Polarizzazione dell’opinione pubblica e covid-19.  Dove, come e a chi rivolgere lo sguardo
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Polarizzazione dell’opinione pubblica e covid-19. Dove, come e a chi rivolgere lo sguardo

By Daniele Maria Barone
11.03.2020

La propagazione online della disinformazione si potrebbe riassumere con la locuzione di “effetto farfalla”. Il cambiamento infinitesimale alla condizione iniziale, causato dal battito d’ali della farfalla, coincide con l’interpretazione di un messaggio da parte di un singolo individuo che può riverberarsi nel condizionamento del pensiero e dell’agire delle masse, producendo grandi e crescenti variazioni a lungo termine.

Oggi, nel contesto comunicativo del web, “condizione iniziale” e “variazione a lungo termine” coesistono in una dimensione di circolazione delle informazioni a-spaziale e a-temporale, complicando la lettura dei cambiamenti che avvengono al suo interno.

Con queste premesse, la viralità contenutistica dei social media acquisisce una rilevanza sostanziale e impone metri di valutazione duttili, che consentano di riconoscere le possibili conseguenze emozionali generate da un contenuto, al fine di individuarne l’impatto sull’opinione individuale o collettiva e definire quali strategie adottare per interagire efficacemente con questi processi.

Attualmente, le ripercussioni globali in termini di incertezza e disagio dovute alla diffusione del covid-19 hanno dato ulteriore concretezza a queste osservazioni, dimostrando come, la condivisione sui social media di messaggi inerenti alla pandemia privi di fondamento scientifico o fattuale, possano influenzare il giudizio di massa, sino all’accettazione da parte dell’utente di teorie antitetiche alle istituzioni.

Quindi, per comprendere i passaggi del processo di disinformazione e la loro rilevanza nella gestione della pandemia, occorre un’analisi sia quantitativa sia qualitativa del potenziale emotivo che accompagna l’interpretazione dei contenuti diffusi nel web e, in particolare, sui social media.

A tal fine, la ricerca sulla moderazione dei contenuti sui social media dell’Institute Montaigne, risulta utile per riassumere le modalità di interazione degli utenti con i contenuti online, configurando tre fattispecie principali di canali in grado di innescare un processo di diffusione di informazioni prive di basi verificabili.

La prima fattispecie riguarda il sistema di diffusione di notizie che premia la qualità del tono utilizzato per trasmettere un messaggio, senza valutare la sua qualità contenutistica. L’intersezione tra ansia, entusiasmo, rabbia e internet ha origini radicate nel dibattito pubblico e intrinseche nella natura umana. Infatti, partendo dall’assioma che lo spazio dei social media è uno spazio emozionale, l’accezione positiva/negativa di una notizia tende a causare, da parte degli utenti, seppure con gradazioni differenti, una reazione in sintonia con essa. Con questo presupposto, come argomentato dal politologo americano Valentino, la percezione di una minaccia non genera come unica reazione l’immobilizzazione dell’individuo. Lo stato di ansia viene difatti superato attraverso la conoscenza di un dato argomento e trovando la causa oggettiva di quello stato d’animo. Quindi, una notizia che, seppur non corretta o verificata, è in grado di semplificare una tematica ampia e complessa attraverso l’identificazione di un oggetto verso cui concentrare l’ansia, fornisce all’individuo un immediato senso di appagamento, trasformando l’ansia in rabbia o entusiasmo, mobilizzando e fidelizzando l’utente. In risposta a questo stimolo, l’utente cercherà di replicare e alimentare la soddisfazione data dal superamento del suo stato iniziale di stallo, scegliendo di informarsi tramite canali che rimarcano una visione simile su un dato argomento. La cassa di risonanza dei social media si occupa poi di rendere ciclico questo processo.

La seconda fattispecie attiene alla creazione di contenitori informativi segmentati e personalizzati, privi di nozioni verificabili o verificate. Il fondatore del Program on Behavioral Economics and Public Policy, Cass Sustein, definendo il concetto di “polarizzazione”, spiega che un gruppo di persone tenderà ad allinearsi a messaggi che si avvicinano alla loro opinione. Le caratteristiche strutturali dei social network concretizzano questo concetto creando casse di risonanza monotematiche sulla base del rinforzo vicendevole di opinioni simili. Quindi, da un punto di vista informativo, l’utente viene quantitativamente accontentato ai danni della qualità delle informazioni che recepisce. Un esempio topico si ha con la vicenda di Caleb Cain, un ragazzo statunitense che ha sposato le idee estremiste di destra durante un periodo di smarrimento dopo aver abbandonato il college, entrando attraverso Youtube in quello che lui stesso ha definito “decentralized cult of far-right YouTube personalities”. L’algoritmo che suggeriva i video raccomandati, infatti, continuava a proporgli contenuti di influencer di estrema destra o teorici cospirazionisti, aumentando la sua permanenza su Youtube ma al contempo spingendolo verso ideologie estremiste.

