L'Italia e il Trans Adriatic Pipeline: verso una definizione della strategia energetica nazionale
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L'Italia e il Trans Adriatic Pipeline: verso una definizione della strategia energetica nazionale

By Pietro Lucania
09.19.2013

Nelle scorse settimane il consorzio Shah Deniz, che gestisce il giacimento di gas Shah Deniz 2, ha confermato la scelta del progetto che porterà il gas dall’Azerbaijan all’Europa: si tratta del TAP, ovvero il Trans Adriatic Pipeline, gasdotto trans-Adriatico, che è stato scelto per la distribuzione in Europa del gas proveniente dal citato giacimento azero.

Gli iniziali azionisti del progetto sono stati la società svizzera Axpo, la norvegese Statoil, entrambe con il 42,5%, e la tedesca E.On con il 15%. Tuttavia, subito dopo l’annuncio della scelta del progetto TAP, le maggiori compagnie energetiche continentali hanno deciso di acquisirne alcune quote di partecipazione, dimostrando notevole interesse nell’acquisizione del consorzio. Attualmente l’assetto societario prevede una ripartizione di quote fra BP (20%), SOCAR (20%), Statoil (20%), Fluxys (16%), Total (10%), E.ON (9%) e Axpo (5%). Intanto, la società azera SOCAR si è mossa su più fronti, come dimostrato dalla recente acquisizione della compagnia greca DESFA che è incaricata del controllo del sistema di trasporto del gas greco e che potrà così gestire la realizzazione del tratto di gasdotto sul proprio territorio.

Il gasdotto avrà una lunghezza di circa 870 chilometri, di cui 210 in Grecia e 105 in Albania, nella parte off-shore adriatica, e 5 km in Italia. Il TAP partirà dalla città greca di Salonicco e giungerà nella località Melendugno in Puglia, dopo aver attraversato le montagne dell’Albania ed il Canale di Otranto. L’iniziale capacità di trasporto che, si stima, si aggiri sui 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, potrebbe in futuro essere notevolmente incrementata fino a 16 miliardi di metri cubi, mediante l’adozione di sistemi di compressione più avanzati. Il progetto è cofinanziato dall’UE nell’ambito del programma TEN-E (che riunisce le reti trans-europee nel settore dell’energia) a causa delle molteplici esigenze comunitarie, dovute in parte agli incrementi dei consumi e, in parte, alle crisi di approvvigionamento di gas come quella verificatasi in Ucraina nel 2009 (e quella precedente del 2006). La necessità per l’Europa è, quindi, quella di disporre di un maggior numero di partner con cui negoziare anche allo scopo di garantire l’approvvigionamento di gas necessario per mantenere la competitività della propria economia.

L’interesse dell’Italia a questo progetto è di tipo strategico: per entrare più nello specifico, occorre ricordare che il nostro Paese importa circa il 90% del gas naturale indispensabile al proprio mercato energetico; i dati aggiornati al 2010 indicano in circa 84 miliardi di metri cubi di gas il quantitativo usato per soddisfare il consumo interno. Tale quantitativo proviene dall’importazione da vari Paesi, quali Algeria Russia, Libia, Olanda, Norvegia e Qatar. Tale situazione espone il nostro Paese alle dipendenze di un oligopolio de facto del mercato gasifero mondiale. Inoltre, le forniture di “oro blu” sono soggette ad oscillazioni e mutamenti contingenti frutto delle vicende geopolitiche globali. Un valido esempio di questa vulnerabilità endemica al sistema di approvvigionamento energetico italiano è stata offerta dalla guerra di Libia del 2011, che ha comportato una diminuzione dei rifornimenti da Tripoli e, dunque, ha causato un inevitabile aumento delle quote d’importazione dai Paesi dell’area est europea.

Attualmente l’afflusso di gas naturale nel nostro Paese è ripartito principalmente attraverso quattro gasdotti: Il Trans Austria Gasleitung, che trasporta il gas dai giacimenti russi, e che rifornisce anche Austria, Slovenia e Croazia, attualmente gestito da una joint-venture tra l’austriaca OMV e l’italiana Eni; il Transitgas, che attraversa la Svizzera, trasportando il gas proveniente dalla Norvegia e dai Paesi Bassi, ed è gestito da un consorzio svizzero di cui fanno parte Swissgas, FluxSwiss e la tedesca E.ON; il Transmed, che trasporta il gas algerino passando per la Tunisia e il Mediterraneo, giungendo quindi a Minerbio, nei pressi di Bologna, ed è gestito da una joint venture tra l’Eni e la compagnia di stato algerina Sonatrach; il Greenstream, che collega l’impianto di trattamento di Mellitah, sulla costa libica, con il terminale di ricevimento alla rete nazionale del gas di Gela in Sicilia ed è gestito dalla joint-venture Western Libyan Gas Projects tra l’italiana Eni e la compagnia nazionale petrolifera libica National Oil Company. Completano la struttura due impianti di rigassificazione: quello di Panigaglia (La Spezia) punto di arrivo del gas importato dall’Algeria e dalla Norvegia, e quello di Porto Levante (Rovigo), punto d’attracco delle navi provenienti da Egitto, Qatar, Guinea Equatoriale, Trinidad & Tobago e Norvegia.

