Sri Lanka: dopo le elezioni quali prospettive per il Paese
Il 21 settembre scorso si sono tenute le elezioni presidenziali in Sri Lanka, prima chiamata alle urne per la popolazione dell’isola dopo l’Aragalaya (traducibile con “la lotta”), ossia la serie di accese proteste che nel 2022 provocarono la fine del regime di Gotabaya Rajapaksa e la fuga del leader dal Paese. Da allora, lo Sri Lanka è stato guidato da Ranil Wickremesinghe, leader dello United National Party (UNP), il quale si è trovato a gestire una situazione economica critica, con il Paese costretto al default sul debito estero e obbligato a ricorrere al soccorso del Fondo Monetario Internazionale (FMI) per risolvere, tra le altre cose, i forti squilibri della bilancia dei pagamenti.
Il voto, svoltosi senza particolari incidenti, ha consegnato lo Sri Lanka ad Anura Kumara Dissanayake, leader del Janatha Vimukthi Peramuna (JVP), partito di impostazione marxista e protagonista di diverse campagne insurrezionali tra gli anni ’70 e ’80. A rendere possibile l’affermazione di Dissanayake è stata la creazione della coalizione del National People’s Power (NPP), contenitore all’interno del quale il leader ha diluito negli anni le istanze più radicali del JVP, trasformandolo di fatto in un partito progressista. La NPP si è imposta grazie a una campagna elettorale incentrata sul tema della lotta alla povertà crescente, attraverso proposte come l’aumento della soglia di esenzione dall’imposta sul reddito e l’eliminazione dell’IVA su prodotti sanitari e alimentari, oltreché alle promesse di lotta senza quartiere alla corruzione strutturale insita nel sistema srilankese. Nel complesso, il voto è apparso come una sorta di referendum sul Governo e sulle condizionalità imposte dal FMI. Non a caso i candidati più votati, ossia Dissanayake e Premadasa, si sono distinti per le forti critiche nei confronti delle misure di austerità imposte dall’ormai ex Presidente Wickremesinghe, come l’eliminazione dei sussidi sull’elettricità. A Premadasa, tuttavia, non sono bastati i voti raccolti tra le minoranze, con quote importanti vicine al 40% dei consensi nelle aree a maggioranza Tamil, contro il forte consenso ottenuto da Dissanayake tra la maggioranza singalese, che gli ha garantito il successo.
In segno di discontinuità con il passato, non appena salito al potere, Dissanayake ha nominato la prima donna Primo Ministro dello Sri Lanka non proveniente da una delle famiglie che dominano la politica dell’isola, ossia Harini Amarasuriya. Parallelamente, il neopresidente ha nominato un musulmano, Hanif Yousuf, come governatore della provincia occidentale più popolosa dello Sri Lanka, mettendo di fatto fine a quell’ondata di sentimento anti-islamico che ha caratterizzato la politica dell’isola dopo gli attacchi terroristici della Pasqua del 2019, perpetrati da miliziani vicini allo Stato Islamico. Successivamente, il neopresidente, come da attese, ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni per il prossimo 14 novembre, così da poter sfruttare l’inerzia e garantirsi il supporto della maggioranza.
Tuttavia, la principale sfida che caratterizzerà la presidenza di Dissanayake è proprio quella del rilancio economico del Paese, non più in crisi ma comunque lontano da una condizione di stabilità. Infatti, malgrado l’azione della presidenza Wickremesinghe abbia facilitato la stabilizzazione dell’inflazione e della rupia, i salari reali del Paese sono ancora al di sotto dei livelli pre-crisi, mentre il tasso di povertà è raddoppiato negli ultimi anni. In particolare, il neopresidente potrebbe provare a spostare in parte proprio sui creditori esterni il peso delle difficoltà economiche del Paese, alleviando così la pressione sulle classi sociali in difficoltà. Tuttavia, lo Sri Lanka ha già effettuato importanti ristrutturazioni del debito con la Ex-Im Bank cinese e con altri creditori quali India e Giappone, non è chiaro dunque quale sia l’effettivo spazio di manovra del nuovo Governo. Proprio pochi giorni prima della chiamata alle urne, le autorità dell’isola hanno anche concluso un accordo con investitori privati per ristrutturare 12,5 miliardi di dollari di obbligazioni internazionali, necessario per spianare la strada al rilascio della quarta tranche di fondi di salvataggio del FMI. In questo quadro, Dissanayake dovrà trovare un equilibrio tra le richieste della sua base elettorale, che chiede una revisione degli accordi con il FMI, e le richieste dei creditori senza il cui sostegno lo Sri Lanka potrebbe entrare nuovamente in crisi, con conseguenze nefaste per la nuova maggioranza.
Allo stato attuale, secondo le previsioni del FMI, il rapporto debito/PIL dello Sri Lanka dovrebbe scendere dal 128% del PIL nel 2022 a poco più del 100% nel 2028, con costi del servizio del debito che rimarranno tuttavia elevati. Altra sfida per il nuovo Presidente consisterà nel provare ad ampliare il gettito fiscale in percentuale del PIL, poiché lo Sri Lanka si attesta oggi attorno all’8%, contro una media del 15-20% tra i Paesi che presentano simili caratteristiche economiche. Anche l’eccessiva dipendenza dall’estero per i beni di prima necessità e il rilancio dell’industria nazionale saranno tra i temi al centro dell’azione di Governo, così come l’attrazione di investimenti esteri nei settori strategici della portualità e delle rinnovabili. A tal proposito, si segnala il piano di investimento USA di circa 553 milioni di dollari per contribuire allo sviluppo di un terminal nel porto della capitale Colombo, mentre l’indiana Adani Group, oltre alla portualità, guarda con sempre maggiore interesse al settore dell’eolico con progetti di sviluppo nel nord, tra Mannar e Pooneryn.
Nel contesto della competizione regionale tra Cina e India, il successo di Dissanayake genera qualche preoccupazione a Nuova Delhi. Tradizionalmente, infatti, il JVP di Dissanayake si è distinto per le posizioni anti-indiane, anche se il neopresidente ha cercato proprio in tempi recenti di rivedere questa postura recandosi in India, nel febbraio 2024, per incontrare e rassicurare il Ministro degli esteri S. Jaishankar e l’influente Consigliere per la sicurezza nazionale, Ajit Doval. Tuttavia, sono note in India le posizioni della NPP, coalizione che in passato si è opposta alle mosse del gruppo Adani nell’isola. In quest’ottica, è lecito attendersi che le autorità indiane valuteranno con attenzione l’atteggiamento che la nuova classe politica srilankese assumerà, tanto nei confronti degli interessi indiani, quanto su quelli del rivale cinese. Allo stesso tempo, Nuova Delhi continuerà anche a promuovere la maggiore autonomia alle aree a maggioranza Tamil, in linea con il 13simo emendamento della Costituzione.
Al momento, comunque, appare improbabile che l’India non investa sul futuro dell’isola anche perché i rapporti con l’immediato vicinato, su tutti Nepal e Bangladesh, non sono dei migliori in questa fase e il Paese non può permettersi di “perdere” un altro attore tradizionalmente amico, perdipiù nell’Oceano Indiano, area di maggiore pressione cinese. Allo stesso tempo, la posizione più defilata della Repubblica Popolare Cinese, apparentemente concentrata sulle Maldive e senza dubbio insoddisfatta del risultato degli investimenti effettuati sull’isola ai tempi dei Rajapaksa, lascia ampio margine di manovra agli indiani che verrà verosimilmente sfruttato già nei prossimi mesi.