Infine, la terza fattispecie riguarda la sostituzione del modello mediatico tradizionale. Nell’ottica del recepimento di alcune tipologie di contenuti, l’appagamento immediato fornito dalla lettura di un titolo, di una notizia o l’individuazione di gruppi che condividono la stessa opinione dell’utente si possono tramutare nell’aspettativa stessa del prodotto-social media da parte di alcune tipologie di individui. Questo ecosistema emozionale incoraggia la proliferazione di influencer, endorser, testate giornalistiche minori e blog che creano contenuti non affidabili e semplicistici, basati su punti di vista soggettivi o propagandistici (decentralizzati o centralizzati) attorno alla cui condivisione convergono le trasposizioni virtuali di soggetti che, a loro volta, possono causare un impatto comunicativo e sociale. Tale riscontro fattuale sarà legato in una reazione a catena a quello stesso oggetto, recettore di rabbia o entusiasmo, che è stato la causa dell’appagamento emozionale che ha innescato il processo.

In relazione all’emergenza pandemica attuale, la comprensione delle dinamiche della disinformazione ricopre un’importanza strategica nel settore della sicurezza pubblica, poiché l’interpretazione del contesto da parte degli utenti ha ripercussioni sociali immediate. Come spiegato dal WHO, il covid-19 è la prima pandemia nella storia in cui la tecnologia e i social media vengono utilizzati in maniera massiva per tutelare la sicurezza della popolazione e, la disinformazione, si insinua proprio tra le pieghe di questa macchina comunicativa, rallentandola e vanificandone gli effetti. Le proteste dilagate in UK allo slogan “No more lies, no more masks, no more lockdown” di fine settembre o lo studio dell’istituto di ricerca parigino Fondation Jean Jaurès, che individua che il 90% di un campione di sostenitori no-mask credono che il ministro della salute francese sia colluso con le aziende farmaceutiche per celare gli effetti nocivi dei vaccini, sono esempi dei risvolti anti-istituzionali scaturiti dall’ecosistema contemporaneo delle fake news.

Al fine di comprendere come si originano, sviluppano e diffondono queste idee, occorre identificare  i macro-profili da cui vengono generate fake news mirate a far dilagare nella popolazione sentimenti antitetici alle istituzioni.

Disinformazione e propaganda estera.

Il US Department of State riferisce che “Information Confrontation” è la locuzione utilizzata negli ambienti militari russi per definire l’ecosistema della Communication Warfare in tempi sia di pace che di conflitto. Tale approccio strategico, per la Russia come per altri Stati, si basa sul rendere operativa una visione delle relazioni internazionali attraverso un confronto perpetuo tra Stati, imponendo quindi l’attivazione costante di misure atte a destabilizzare internamente l’altrui ecosistema informativo. Nella pratica, questa strategia si attua attraverso la creazione e gestione di un network di strumenti online che si dirama attraverso canali comunicativi ufficiali (direttamente legati allo Stato da cui vengono generati), profili social e blog o siti web non ufficiali che, anche se spesso appaiono disarmonizzati e in contraddizione tra loro, operano tutti al fine di amplificare l’effetto di narrative fuorvianti ed esaltare la propaganda nazionale, insinuandosi tra gli utenti e indebolendo le funzionalità informative di un altro Stato. L’effetto media multiplier dei social network rende questo sistema resiliente, rafforzato dalle percezioni emotive degli utenti, suscitate dal tono e dal contenuto, unite al contesto cui questi elementi fanno riferimento e sfociando in una vera e propria Weaponization of Social Media.