La scelta operata a favore del TAP, per diverse ragioni, può essere considerata un risultato positivo per l’Italia con benefici fruibili a lunga scadenza: potrà garantire al nostro Paese una diversificazione dei fornitori di gas inserendo l’Azerbaijan quale nuovo partner commerciale nel settore, in aggiunta agli altri attualmente disponibili. Si tratterebbe di una potenzialità notevole con incredibili vantaggi che vanno ben oltre la sola sicurezza energetica, poiché potrebbero determinare effetti positivi per la rideterminazione del prezzo del prodotto sul nostro mercato, ma anche per la conclusione di accordi economici in altri settori strategici. I propositi di rendere l’Italia in un grande hub del gas dell’area sud-europea potrebbero non essere più soltanto un aspetto programmatico del documento di strategia energetica nazionale, ma divenire una realtà di cui andare decisamente fieri.

Da parte dei tre Paesi interessati al progetto TAP (Italia, Grecia e Albania), il coinvolgimento alla realizzazione dell’opera è notevole e lo dimostra anche la particolare attenzione volta ad armonizzare un quadro normativo, in materia di energia, finora disomogeneo. Nel solco di una proficua collaborazione tra i citati Stati e le rispettive autorità in campo energetico è scaturito un protocollo contenente, tra l’altro, il parere comune sulla richiesta di esenzione del gasdotto dalle norme di accesso a terzi: si tratta di un documento che ha i suoi richiami dottrinali nel Parere 1/2013 del Segretariato della Comunità dell’Energia del 14 maggio 2013 e nelle condizioni stabilite dalla Commissione Europea con la Decisione definitiva “C” n. 2949 del 16 maggio 2013. Sostanzialmente, l’esenzione dall’accesso a terzi prevede che il gestore del gasdotto possa decidere sui soggetti che possano far parte ed usufruire dell’attività ed i criteri a cui conformarsi, ma, trattandosi di attività con un forte impatto economico, è inevitabile che uno dei punti fondamentali degli accordi sia stato quello di stabilire un prezzo di accesso equamente concordato che consenta al consorzio di stipulare contratti di lunga durata con i soggetti importatori. Così facendo si avrà l’opportunità di ricavare margini di profitto interessanti attraverso la vendite della capacità di trasporto del prodotto.

Per quanto riguarda le opportunità per l’Azerbaijan, Baku potrà trarre notevoli benefici dall’accordo sul TAP, usufruendo di un rendita costante e di un quadro normativo e politico stabile e garantista. Inoltre, il gasdotto TAP andrebbe ad aggiungersi al progetto che lo stato caucasico ha portato avanti con la Turchia per la costruzione del gasdotto TANAP (Trans Anatolian Natural Gas Pipeline Project), anch’esso destinato a giungere fino alla frontiera europea, e al progetto IAP (Ionian Adriatic Pipeline), un gasdotto in territorio dei Balcani occidentali, due progetti che avrebbero lo scopo di incrementare l’afflusso di gas dalla regione del Mar Caspio, attraverso il cosiddetto “corridoio meridionale”, verso i mercati europei. L’Azerbaijan, dunque, si avvia a consolidare ulteriormente il suo ruolo di “Qatar caucasico”, utilizzando l’energia come strumento di proiezione della propria politica estera.

Resta da risolvere un problema di importanza non secondaria. Il consorzio TAP, entro quest’anno, dovrà adottare la FID (Final Investment Decision) sulla sua realizzazione, definendo gli accordi di compravendita del metano tra gli operatori interessati e assumendo specifici impegni sulla costruzione dell’opera. Ogni ritardo comporta inevitabilmente degli aumenti di spesa ingenti Inoltre se la decisione di investimento finale per Shah Deniz dovesse ulteriormente slittare, la data di arrivo del gas azero potrebbe non coincidere più con la data prevista del 2019. Parallelamente, occorrerà definire con chiarezza i margini di guadagno che sono alla base del requisito di competitività emergente a cui puntano i venditori del gas e, in questo caso, non basterà considerare i prezzi di mercato quale riferimento immediato, ma occorrerà valutare attentamente anche parametri quali i meccanismi di indicizzazione e le forme più adeguate di flessibilità contrattuale.

L’importanza di guardare ad un corridoio meridionale è una priorità che deve essere gestita nel migliore dei modi; occorre trarre vantaggio anche dall’arrivo del gas e fare in modo che possa raggiungere anche altri Paesi vicini, tramite specifiche infrastrutture per realizzare i cosiddetti flussi operativi inversi.

