Risultati e possibilità nel post-voto in Libano
Il 15 maggio si sono tenute le elezioni legislative in Libano. Nonostante le difficoltà che il Paese sta attraversando ormai da diversi anni, il governo del Primo Ministro Najib Miqati è riuscito a organizzare la tornata elettorale che ha portato alla nomina dei nuovi 128 rappresentanti del Parlamento unicamerale libanese. Tutto ciò avviene in un momento di profonda crisi per il Paese dei Cedri. Dal 2019 le proteste contro la crisi economica, sociale e politica si susseguono su tutto il territorio nazionale. La pandemia da Covid-19 ha accentuato una crisi economico-finanziaria che ha definitivamente messo in ginocchio la popolazione: oltre il 70% di essa vive sotto la soglia della povertà, il potere di acquisto delle fasce medie e basse si è ridotto del 90%, il debito pubblico è salito al 170% del PIL, comportando di conseguenza anche la svalutazione della lira libanese.
In questo contesto, le elezioni sono state osservate con grande interesse sia a livello nazionale sia internazionale. I principali schieramenti politici della scena libanese hanno intravisto in questa tornata una potenziale occasione per rafforzare le proprie posizioni e i legami clientelari tipici del sistema politico locale. Tuttavia, i risultati delle votazioni hanno fornito esiti in parte inattesi. La coalizione di maggioranza guidata da Hezbollah e Amal ha ottenuto 58 seggi contro i 71 delle elezioni del 2018; i partiti dell’opposizione hanno anch’essi perso seggi rispetto alla precedente tornata elettorale, passando da 56 a 47. A sorprendere sono stati i risultati ottenuti dai candidati indipendenti: a fronte del singolo seggio ottenuto nel 2018, quest’anno sono stati in 16 ad aver avuto un posto in Parlamento, indice di una voglia di cambiamento e di rinnovamento di un sistema politico percepito sempre più corrotto e stagnante. Bisogna anche analizzare dove sono avvenute queste vittorie. I candidati indipendenti sono riusciti a scalzare gli avversari, sostenuti dai partiti tradizionali, in quelle che erano considerate le roccaforti sia della maggioranza che dell’opposizione.
A livello nazionale questi risultati hanno evidenziato una maggiore eterogeneità rispetto al 2018, nonché una concreta perdita di consenso della narrazione propagandistica filo-iraniana che in questi anni ha avuto un ruolo notevole in molte dinamiche interne-esterne al Paese. Al contempo, un altro dei motivi che ha contribuito a riconfigurare l’attuale assetto parlamentare è stato sicuramente la mancata partecipazione del Future Movement, il più grande partito sunnita del Paese dell’ex Premier Saad Hariri. Il vacuum che si è venuto a creare potrebbe diventare terreno di scontro tra Hezbollah e l’opposizione: Beirut, Sidone e Tripoli erano le zone dove il partito sunnita deteneva una forte ascendenza e ora verranno contese tra i due schieramenti e i candidati indipendenti. Nel breve-medio termine, l’interesse di tutti si sposterà invece sulla formazione di un governo stabile: la crisi economica rappresenta un costante elemento di destabilizzazione e gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale diventano sempre più necessari per evitare il collasso dell’intero Stato.
Sul fronte regionale, gli attori mediorientali hanno osservato i risultati libanesi con grande interesse. L’Iran, sostenitore di Hezbollah e della comunità sciita, ha visto indebolita la posizione dei propri alleati e, di conseguenza, la propria influenza sulle questioni politiche libanesi. Dall’altra parte, l’Arabia Saudita, nonostante la perdita di consenso del blocco sunnita, può ritenersi soddisfatta dei risultati ottenuti, al netto anche delle difficoltà interne iraniane che limitano le mosse di Teheran nella regione.
In quest’ottica, è interessante compiere un breve parallelismo con ciò che è successo recentemente in Iraq. L’influenza iraniana, che utilizza il sostegno a gruppi sciiti come forma di proxy per promuovere la propria politica estera, si è ancor più ridotta nella mezzaluna mesopotamica dopo il voto di ottobre 2021, quando dalle urne era emersa una netta sconfitta delle compagini vicine a Teheran Una possibile perdita della presa sui principali attori di destabilizzazione nazionale potrebbe ridimensionare notevolmente le aspirazioni iraniane sul territorio iracheno, timore che specularmente può essere proiettato in qualche modo anche in Libano più nei confronti del blocco sciita toutcourt che verso Hezbollah, il quale comunque continua a mantenere una sua forte e ingombrante presa in molte delle dinamiche statali e istituzionali.