In un report di agosto del US Department of State viene descritto il caso del network di disinformazione creato attorno al sito web “SouthFront: Analysis and Intelligence” (SouthFront), di base in Russia e dal quale venivano diffuse notizie apparentemente riguardanti il settore militare ma che facevano parte di un disegno più ampio di veicolazione informativa che, negli ultimi mesi, si è interessato alla creazione di fake news sul covid-19. In relazione a queste attività, Facebook riporta di aver bloccato, nel solo mese di aprile 2020, 46 pagine, 91 account Facebook, 2 gruppi e 1 account Instagram facenti parte del network di SouthFront, i quali postavano contenuti in russo, inglese, tedesco, spagnolo, francese, ungherese, serbo, georgiano, indonesiano e farsi. Il tenore delle notizie diffuse da SouthFront in relazione al nuovo coronavirus è riassunto dalla loro non veridicità e dall’evidente politicizzazione di alcuni titoli e frasi forniti dalla densa produzione di articoli resi virali dal network: “Financial circles and governments are using the coronavirus to achieve own financial and political goals” - “USA Plan: Militarized Control of Population. The National COVID-19 Testing Action Plan” - “EU bureaucrats and affiliated propaganda bodies are doing something that all has expected a long time ago - blaming Russia for the crisis over the outbreak of coronavirus.”

A fare da cassa di risonanza a questa rete di disinformazione, riporta Facebook, era l’attività svolta da una combinazione di profili autentici, duplicati o falsi che, fingendosi entità indipendenti, alimentavano l’engagement attorno a queste notizie, puntando con tattiche ipodermiche ad influenzare ciascuna regione geografica di interesse.

Dalla cospirazione all’eversione e dall’eversione al dibattito politico.

In una nota del Consiglio UE si spiega come la destabilizzazione sociale causata dalla pandemia, unita alla disinformazione diffusa attraverso i social media, stia incrementando il processo di accettazione di elementi tipici della propaganda estremista, causando un aumento esponenziale del rischio di proteste e attacchi terroristici. Secondo l’Institute of Strategic Dialogue, che ha monitorizzato circa 150.000 post Facebook provenienti da 38 pagine social di estrema destra, si denotano intersezioni critiche tra la destabilizzazione sociale causata dalla pandemia e narrative eversive preesistenti radicate nell’etno-nazionalismo che si riversano generalmente sull’incolpare le popolazioni o i governi esteri per aver originato o veicolato il contagio e il governo interno per non aver protetto i confini nazionali. In particolare, la ricerca riscontra un incremento di attività attorno alle discussioni su immigrazione e attribuzione di responsabilità ad una fantomatica “élite" economica e politica, che si articola nel web attraverso teorie cospirazioniste e colpevolizzazione dei governi nazionali.

In questo contesto, sottolinea la rivista VoxPol basandosi sulle misure messe in atto da Facebook e Twitter per la moderazione di contenuti eversivi, la narrativa di estrema destra basata sul coronavirus ha assottigliato il divario tra argomentazioni e linguaggio identificabili dai gestori delle due piattaforme come “estremista” e il legittimo dibattito politico, opacizzando la narrativa eversiva e rendendo inadeguate le attuali misure di moderazione dei contenuti.

Infatti, la confluenza di tematiche eversive e dibattito politico nella disinformazione sta fomentando una percezione politicizzata delle normative anti-covid, rappresentando come misure anti-democratiche i lockdown locali o nazionali finalizzati a contenere il contagio e usando anche nel dibattito politico tematiche inerenti all’individuazione di capri espiatori che alimentino la narrativa di protezionismo territoriale e identitario.

A questo proposito, l’analisi dei social media sui contenuti di estrema destra effettuata dall’Istituto europeo Dialogue About Radicalisation & Equality (DARE), fa notare che la condivisione di dichiarazioni di personaggi apicali della politica internazionale come, ad esempio, Trump, Bolsonaro, Le Pen, e Farage, sono diventati parte integrante dello storytelling delle chat e pagine pubbliche di estrema destra.

Alcuni esempi di dichiarazioni che hanno distorto la percezione del contesto pandemico e fuorviato l’opinione pubblica: la lettera di marine Le Pen al Ministro dell’Interno francese, pubblicata sui suoi canali social ufficiali, che poneva l’accento sulla strumentalizzazione del lockdown per far risuonare  la chiamata del muezzin alla preghiera islamica, definendolo un’occupazione illegale degli spazi di dominio pubblico; Donald Trump ha più volte chiamato il coronavirus “Chinese virus”, al fine di sottolineare al suo elettorato la responsabilità cinese nell’originare e diffondere la pandemia; Twitter ha rimosso due tweet di Jair Bolsonaro poiché minimizzava il pericolo della pandemia da coronavirus e criticava le misure di isolamento messe in atto da molti governi nel mondo.

