La morte di Abu Muhammad al-Masri e le incognite sul futuro della leadership di al-Qaeda
Lo scorso 13 novembre, il New York Times ha riferito che, nell’agosto di quest’anno, un commando israeliano ha ucciso Abdullah Ahmed Abdullah, noto come Abu Muhammad al-Masri, il numero due dell’organizzazione terroristica al-Qaeda, nel distretto Pasdaran di Teheran. Al momento, tale azione non è stata confermata da alcun governo. Al contrario, Saeed Khatibzadeh, portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, ha dichiarato falsa la notizia, affermando come che gli Stati Uniti ed Israele stiano cercando di attribuire all’Iran presunte connivenze con al-Qaeda e con altri gruppi terroristici nella regione. Tuttavia, il New York Times, che cita come propria fonte l’intelligence americana, sostiene che al-Masri sia stato ucciso il 7 agosto per volere dell’Amministrazione Trump in accordo con il governo israeliano.
Durante l’operazione è rimasta uccisa anche Miriam, la figlia di al-Masri e vedova di Hamza bin Laden, uno dei figli di Osama bin Laden. Di quest’ultimo, la Casa Bianca ne aveva confermato la morte il 14 settembre 2019, e malgrado non siano mai state rilasciate informazioni circa l’operazione che ne ha portato all’eliminazione, la sua uccisione aveva rappresentato un duro colpo per al-Qaeda. Secondo la Casa Bianca, infatti, la morte di Hamza ha privato l’organizzazione di una potenziale leadership carismatica e della connessione simbolica con il padre, minando quindi importanti attività operative del gruppo.
La recente morte di al-Masri, noto per aver organizzato gli attacchi del 1998 alle ambasciate americane di Nairobi (Kenya) e Dar es-Salaam (Tanzania), che causarono la morte di oltre 200 persone, segna per Washington un importante successo strategico da inserire all’interno di un più comprensivo sforzo di controterrorismo finalizzato alla neutralizzazione di al-Qaeda. Malgrado l’organizzazione si sviluppi strutturalmente in maniera decentralizzata (circostanza che ne aumenta la resilienza e la complessità), la figura di un leader funge da punto di riferimento per la pletora di gruppi affiliati.
Dunque, dal punto di vista pratico, l’eliminazione dei leader carismatici di al-Qaeda compromette la capacità operativa del gruppo, le cui possibilità di intraprendere attività complesse che richiedono pianificazione e coordinamento sofisticati diminuiscono significativamente. Infatti**,** l’alta leadership di al-Qaeda è stata in grado di sviluppare piani di attacco terroristici da commissionare ai diversi franchise regionali. Per questo motivo, sebbene il ruolo della leadership centrale sia limitato a collegare le diverse diramazioni dell’organizzazione, accoppiando set di abilità, finanziamenti e agenti operativi, essa è in grado di trasformare una serie di gruppi terroristici disuniti che operano a livello regionale in un singolo fronte coeso.
Inoltre, l’uccisione di al-Masri è importante per un’ulteriore ragione: la presenza di uno dei principali leader di al-Qaeda a Teheran aumenta gli interrogativi circa il rapporto che l’Iran sciita ha con tale organizzazione terroristica che, al contrario, è sunnita. In particolare, il Ministero dell’Intelligence iraniano (MOI) e il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), entrambi fulcri della strategia di difesa e sicurezza sia in patria che all’estero, avrebbero forti responsabilità per aver ospitato in Iran diversi elementi di al-Qaeda in fuga dalle autorità internazionali. Il caso di al-Masri rappresenterebbe un ulteriore elemento di conferma sul fatto che Teheran, i cui rapporti con al-Qaeda risalgono a quando il Sudan ospitò una serie di incontri tra i leader del gruppo e alcuni funzionari iraniani nel 1991, continui ad offrire un porto sicuro ai membri dell’organizzazione al fine di manipolare questa relazione a proprio vantaggio.
La morte di al-Masri rappresenta un problema non secondario per al-Qaeda, che ora si trova costretta ad affrontare un problema di successione estremamente delicato. Infatti, la sua scomparsa priva l’organizzazione di un altro dei potenziali eredi di Ayman al-Zawahiri, dopo che a giugno e ad ottobre sono stati eliminati dagli Stati Uniti, nella regione siriana di Idlib, sia Abu al-Qassam che Abu Muhammad al-Sudani, due veterani di al-Qaeda. Inoltre, secondo alcune notizie non ancora confermate, lo stesso al-Zawahiri sarebbe morto qualche settimana fa, all’età di 69 anni, a Ghazni, in Afghanistan, per problemi respiratori.
L’eventuale morte dell’attuale amir renderebbe Saif al-Adel, veterano di lunga data di al-Qaeda, anch’egli sospettato di trovarsi in Iran, il principale candidato a prendere il timone. Tuttavia, l’ascesa di al-Adel potrebbe suscitare proteste e frizioni all’interno di al-Qaeda. Infatti, secondo il giuramento di fedeltà (bayat) del Consiglio della Shura (MSC), il leader del gruppo deve trovarsi fisicamente nel Khorasan (Afghanistan o Pakistan) o in uno dei territori dove agiscono le brache regionali di al-Qaeda per poter essere eleggibile. In caso contrario, il bayat prevede che si scenda lungo la catena di comando fino a quando uno dei vice dell’amir non si trovi nella posizione appropriata per ricevere il testimone del comando.
Dal momento che al-Adel si dovrebbe trovare ancora in territorio iraniano, molti dei quadri intermedi dell’organizzazione hanno iniziato a sostenere la candidatura di leader al momento presenti in Siria. Tra i principali sostenitori di questa linea c’è Hurras al-Din, organizzazione dell’orbita qaedista, attiva in Siria, che spera così di salire le gerarchie del network globale fondato da Osama Bin Laden ed acquisire un sensibile vantaggio nei confronti dei rivali di di Hay’at Tahrir al-Sham.
È dunque possibile che la transizione di leadership comporti anche un possibile spostamento del centro di gravità dell’organizzazione, ora basata in Asia meridionale, in un’altra regione tra Levante, Sahel o Penisola Arabica. Se questa eventualità dovesse concretizzarsi, si tratterebbe di un riconoscimento fondamentale per i franchise regionali che, negli anni a partire dall’11 settembre 2001, hanno drasticamente incrementato il proprio ruolo ed il loro peso all’interno del network fino a diventare realtà strategicamente più attive ed influenti rispetto alla leadership centrale.