016, che ha visto il leader turco accusare, tra gli altri, anche Abu Dhabi di coinvolgimento con i golpisti; dall’altro la normalizzazione delle relazioni bilaterali tra gli EAU ed Israele nell’ambito dei cosiddetti “Accordi di Abramo” (agosto 2020). L’ambizione emiratina in politica estera ha spesso limitato qualsiasi forma di riavvicinamento, proprio perché la Turchia veniva vista come ostacolo alla creazione di un ordine regionale conforme ai desideri degli EAU. I motivi di collisione hanno trovato una tale estensione da permeare non solo le relazioni tra i due Stati in questione, ma anche quelle tra i blocchi saudita-emiratino-egiziano da un lato, e turco-qatariota dall’altro. Il processo di de-escalation ha trovato una sua prima forma nell’incontro a sorpresa, avvenuto in agosto, tra Erdoğan e Sheikh Tahnoon bin Zayed al-Nahyan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale emiratino. Questo evento ha quindi portato successivamente ad una conversazione telefonica tra i leader dei due Paesi. La telefonata avrebbe aperto una nuova fase nei rapporti bilaterali, lasciando congelati gli aspetti più propriamente politici in favore di un riallineamento dei rispettivi interessi economici e commerciali. Gli EAU stanno infatti realizzando ingenti investimenti in alcuni settori strategici turchi come quello sanitario, industriale e di trasformazione alimentare, consentendo alle compagnie emiratine di estendere la propria influenza nelle aree sopracitate. Per quanto concerne il comparto energetico, Abu Dhabi sta finanziando numerosi progetti green volti alla diversificazione economica, e Ankara sembra propensa a favorire tali investimenti poiché funzionali al risollevamento della propria economia. Le motivazioni che avrebbero spinto il riavvicinamento tra i due Stati risiederebbero nell’aumento del livello di inflazione legato alla pandemia da Covid-19 che sta vivendo la Turchia, e nella necessità degli EAU di diversificare ulteriormente il sistema energetico nazionale in favore di nuove opportunità di business. Al di là delle questioni prettamente economiche, la distensione deriverebbe anche da fattori congiunturali più ampi come l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Difatti, Ankara non detiene più l’ampio spazio di manovra che possedeva durante la Presidenza Trump, come testimoniato anche di recente dalle sanzioni statunitensi alla Turchia per l’acquisto dei sistemi di difesa aerea russi S-400. Dal proprio canto, Abu Dhabi vuole sfruttare il contesto mutevole e in via di riallineamento per garantirsi stabilità e nuove opportunità nella regione, specie quanto il disimpegno USA sarà definitivo. Coerentemente a questi nuovi propositi in politica estera e analogamente allo schema turco, gli EAU invieranno nelle prossime settimane in Iran Tahnoon bin Zayed con il chiaro compito di costruire un framework minimo di lavoro volto ad allentare le tensioni tra le parti e a costruire un clima di reciproca fiducia con lo scopo di progredire verso uno status quo più sostenibile e vantaggioso. La visita potrebbe anche annunciare un ulteriore impegno commerciale tra Abu Dhabi e Teheran, spianando difatti la strada per una sempre maggiore normalizzazione delle relazioni. Ecco, dunque, che la Turchia, così come l’Iran, non si configura più come un ostacolo prioritario, ma possono essere interpretati come opportunità per migliorare la posizione degli EAU nell’area MENA, precedentemente messa a repentaglio da strategie di politica estera aggressive. L’interscambio economico e commerciale potrebbe determinare quindi un effetto spill over in grado di favorire un incrementale riavvicinamento politico e diplomatico. Tuttavia, i due Paesi continuano a mantenere forti divergenze geopolitiche e strategiche che potrebbero limitare le aree di cooperazione. Al momento, infatti, Erdoğan e Mohammed bin Zayed sembrano volersi focalizzare sulle opportunità finanziarie e il rafforzamento del commercio bilaterale, preferendo non trattare di questioni politicamente controverse. Tuttavia, si sta smuovendo qualcosa anche sul fronte politico regionale, dato che gli EAU, tra i principali sostenitori del Generale Khalifa Haftar in Libia, stanno iniziando a supportare pubblicamente il Governo di Unità Nazionale (GNU), avvicinandosi di fatto alle posizioni della Turchia in politica internazionale. Allo stesso modo, gli EAU sono stati in grado di riposizionarsi abbastanza velocemente anche sul teatro siriano, altro scenario strategico dalle trame complesse, nel quale Abu Dhabi e Ankara giocano una partita a scacchi. Nonostante, dunque, i diversi dissidi, l’incrementale collaborazione sta portando le due potenze ad assumere toni meno assertivi volti a favorire al contempo un più ampio processo di de-escalation e di riequilibri regionali.