Questi messaggi si riverberano tra gli utenti modificando la percezione dell’emergenza. Il Reuters Institute riporta che, seppure i politici producano o diffondano meno del 20% della disinformazione sul covid, quasi il 70% dell’engagement sui social network inerente alla disinformazione e infodemia sul covid è generato da condivisioni o reazioni degli utenti alle dichiarazioni rese da celebrità e dalla classe politica.

Come cospirazionismo politico e scientifico vengono reinterpretati dagli utenti dei social media.

In una nota dell’Oxford Internet Institute si riporta che, su un campione di 8.105 video legati alla disinformazione sul coronavirus, ci sono state 20 milioni di condivisioni sui social media (prevalentemente da Youtube a Facebook) che hanno generato un fenomeno moltiplicatore di reazioni degli utenti.

La nota evidenzia che 3 di questi video detengono il 40% di share del totale delle condivisioni.

Il primo è “Plandemic Documentary: The Hidden Agenda Behind Covid-19” un documentario che sostiene che il covid sia frutto di un esperimento effettuato in un laboratorio cinese, mentre gli altri due vedono i fisici Dr. Erickson e Dr. Buttar, esterni alla comunità medica, dubitare della letalità del virus, facendo considerazioni prive di fondamento scientifico.

Questi dati pongono l’accento non solo sulla non verificabilità degli approfondimenti sul covid in circolazione sui social network ma anche su quanto il target di pubblico sensibile alla disinformazione sviluppi una tendenza a recepire le notizie sovrapponendole a riscontri fattuali e reinterpretandone il contesto.

Per spiegare questa tendenza, è utile citare le recenti osservazioni pubblicate dal centro di ricerca europeo, EU Disinfo Lab. L’analisi inquadra come l’evoluzione delle teorie cospirazioniste legate alla pandemia avviene in sinergia con la diffusione cronologica e  geografica dell’emergenza.

Nello specifico, in un primo momento l’attenzione è stata rivolta esclusivamente all’individuazione delle responsabilità del governo cinese per la creazione e diffusione del virus. Successivamente lo spettro si è ampliato a livello internazionale, creando teorie di complotti che coinvolgevano la sfera politica e scientifica. Infine, la diffusione a macchia di leopardo del covid-19 ha generato vari filoni cospirazionisti che hanno come comune denominatore la sfiducia nei confronti delle misure di contenimento adottate dalle singole autorità nazionali.

Oggi, spiega l’EU Disinfo Lab, si è raggiunto un livello di Local Disinformation Storm, che ha causato un aumento esponenziale nella diffusione di teorie cospirazioniste a livello locale, strutturate sulla base di divisioni politiche e sociali interne, polarizzando e segmentando ulteriormente l’opinione di alcuni gruppi di utenti. Il rischio concreto di questa suddivisione a livello locale riguarda l’escalation in manifestazioni violente con origini strettamente territoriali che usano il covid come collante della comunità, la disinformazione come mezzo di diffusione e aumentano lo stato d’ansia strumentalizzando tematiche legate al micro-contesto di riferimento. Queste dinamiche generano una percezione ravvicinata della minaccia, alimentando negli individui una spinta emotiva ad intraprendere urgentemente azioni in difesa della propria comunità o di se stessi.

Infatti, la condizione descritta può sfociare in sentimenti eversivi e di minaccia verso le istituzioni e, come evinto dall’analisi, essere strumentalizzati da numerosi attori, a vari livelli e per scopi diversi, autoalimentandosi vicendevolmente: piccoli o grandi gruppi (violenti e non) organizzati territorialmente o ideologicamente, partiti politici, propaganda di altri Stati.

Al fine di contenere queste conseguenze, l’impatto sociale della viralità di un messaggio impone un giudizio qualitativo sui sentimenti che esso suscita negli individui, che riconosca il riverbero della sua efficacia sul piano emozionale e interpreti le fasi di formazione del giudizio dell’utente su un dato argomento.

Le attuali modalità di contrasto alle fake news del settore sia privato che istituzionale possono arginare il fenomeno nel breve termine ma il lungo termine richiede un coinvolgimento attivo della popolazione nel recepimento e diffusione di informazioni, al fine di incoraggiare la maturazione di una fisiologica public awareness basata su un contatto diretto tra cittadini e istituzioni, reso immediato e ravvicinato attraverso il web. Un ecosistema di interscambio comunicativo controllato, che infonda fiducia nelle autorità nazionali e generi un appagamento emozionale non immediato ma duraturo, stabile e quantificabile degli utenti.

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