I commenti ufficiali di gran parte dei leader greci al momento sono molto favorevoli: attraverso il TAP, la Grecia potrà svolgere un ruolo di primaria importanza nella connessione energetica tra i Paesi dell’area, consentendo alle casse dello Stato di usufruire di consistenti e sicure entrate derivanti dalle tariffe del passaggio del gas. Proprio per il suo nuovo ruolo, Atene avrà inoltre la possibilità di consentire agli investitori diretti esteri di intervenire nel progetto a fronte di enormi spese da sostenere.

I vantaggi sono considerevoli anche per l’Albania, potenziale nuovo membro nell’Unione Europea. Infatti, questo gasdotto contribuirà alla nascita e allo sviluppo del mercato del gas albanese, rimuovendo l’attuale isolamento dai mercati. Nelle prospettive albanesi c’è anche la costruzione di una diramazione del gasdotto principale, il citato IAP, un progetto il cui investimento stimato in 250 milioni di euro potrebbe far diventare quel territorio il punto di partenza di una imponente struttura energetica che, attraversando i territori di Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Croazia, concorrerebbe allo sviluppo della rete in tutta l’area balcanica.

Gli Stati balcanici, obbligati all’importazione del gas naturale, avrebbero in tal modo l’occasione di modernizzare alcuni processi economici, sopperendo alle carenze di energia. Inoltre, l’importazione azera, seguendo i presupposti progettuali, consentirebbe una diffusione della rete di distribuzione del gas a prezzi competitivi, con immediate ripercussioni positive nel contesto economico-produttivo degli stessi: grazie alla partecipazione a questi ambiziosi progetti di tipo energetico, i Paesi dell’area avrebbero, così, la possibilità di rivestire un peso geopolitico diverso e tale da determinare una forte ragione di sviluppo.

Gli entusiasmi degli attori internazionali sopra indicati non coincidono con le preoccupazioni di chi ha il timore di perdere grosse fette di mercato nel settore di riferimento. I grandi del settore energetico russo valutano con molta attenzione questi sviluppi e, per loro, diventa ancor più prioritario non perdere il ruolo centrale nella fornitura del gas in Europa: in prospettiva vi sono già state alcune mosse strategiche, come quella, attuata agli inizi del mese di giugno, da Gazprom, che ha reso nota l’intenzione di diminuire il prezzo del gas per l’italiana Eni, la tedesca Wintershall e la francese Suez Gaz de France. La proposta economica è stata di sicuro effetto per tutti i soggetti interessati e dimostra ancora una volta che Mosca è intenzionata a mantenere un ruolo importante nel mercato del gas dell’Unione Europea anche attraverso un incremento delle forniture di gas che passerebbero in questo modo dai 138 miliardi di metri cubi dell’anno scorso ai potenziali 152 dell’immediato futuro. Analogamente, si procede con determinazione allo sviluppo del South Stream, la condotta offshore che attraverserà il Mar Nero, portando direttamente il gas dalla Russia in Bulgaria, senza passare per il territorio turco, che Gazprom sta progettando con Eni, EDF e BASF, i cui primi quantitativi di gas sono previsti in arrivo per il 2015.

Anche l’Algeria non sembra essere del tutto contenta dell’opzione TAP. Nel recente passato Algeri aveva intuito l’impatto che il gasdotto adriatico avrebbe potuto avere sulle forniture con l’Italia e sullo sviluppo del progetto GALSI (che avrebbe trasportato il gas attraverso il Mediterraneo fino in Sardegna e quindi nella penisola). I motivi sono analoghi a quelli riscontrati per Mosca: le nuove architetture di approvvigionamento energetico comporterebbero il rischio di perdere il predominio del mercato del gas in Europa. Peraltro, a partire dal 2006, Russia e Algeria avevano stipulato degli accordi energetici che consentivano alla prima di concorrere nei processi di upstream e downstream del settore algerino e di sviluppare un piano di gestione comune dei rifornimenti europei. A questi accordi che rasentano il trust, Mosca ne ha fatti seguire altri, come quelli in ambito GECF (Gas Exporting Countries Forum) che di fatto evidenziano la situazione oligopolistica del settore energetico.

Tuttavia, la questione della strategia energetica russa non può essere limitata all’esclusivo ambito economico, poiché essa costituisce un pilastro di politica estera attraverso il quale Mosca cerca di realizzare non soltanto ritorni economici, ma anche risultati politici strategici di altro tipo. Per questa ragione, il fastidio del Cremlino rispetto al progetto TAP ed allo sviluppo delle relazioni internazionali azere potrebbe avere conseguenze non solo commerciali, ma anche strettamente politiche e riguardanti sia l’Europa che il Caucaso.

L’Italia nel continuare a perseguire gli obiettivi di sicurezza e convenienza delle forniture gasifere ha nel TAP e nell’apertura all’Azerbaijan una strategia sicuramente positiva. Tuttavia, ciò non implica a priori la dismissione di altri progetti che nell’ottica di future esigenze energetiche potrebbero comunque rivelarsi utili. L’esigenza del nostro Paese è quella di operare le scelte economicamente più vantaggiose, di diversificare i Paesi fornitori e di mantenere salde relazioni con nuovi e vecchi i partner.

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